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IV. 1. Considerazioni introduttive. I precursori del postmoderno

La letteratura postmoderna, strettamente dipendente da espedienti quali la frammentazione, il paradosso, l’ironia e l’inaffidabilità del narratore, viene generalmente interpretata come una reazione alle idee che caratterizzavano il Modernismo. Nonostante ci sia poco accordo sulle caratteristiche generali del fenomeno, si può riscontrare una certa uniformità di pensiero a livello critico nel collocarne la nascita in ambito anglo-americano1. Grazie al lavoro degli studiosi che si concentrano sulla produzione ‘occidentale’ per formulare e sostenere le proprie teorie, le opere provenienti da questo contesto linguistico e culturale diventano i grandi ‘modelli’ del postmoderno. Vi è invece scarsa attenzione per ciò che succede al di là della cortina di ferro: il panorama letterario sovietico appare dominato unicamente dall’imperante Realismo Socialista, segretamente screziato da nuove forme espressive che puntano al rinnovamento attraverso il gesto irriverente (e connotato politicamente) di riappropriazione del proprio passato.

In relazione al postmoderno, la critica anglo-americana pare dunque chiudersi nel proprio ambito linguistico e ‘temporale’, ignorando quanto accade nel resto del mondo e prestando poca attenzione all’influsso delle avanguardie moderniste o di opere precedenti. A questo proposito, nel saggio “Literature of Replenishment” (1979) John Barth esprime la necessità di mantenere un certo legame con il passato, pur avendo manifestato il desiderio di novità rispetto al modernismo in “The Literature of Exhaustion”2 (1967):

My ideal Postmodernist author neither merely repudiates nor merely imitates either his 20th-century Modernist parents or his 19th-century premodernist grandparents. He has the first half of our century under his belt, but not on his back. Without lapsing into moral or artistic simplism, shoddy craftsmanship, Madison Avenue venality, or either false or real naiveté, he nevertheless aspires to a fiction more democratic in its appeal than such late-Modernist marvels as Beckett's Texts for Nothing... The ideal

1 Utilizzo qui l’etichetta anglo-americano in un’ottica di contrapposizione con il mondo slavo. Naturalmente, il postmoderno americano è un fenomeno piuttosto differente da quello britannico. 2 Peraltro in questo articolo Barth non manca di mostrare la sua ammirazione per Nabokov; Beckett,

Postmodernist novel will somehow rise above the quarrel between realism and irrealism, formalism and ‘contentism,’ pure and committed literature, coterie fiction and junk fiction... (Barth 1997: 203).

Rispetto ai rapporti del postmoderno con il passato, l’atteggiamento di Barth sembra essere abbastanza neutrale; tuttavia, la sua posizione, e quella della critica in generale, risulta abbastanza sorprendente se si prendono in considerazione i vari studi dei formalisti russi, e in particolare di Šklovskij3, circa l’evoluzione della prosa in ambito europeo proprio a partire dai testi come The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (1759) di Laurence Sterne, il Don Juan [Don Giovanni, 1818-1824] di Byron, il Sartor Resartus (1831) di Thomas Carlyle e At Swim Two Birds (1939) di Flann O’Brien.

Un simile approccio da parte della critica anglo-americana costituisce una differenza sostanziale se rapportato a quanto avviene in ambito slavo. Infatti, nella Russia pre- e post- rivoluzionaria, così come in Polonia, le avanguardie andranno a costituire un fertilissimo humus per le successive produzioni degli anni Settanta e, in seguito, della fase post-sovietica. Eppure le avanguardie europee mostrano significative affinità con il postmoderno, a partire da quella pratica di riscrittura che riprende il ‘vecchio’, ovvero i classici della tradizione, come ad esempio El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha [Don Chisciotte della Mancia, 1605] di Cervantes o il Decameron (1349-1351) del Boccaccio, per sottoporre a sperimentazione alcune delle loro caratteristiche strutturali.

Similmente al postmoderno, infatti, il Dadaismo celebra il caos, il ruolo del caso, la parodia, il gioco, mettendo continuamente in discussione il ruolo dell’artista. Nel 1920 Tristan Tzara già proponeva una strategia compositiva che sarà praticata dagli scrittori postmoderni:

POUR FAIRE UN POEME DADAÏSTE: Prenez un journal.

Prenez des ciseaux.

Choisissez dans ce journal un article ayant la longueur que vous comptez donner à votre poème.

Découpez l'article.

Découpez ensuite avec soin chacun des mots qui forment cet article et mettez-les dans un sac.

Agitez doucement.

