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I. L’Europa del dopoguerra e le migrazioni internazionali

2. Il Secondo dopoguerra

2.3 Una lente sul caso francese

Nel periodo intercorso tra le due guerre mondiali in Francia il Governo lasciò al padronato industriale la gestione dei flussi di lavoratori stranieri. Ma una volta finito il conflitto, le carenze demografiche strutturali che accompagnavano la storia francese sin dal principio della Terza Repubblica si riproposero come ostacolo alla crescita economica, cosicché il Governo decise di intervenire direttamente in materia. Immediatamente (già nel 1945) fu emanato un decreto, con il quale venne programmata la creazione dell’ONI (Office National d’Immigration), che avrebbe avuto il compito di organizzare e facilitare l’immigrazione su vasta scala. L’ente entrò in funzione pochi anni dopo. Secondo la prassi ordinaria, i datori di lavoro in cerca di manodopera straniera avrebbero dovuto obbligatoriamente fare richiesta all’ufficio preposto, che attraverso accordi internazionali bilaterali avrebbe insediato agenzie per il reclutamento all’estero. Scopo dell’ONI era quello di introdurre i

24B. EICHENGREEN, La nascita dell’economia…, cit., pp.191-223. 25P. KAMMERER, Sviluppo del capitale…, cit., pp. 120-124.

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lavoratori e le loro famiglie sul territorio nazionale, perseguendo una politica in linea con le esigenze del padronato, dei sindacati e con le necessità demografiche.

A questo provvedimento ne seguirono altri due, anch’essi riconducibili alla stessa politica che aveva condotto all’istituzione di un ufficio per il reclutamento. Si trattava del riconoscimento della possibilità di diventare liberi lavoratori ai prigionieri di guerra e dell’emanazione dello Statut organique de l’Algerie (1947), con il quale venne estesa la cittadinanza francese a tutti i cittadini della colonia e sancito il principio di libero movimento tra l’Algeria e la metropoli. Né l’uno né l’altro ebbero però l’effetto sperato. Pochissimi erano infatti i prigionieri di guerra rispetto alle necessità dell’economia francese, mentre, sebbene fossero stati numerosi gli algerini che avevano attraversato il Mediterraneo per stabilirsi in Francia subito dopo la concessione della cittadinanza ─ nel 1949 se ne contarono già 265 mila ─, il flusso dal Nord-Africa calò drasticamente allorché nei primi anni Cinquanta aumentò la tensione tra la madrepatria e la colonia, fino allo scoppio della guerra nel 1954 ( lo Statuto venne abrogato nel 1956).

La Francia puntò perciò soprattutto alla stipulazione di accordi bilaterali, istituendo canali preferenziali per l’immigrazione dagli altri paesi europei, in particolare dall’Italia (memore della positiva esperienza degli anni Venti), con la quale vennero conclusi accordi nel 1946 e nel 1951, e dalla Grecia, con la quale fu firmata una convenzione nel 195426. Il flusso principale negli anni

Cinquanta fu non a caso quello proveniente dalla Penisola (tabella 5), che nel 1956 arrivò a ricoprire circa l’80% degli ingressi dall’estero. Dall’anno successivo si registrò però un calo costante di questi arrivi e un aumento della componente spagnola. L’accordo con la Spagna arrivò poi nel 1961, ma, già prima di quella data, molti erano stati i rifugiati in fuga dal regime franchista che avevano trovato asilo e lavoro in Francia. Questa prima ondata migratoria fu circa per il 50% costituita da lavoratori stagionali impiegati nell’agricoltura, introdotti nel mercato del lavoro per ovviare alle carenze riscontrate nel settore dopo gli esodi postbellici dalla campagna verso la città. I permanenti vennero invece occupati nell’edilizia e nel settore metalmeccanico27.

