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L’arrivo dei lavoratori dai paesi in via di sviluppo: il caso del Friuli-Venezia Giulia

IV. Il momento della transizione Il caso del Friuli-Venezia Giulia

3. L’arrivo dei lavoratori dai paesi in via di sviluppo: il caso del Friuli-Venezia Giulia

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta si cominciò dunque a notare la presenza di lavoratori dai paesi in via di sviluppo, a dispetto di un movimento migratorio interno ancora imponente e di uno esterno ancora consistente, seppure già in declino. Il fatto si presentava come l’ennesimo elemento controverso del mercato del lavoro italiano. La situazione di precarietà occupazionale in cui viveva una parte considerevole della popolazione nazionale apparentemente non lasciava spazio all’arrivo di nuovi lavoratori dall’estero, eppure in alcune realtà, molto diverse tra loro, sembrò rendersi necessario il richiamo di specifiche categorie di lavoratori a sostegno dell’economia locale200. Quanto stava succedendo nel Friuli-Venezia Giulia, infatti, si discostava solo in parte, come

si vedrà nei capitoli successivi, da quello che contemporaneamente stava avvenendo in Sicilia, dove i tunisini iniziavano invece ad essere impiegati nel settore primario (mentre una parte dei migranti iniziava a tornare e l’emigrazione rallentava il suo passo, facendo crescere la disoccupazione), o nelle città di Roma e Milano, dove i migranti trovavano spazio nel settore dei servizi.

Ma il caso friulano risulta particolarmente interessante, per diversi motivi. Innanzitutto, perché nella regione, a cavallo tra i due decenni, l’arrivo di molti lavoratori jugoslavi da impiegare nel settore industriale e in quelli a esso ausiliari avvenne secondo le direttive previste dalla normativa in materia e perciò venne prodotta una vasta documentazione a riguardo. Più diffusa era invece l’irregolarità nel settore domestico (settore comunque preponderante nel rilascio di visti per motivi di lavoro)201 e negli

altri settori. Secondariamente, perché, soffermarsi sul richiamo regolare di manodopera per il settore

199ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1971/1975, 13/016,9 parte II, Stranieri,

b.425, fasc. 15120/1.

200Le realtà a cui faccio riferimento sono la Sicilia, il Friuli Venezia Giulia, Roma e Milano e l’Emilia Romagna, in questo capitolo si tratterà solo della seconda regione; le altre aree saranno analizzate nei capitoli successiv. 201Dei 320 visti rilasciati per motivi di lavoro tra gennaio del 1967 e marzo del 1968, poco più della metà era stata concessa a lavoratrici domestiche, mentre la restante parte a lavoratori vari. ACS, Ministero dell’Interno,

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secondario, per quanto il contesto fosse circoscritto, sembra poterci fornire delle chiavi interpretative preziose per comprendere come mai, nonostante una quota ancora consistente di lavoratori sotto- occupati o disoccupati nel Mezzogiorno che partivano alla volta del Settentrione, la domanda di lavoro incontrò l’offerta straniera.

L’analisi prende le mosse da una vasta documentazione sull’ingresso di lavoratori jugoslavi nel Friuli- Venezia Giulia presente tra i fascicoli del Ministero dell’Interno, disponibili presso l’Archivio Centrale dello Stato202. Al momento, il caso friulano è l’unico per il quale si dispone di un carteggio

relativo al rilascio dei nulla osta per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, ma non si esclude che non appena sarà possibile accedere ai fascicoli del Ministero del lavoro, emergano ulteriori elementi chiarificatori sull’assunzione regolare di lavoratori stranieri (dei paesi in via di sviluppo e non) negli anni Settanta per il resto d’Italia.

Ad ogni modo, la particolare attenzione prestata all’ingresso di forza lavoro jugoslava dalla Pubblica amministrazione nei primi anni del decennio e il fatto che sia stato proprio il Ministero competente dell’ordine pubblico a riorganizzare in modo puntuale la documentazione relativa indicano una continuità, rispetto al periodo precedente, nell’atteggiamento assunto dallo Stato nei confronti dei migranti, soprattutto di quelli giunti dal confine orientale. Questi erano visti principalmente come possibili perturbatori dell’ordine sociale nazionale e, nel caso specifico, la modificazione etnica della regione risultava essere uno dei principali problemi.

Le cautele riservate alla componente slava non andavano però circoscritte ai problemi di ordine pubblico. Gli stessi documenti che si preoccupavano della composizione etnica della popolazione, mettevano in relazione l’aumento della presenza degli jugoslavi alla crescita della richiesta locale di specifiche categorie di lavoratori. Inoltre, non desta meraviglia il fatto che la Pubblica amministrazione si fosse concentrata su di essi quando anche altrove e per altre nazionalità iniziavano a manifestarsi situazioni simili.

Tra i due decenni, arrivarono lavoratori anche da altri paesi in via di sviluppo per sopperire alle carenze di manodopera, ma la loro consistenza, almeno secondo i dati ufficiali, era molto ridotta e di conseguenza lo era anche il numero di richieste di ottenimento dei nulla osta per l’assunzione: nel 1969 i permessi di soggiorno per motivi di lavoro per le nazionalità egiziana, etiope, filippina, eritrea, tunisina e marocchina (comunità che iniziarono a crescere formalmente solo pochi anni dopo) non superavano in totale le 600 unità; nello stesso anno i permessi di lavoro per i cittadini jugoslavi erano 3.742203. I dati ufficiali rilevavano evidentemente solo la parte superficiale del fenomeno, ma,

nonostante ciò, la netta sproporzione tra la componente slava e le altre non poteva che indirizzare l’interesse degli organi dello Stato su quella più ampia. Inoltre, la loro presenza risultava già rilevante

202Al momento la documentazione ministeriale in materia di stranieri disponibile non supera l’anno 1975, anno dopo il quale invece il fenomeno dell’immigrazione dai paesi in via di sviluppo inizia ad acquisire una forma più definita. Inoltre non è ancora disponibile la documentazione relativa agli anni Settanta del Ministero del Lavoro, che dovrebbe contenere il quadro informativo completo rispetto al collocamento di manodopera straniera. 203ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, inv.13/016,7 parte III(5),

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a metà degli anni Sessanta e questo fatto incise profondamente sulla tempestività mostrata dai ministeri nel creare una ricca base documentaria relativa a questa immigrazione. Già in una corrispondenza tra il ministro degli affari esteri e quello dell’interno del 1968, rispettivamente l’on. Amintore Fanfani e l’on. Paolo Emilio Taviani, appariva chiaro l’intento di costruire un sapere intorno al fenomeno in questione, per mezzo di una cooperazione interministeriale. Ed infatti, i due ministri collaborarono affinché prendesse corpo un comitato ristretto (la cui creazione fu suggerita dallo stesso Fanfani), al quale era affidato il compito specifico di approfondire la faccenda friulana204.

Prima di affrontare le vicende di quella regione bisogna però fare un passo indietro, a quando, nel 1963, vennero stabilite le competenze ministeriali relative all’ingresso di lavoratori stranieri.

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