Sortez ensuite chaque coupure l'une après l'autre dans l'ordre où elles ont quitté le sac. Copiez consciencieusement.

Le poème vous ressemblera.

3 Si ricordi, tra gli altri, il suo saggio sul Tristram Shandy “Тристрам Шенди Стерна и теория романа” [“Tristram Shandy di Sterne e la teoria del romanzo”, 1921].

Et vous voilà ‘un écrivain infiniment original et d'une sensibilité charmante, encore qu'incomprise du vulgaire’4.

In queste righe emerge con chiarezza la consapevolezza che non c’è più niente di nuovo da inventare, tutto ormai è stato detto; per creare qualcosa di originale è necessario affidarsi al gesto dell’artista che, in maniera più o meno arbitraria, riscrive, assembla, monta a partire dal già noto. In questo senso, come mette in evidenza anche la composizione di Tzara, va segnalata l’importanza del collage, tecnica ampiamente utilizzata da Max Ernst e in seguito adottata dai surrealisti5. Significativamente, la stessa pratica verrà impiegata anche da Konstantin Vaginov per la costruzione del suo personaggio artificiale, e da Tadeusz Kantor in ambito teatrale. Al motivo del ready made va affiancato un altro gesto dell’artista: l’automatismo. Nelle parole di Tzara questa particolare tipologia di azione è ben visibile attraverso l’uso del modo verbale imperativo, che regola anche la costruzione stessa della composizione: similmente ad un manuale di istruzioni, vengono enumerati i gesti da compiere meccanicamente per la creazione di un’opera. Questo elenco può essere virtualmente seguito da chiunque, e ripetuto all’infinito. André Breton, ad esempio, farà ricorso alla scrittura automatica per la stesura del suo secondo romanzo Nadja (1928, ed. def. 1963); le opere di Breton saranno inoltre corredate da un apparato fotografico, volto a rimpiazzare con intento parodico le pesanti e minuziose descrizioni realiste. L’elemento del gioco è dunque centrale in queste pratiche innovative, come lo è nei romanzi modernisti Finnegans Wake (1939) di Joyce o in Orlando (1928) di Virginia Woolf, in cui la solidità mimetica del personaggio viene sfaldata.

Superata la fase ‘modernista’, la componente ludica della composizione artistica diventa più marcata, manifestando le sue più eccentriche realizzazioni nel teatro di fine anni Sessanta, ad esempio nel cosiddetto ‘Theatre of the Absurd’, per usare l’espressione coniata da Martin Esslin (1961). Basti ricordare a questo proposito l’eclettica produzione di un altro irlandese, Samuel Beckett, che attraverso scritti teatrali e in prosa, per approdare infine ai radiodrammi, mette in scena quelli che possono essere considerati gli esperimenti più estremi sul personaggio, in violenta collisione con una tipologia di rappresentazione mimetica, come confermano le parole di Hans-Peter Wagner:

4 Trad. It.: “Per fare un poema dadaista. Prendete un giornale. Prendete delle forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che contate di dare al vostro poema. Ritagliate l’articolo. Ritagliate quindi con cura ognuna delle parole che formano questo articolo e mettetele in un sacco. Agitate piano. Tirate fuori quindi ogni ritaglio, uno dopo l’altro, disponendoli nell’ordine in cui hanno lasciato il sacco. Copiate coscienziosamente. Il poema vi assomiglierà. Ed eccovi ‘uno scrittore infinitamente originale e d’una sensibilità affascinante, sebbene incompresa dall’uomo della strada’”.

Mostly concerned with what he saw as impossibilities in fiction (identity of characters; reliable consciousness; the reliability of language itself; and the rubrication of literature in genres) Beckett's experiments with narrative form and with the disintegration of narration and character in fiction and drama won him the Nobel Prize for Literature in 1969. His works published after 1969 are mostly meta-literary attempts that must be read in light of his own theories and previous works and the attempt to deconstruct literary forms and genres.[...] Beckett's last text published during his lifetime, Stirrings

Still (1988), breaks down the barriers between drama, fiction, and poetry, with texts of

the collection being almost entirely composed of echoes and reiterations of his previous work [...] He was definitely one of the fathers of the postmodern movement in fiction which has continued undermining the ideas of logical coherence in narration, formal plot, regular time sequence, and psychologically explained characters (Wagner 2003: 194).