La politica economica francese si mostrò nel frattempo esitante ad attuare un piano adeguato ad imprimere un’ulteriore accelerazione al processo d’espansione, fino ad allora dovuto al catch-up growth (crescita da recupero). L’inflazione e il grado d’apertura del mercato, stazionario fino al 1959, si unirono allo scarso controllo dei fattori di produzione: in Francia non si riuscirono infatti a contenere i salari, come invece avvenne nella RFT. La scarsa competitività che ne conseguì, determinò a sua volta un calo degli investimenti28. Alla fine del decennio, con l’attuazione del piano Rueff

vennero capovolte le linee della politica economica messa in campo negli anni precedenti ─ questa aveva favorito l’industria pesante a scapito dell’edilizia abitativa, dell’agricoltura e della produzione di beni di consumo, nonché una certa chiusura nei confronti dei mercati esteri ─ e fu preparato il terreno per il rilancio economico. Quest’ultimo, secondo quanto previsto dal piano, avrebbe avuto luogo

26S.COLLINSON, Le migrazioni…, cit., p. 106.

27LEDO PRATO, Sviluppo del capitale ed emigrazione in Europa: la Francia, Milano, Mazzotta, 1976, p.25. 28B. EICHENGREEN, La nascita dell’economia…, cit., pp. 78-79.

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principalmente grazie alla ristrutturazione dell’industria per la produzione dei beni di consumo e perciò vennero realizzate misure a favore dell’accumulazione di capitale investibile e dell’esportazione. Si procedette alla liberalizzazione dei commerci, all’attuazione di disposizioni fiscali per il veloce ammortamento degli investimenti e alla svalutazione monetaria. Come già in Germania, il settore delle esportazioni divenne trainante per la crescita29.

L’espansione della produzione industriale richiamò in Francia migliaia di lavoratori stranieri, che però varcarono la frontiera senza che l’ONI riuscisse a gestirli. È possibile però ipotizzare che, almeno fino al 1965, il Governo fosse disponibile a favorire l’esistenza dei flussi irregolari di manodopera, pur non riuscendo a governali. L’unica azione statale che seguì a questo fenomeno non fu infatti una dura politica di respingimento, bensì la stipulazione di accordi (tra il 1963 e 1965) con il Marocco, la Tunisia, il Portogallo, la Turchia e la Jugoslavia, paesi dai quali proveniva la maggior parte dei migranti irregolari. Nella sostanza i nuovi accordi bilaterali servirono più a colmare il vuoto giuridico e istituzionale sui flussi migratori già esistenti, che non a dare impulso a nuovi flussi30. Del resto

l’afflusso massiccio di forza lavoro immigrata che si stava verificando in quegli anni incontrava la volontà espressa con il piano Rueff di incoraggiare la formazione di capitale e l’arrivo di una cospicua quantità di lavoratori sul mercato del lavoro per garantire l’elasticità di quest’ultimo e consentire così il contenimento salariale a favore del profitto.

Il mal funzionamento dell’ente statale è da attribuirsi probabilmente all’incapacità di dare seguito alle intenzioni per le quali era sorto; in particolare non riuscì a soddisfare contemporaneamente il padronato (attuando politiche dipendenti esclusivamente dalle congiunture economiche), il sindacato (che inizia a temere l’afflusso massiccio di immigrati, come arma contro il potere contrattuale della classe operaia) e le esigenze demografiche. La sconfitta più grande fu soprattutto quella relativa a quest’ultimo punto, poiché l’ONI mancò l’obiettivo di indirizzare la cospicua quantità di immigrati in arrivo seguendo una precisa politica demografica, sebbene sin dal principio fosse chiara l’intenzione presso gli amministratori della cosa pubblica di condurre una politica delle migrazioni proprio incentrata sull’ingresso, la permanenza e l’assimilazione dei migranti nella società ospitante.

Sostanzialmente, nei primi due decenni postbellici, l’ONI servì principalmente alla regolarizzazione della posizione degli immigrati giunti autonomamente in Francia e alla raccolta dei dati sull’immigrazione, sebbene l’aumento della presenza di clandestini, soprattutto a partire dal 1960, rendesse difficile il compito di stabilire la reale entità dei flussi dall’estero ─ una stima riportata da Ledo Prato mostra che la componente clandestina si sarebbe aggirata nel 1973 intorno al 10% del totale della popolazione straniera attiva. I dati di cui si dispone riflettono dunque della mancata rilevazione da parte dell’organo statale di un numero imprecisabile di stranieri che arrivavano sul suolo francese per lavorare; tuttavia, il lavoro di registrazione svolto dall’Ufficio risulta comunque importante per poter stabilire l’andamento dei flussi migratori e la composizione per nazionalità. Per

29Ivi, p. 151.

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quanto riguarda invece la consistenza della popolazione straniera è possibile ricorrere ai dati censuari del Ministero degli affari sociali, che continuò a monitorare l’immigrazione nel paese, per studiarla in una prospettiva demografica. I dati censuari relativi al 1962 indicano che la popolazione immigrata presente era di 1.583.211 unità. I censimenti del 1968 e del 1972 contavano rispettivamente 2.175.603 e 3.117.776 di stranieri stabilmente presenti.31 I numeri forniti dall’ONI trovano una corrispondenza

approssimativa con i dati del Ministero degli affari sociali sia per il 1962 che per il 1973: il flusso in entrata tra il 1946 e il 1962 corrispose a 1.893.620 migranti (questi arrivarono, stabilmente o stagionalmente, per lavoro o per ricongiungimento familiare); in totale tra il 1946 e il 1973 il flusso in entrata fu di 5.290.520, ma se si escludono i lavoratori stagionali il numero scende a 3.175.191 (Tab.1.3). È dunque possibile ritenere affidabili i dati riguardanti le migrazioni regolari o regolarizzate dall’ONI, per poter continuare il discorso sul fenomeno migratorio francese.

Come si è già accennato, la componente maggioritaria dei flussi fino alla fine degli anni Cinquanta fu quella italiana. Durante gli anni Sessanta, la quota principale fu rappresentata, invece, dagli spagnoli e dai portoghesi. Marocchini, tunisini, turchi, jugoslavi e altre nazionalità mantennero percentuali modeste fino agli anni Settanta; anni durante i quali esse crebbero di consistenza (per esempio i marocchini toccarono il 20% nel 1974), mostrando una composizione dell’immigrazione più proporzionata tra le varie componenti (Tab.1.3) 32.

Analizzando più da vicino come il fenomeno si configurò nel dopoguerra sul territorio francese, si nota che i cambiamenti intervenuti tra 1950 e il 1973 non riguardarono esclusivamente la struttura etnica della popolazione immigrata, ma anche la collocazione dei lavoratori stranieri nei settori dell’economia (Graf. 4). Si verificò una riduzione dell’impiego nel settore agricolo (dal 41% del 1953 all’11% del 1973)33 e ciò rifletteva da un lato il minor peso che questo aveva rispetto al complesso

dell’economia francese, dall’altro i processi di ristrutturazione capitalistica interni al settore e, anzi, fu proprio in virtù delle trasformazioni intervenute nel processo produttivo agricolo, che i flussi videro aumentare la componente stagionale. Crebbe invece la quota di immigrati impiegati nel settore secondario fino al 1970 (in media il 36% degli immigrati fu impiegato nell’edilizia e il 4% nella produzione e trasformazione dei metalli, ma con una diminuzione nel primo ambito in favore del secondo), ma anche nei tre anni successivi questo rappresentò il principale settore d’occupazione per la manodopera straniera: anche in questo caso, come già in quello tedesco, fu l’esistenza di una domanda inevasa a spingere il datore di lavoro ad avvalersene34. Anche il terziario registrò un costante

aumento degli addetti.

31L. PRATO, Sviluppo del capitale…, cit., p.50. 32Ivi, p. 24.