Sia la letteratura moderna che quella postmoderna rappresentano dunque un radicale spostamento d’asse rispetto al realismo ottocentesco, soprattutto dal punto di vista della costruzione del personaggio; abbandonando una tipologia di caratterizzazione ‘esterna’, ci si concentrerà invece sul soggettivismo e sulla disintegrazione della plausibilità del personaggio in termini mimetici. Sarà particolarmente evidente nelle narrazioni postmoderne, come The Sot-Weed Factor (1960) e Lost in the Funhouse (1968) di John Barth, V. (1963), The Crying of Lot 49 (1966), Gravity’s Rainbow (1973) di Thomas Pynchon, e Slaughterhouse-Five (1969) di Kurt Vonnegut, una marcata frammentarietà, una predilezione per personaggi ‘monodimensionali’, in apparenza ‘piatti’, spesso ripresi in modo più o meno esplicito da altre opere letterarie.

Rimane tuttavia ancora da chiarire il complesso rapporto tra moderno e postmoderno, che nemmeno la critica è riuscita a risolvere in maniera uniforme6; è evidente, infatti, che molte tecniche sperimentate dal modernismo vengono utilizzate anche da scrittori postmoderni.

Oltre a questo, si pone un ulteriore problema metodologico riguardante la collocazione di opere ‘ambigue’, poste a cavallo tra i due periodi, ad esempio The Recognitions (1955) di William Gaddis, The Cannibal (1949) di John Hawkes, o Lolita (1955) di Vladimir Nabokov. Assieme a Jorge Luis Borges, considerato uno dei ‘padri’ del postmoderno nonostante fosse attivo già negli anni Venti, Nabokov rientra tra gli artisti che più hanno influito nella creazione dell’estetica postmoderna in ambito anglo-americano.

6 È sufficiente pensare ai variegati approcci proposti cfr., ad esempio, la posizione di Wagner (2003) e quella di McHale (1987).

Sulla base di queste premesse, l’impiego del concetto di liquidità, così come concepito da Bauman nel contesto polacco, potrebbe portare notevoli vantaggi, soprattutto in termini di comparazione tra opere che mostrano caratteristiche tecniche estremamente affini. Una simile prospettiva potrebbe aprire alla ridefinizione di dei due concetti di moderno e postmoderno; ad un’idea di netta rottura si preferisce quindi prediligere una lettura di continuità fluida tra le tipologie sperimentali omogenee, tenendo sempre come punto fermo il dato oggettivo della profonda differenza che separa i due fenomeni. Se infatti si può riscontrare una certa costanza nell’utilizzo di determinate tecniche, si deve necessariamente segnalare il fatto che, a differenza dell’ambito slavo, il postmoderno anglo-americano non si rende prosecutore delle sperimentazioni moderniste.

L’analisi testuale che segue, principalmente volta ad applicare il modello di personaggio liquido su Flaubert’s Parrot (1984) di Julian Barnes7, cercherà di mettere in evidenza le caratteristiche essenziali che hanno portato il romanzo in oggetto ad essere considerato uno dei più significativi del postmoderno. Una simile scelta è quindi motivata non soltanto dal fatto che, a livello critico, Barnes venga considerato unanimamente “as [a] post-modernist writer because his fiction rarely either conforms to the model of the realist novel or concerns itself with a scrutiny of consciousness in the manner of modernist writing” (Childs 2005: 86), ma anche dalle parole che l’autore stesso spende sul suo romanzo:

I thought of Flaubert’s Parrot when I started writing it as obviously an unofficial and informal, unconventional sort of novel – an upside down novel, a novel in which there was an infrastructure of fiction and very strong elements of non-fiction, sometimes whole chapters which were nothing but arranged facts (Barnes 2002: 259).

Sarà proprio per queste sue caratteristiche – eccentricità, intento di sovversione nei confronti delle regole e delle convenzioni letterarie, “impeto decostruttivo totalizzante” (Ascari 2009: 51), pastiche, ironia – che Flaubert’s Parrot viene qui considerato come case study per il ‘postmoderno’ di ambito britannico. In quanto esempio evidente di ‘postmoderno’, quest’opera si rivelerà utile per verificare il modello di personaggio liquido, e per questo motivo, nonostante da un punto di vista cronologico si collochi successivamente rispetto agli altri romanzi presi in esame, verrà analizzato prima.

7 Julian Barnes (1946-) ha di recente vinto il ‘Booker Prize’ (2011) per il suo libro The Sense of an

Una volta dimostrata l’efficacia del modello, sarà possibile concentrarsi sul rapporto che Flaubert’s Parrot intrattiene con la poetica nabokoviana, in modo da profilare un quadro di continuità tra le due esperienze.

IV. 2. Analisi Testuale: Flaubert’s Parrot di Julian Barnes.