33Ivi, p. 27. 34Ibide

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Tab.1.3 Immigrazione dei lavoratori stagionali (S) e permanenti (P) e dei familiari (F) dal 1946 al 1973, per nazionalità. (Valori assoluti)

Nazionalità Anni 1946-1955 1956-1960 1961-1965 1962-1973 Italiani P. 213.553 225.090 87.723 57.590 S. 105.280 168.723 56.550 11.882 F. 47.341 35.384 45.754 36.877 Totale 366.174 429.197 190.027 106.349 Spagnoli P. 8.526 90.746 277.060 144.707 S. 4.041 133.431 453.952 962.828 F. 6.377 14.845 125.069 90.433 Totale 18.944 239.022 856.081 1.197.968 Portoghesi P. 2.650 17.992 135.494 406.896 S. ─ 1.063 12.884 23.680 F. 1.591 6.035 33.574 264.789 Totale 4.241 25.090 181.952 695.365 Marocchini P. 5.997 705 56.640 149.364 S. ─ 2 1.454 43.086 F. ─ ─ 4.740 48.781 Totale 5.997 707 62.834 241.231 Tunisini P. ─ ─ 8.506 85.987 S. ─ ─ 397 6.127 F. ─ ─ 3.590 26.037 Totale 12.493 118.151 Altre nazionalità P. 80.223 18.499 47.440 196.357 S. 138.251 39.605 20.634 14.171 F. 33.112 2.573 14.574 64.902 Totale 251.586 60.677 82.648 275.430

Totale flusso in entrata 646.942 754.693 1.373.542 2.516.343 Fonte: L. PRATO, Sviluppo del capitale…, cit. [mia elaborazione].

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Graf. 4 Distribuzione per settore dei lavoratori stranieri permanenti in Francia. Tasso medio annuo per i periodi 1952-60, 1961-70, 1971-73

Fonte: L. PRATO, Sviluppo del capitale…, cit., [mia elaborazione].

Rispetto alla posizione professionale, per tutto il periodo considerato, i lavoratori non qualificati o con bassa qualifica, dunque i manovali e gli operai specializzati, rappresentarono stabilmente il 70% della forza lavoro immigrata.35 La maggior parte dei manovali veniva assorbita dall’edilizia, dall’agricoltura

e come personale domestico; tra gli operai specializzati prevaleva la quota di coloro che venivano impiegati nell’edilizia, nella trasformazione dei metalli e nel commercio non alimentare.

A subire delle modifiche fu inoltre la percentuale degli attivi sulla popolazione immigrata totale. Dal 1962 al 1968 si registrò una diminuzione per le principali nazionalità presenti: gli italiani scesero dal 48,2 al 43%; gli spagnoli dal 47,7 al 44,7%; per i portoghesi dal 59,6 al 57%; gli algerini dal 57 al 55%, mentre il tasso d’attività della popolazione francese nello stesso anno si attestava al 40%. Infine, per la popolazione jugoslava si dispone solo del dato relativo al 1968, che è del 66,4%. Il calo del tasso di attività per le nazionalità immigrate da più tempo è indicativo del cambiamento della struttura demografica delle stesse, sempre più accostabile a quella della popolazione locale. Secondo quanto stabilito nello schema migratorio definito da Böhning il fatto che gli indici di attività si mostrassero più alti tra gli immigrati più recenti suggerisce che la prima fase di sviluppo di un canale migratorio interessa principalmente lo spostamento di maschi adulti in cerca di occupazione, mentre la seconda fase vede il trasferimento delle donne e dei familiari. Questi ultimi solo in un momento successivo entrano nel mercato del lavoro e ciò spiega l’abbassamento degli indici di attività tra le nazionalità presenti da più tempo. Diversa si presentava invece la situazione nella Repubblica Federale Tedesca, dove l’indice d’attività si mostrava alto e uniforme per tutte le nazionalità: il 63% nel 1969. Tale 35Ivi, p. 32. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 1952-60 1961-70 1971-73 Anni Settore Primario (Foreste, Agricoltura e Pesca) Settore Secondario (Miniere, Industria, Edilizia) Settore teriziario (Commercio e Servizi)

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differenza era la chiara conseguenza del modello a rotazione applicato dai governi federali, proprio affinché le migrazioni fossero temporanee36.

Se per la Francia, laddove è possibile, si raffrontano i dati di ingresso al lavoro negli anni Settanta dei familiari di migranti già residenti e di nuovi lavoratori immigrati, si nota l’aumento della percentuale dei primi a scapito dei secondi; ad esempio: il 60% della manodopera straniera entrata nel mercato del lavoro francese nel biennio 1975/1977 era composta da familiari di migranti già residenti37. Del resto

il dato non appare così strano, dal momento che in Francia fu costantemente favorita l’immigrazione permanente, che coinvolse anche i familiari dei lavoratori. Questi ultimi rappresentarono l’8% del flusso totale fino al 1962 e, se si escludono i lavoratori stagionali da questo calcolo, la loro percentuale raggiungeva in realtà il 26%. Nel corso dei primi anni Settanta la loro quota sul totale rimase stabile, mentre crebbe al 30% quella relativa ai soli permanenti. La popolazione immigrata, benché a prevalere fosse la componente maschile, esercitò un ruolo di ringiovanimento e riequilibrio nella popolazione francese, la quale presentava indici di fertilità molto bassi e un progressivo invecchiamento della popolazione; trend comune agli altri paesi europei più sviluppati, sebbene più accentuato nel caso francese.

La permanenza dei lavoratori e dei familiari dagli anni Sessanta fece sì che già prima degli anni Settanta iniziassero a manifestarsi i problemi relativi alle seconde generazioni, alla progressione di carriera, alle strutture sociali di formazione e inserimento e alla possibilità di usufruire delle prestazioni sociali previste dagli ordinamenti locali. Perciò già dal 1966, il desiderio della politica francese di razionalizzare e disciplinare l’immigrazione emerse nuovamente innanzitutto con la costituzione di un nuovo ufficio governativo, la Direction de la Population et des Migrations, e con due accordi con l’Algeria, conclusi nel 1968 e nel 1971. L’intento di questi ultimi era quello di ridurre rispettivamente a 35 e poi a 25 mila gli ingressi annui di immigrati algerini, con diritti solo temporanei. La necessità di una coerente politica migratoria, in un momento in cui la pressione salariale iniziava a crescere, assieme alle tensioni sociali, appariva ormai prioritaria. Assillanti stavano diventando i problemi relativi all’alloggio, al lavoro e alle reazioni xenofobe; non mancava nel discorso pubblico l’accusa di un rallentamento del progresso industriale e di un’alta incidenza sulla spesa pubblica (soprattutto relativamente alla fornitura degli alloggi popolari e dei sevizi vari previsti per l’integrazione, come le scuole specifiche per l’apprendimento della lingua). Nei primi anni Settanta i flussi furono però ancora consistenti, nonostante dal 1971 l’immigrazione stagionale superasse quella permanente.

La partecipazione dei lavoratori immigrati alle lotte sindacali di quegli anni indirizzò, infine, la politica migratoria in una direzione più autoritaria e, grazie all’apparato giuridico già approntato negli anni precedenti, fece avviare controlli più rigidi e selettivi. L’apprensione crescente trovò espressione

36La percentuale sottovaluta la realtà del fenomeno, essendo riferita solo ai lavoratori dipendenti. Il dato è riportato in S. CASTLES e G. KOSAK, Immigrazione e struttura…, cit..

37CLAUDIO CALVARUSO, I lavoratori clandestini: verso un nuovo modello di migrazioni internazionali, in

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nelle “circolari Marcellin-Fontanet” del 1972, emanate dai Ministri dell’interno e del lavoro. Le circolari imponevano restrizioni alla regolarizzazione degli immigrati, limitando la concessione dei permessi di residenza a coloro che potevano dimostrare di avere un lavoro e una sistemazione adeguata. Altre due circolari del 1972 e del 1973 introducevano limitazioni alla regolarizzazione degli immigrati illegali, riservandole solo a quanti avevano fatto ingresso in Francia entro una certa data38.

Rinvigorire i controlli e le penalizzazioni per gli immigrati irregolari e clandestini e restringere le possibilità d’accesso dei familiari dei lavoratori stranieri regolarmente presenti sul suolo nazionale risultava essenziale al fine di integrare quanti si erano già stabiliti da tempo, evitando, inoltre, di fomentare il malcontento nazionale rispetto alla congiuntura economica sfavorevole degli anni Settanta.

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