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Un breve sguardo sulla Gran Bretagna

I. L’Europa del dopoguerra e le migrazioni internazionali

2. Il Secondo dopoguerra

2.4 Un breve sguardo sulla Gran Bretagna

La Gran Bretagna fu il primo tra i paesi dell’Europa occidentale a sperimentare e comprendere la difficoltà dell’integrazione dei migranti nella società nazionale. La storia coloniale britannica fu essenziale nel determinare la conformazione e la portata dei flussi migratori, che furono principalmente tre dal XIX secolo fino al 1966: dalla Repubblica Irlandese (793.000 immigrati), dai paesi del Commonwealth (978.000) e da altri paesi (887.000). Se si escludono i circa 500 mila39

immigrati di origine europea dei primi anni Cinquanta, i flussi più consistenti nel Secondo dopoguerra furono quelli irlandesi e dal New Commonwealth (853.000 dei 978.000).

Gli irlandesi furono il gruppo nazionale più numeroso presente sul suolo britannico; la loro immigrazione, iniziata sin dal XIX secolo, aumentò notevolmente nell’immediato dopoguerra, favorita dal libero accesso al lavoro e dalla parità del trattamento giuridico. Tra il 1946 e il 1959 furono circa 350.000 gli irlandesi che emigrarono in Gran Bretagna. Il flusso calò poi nei primi anni Sessanta. I cittadini provenienti dai paesi del Commonwealth rappresentarono invece una quota irrilevante fino al 1950, nonostante godessero della libertà di ingresso in seguito all’emanazione del Nationality Act, nel 1948, che gli conferiva la cittadinanza. Da quell’anno iniziò a salire il numero dei cittadini provenienti dalle Indie Occidentali, che raggiunse tra il 1955 e il 1956 la media annua di 30.000 ingressi, fino al

38S.COLLINSON, Le migrazioni…, cit., p. 120.

39S. CASTLES e G. KOSAK, Immigrazione e struttura…, cit., p. 36. 460.000 stranieri, tra profughi, ex prigionieri di guerra, manodopera reclutata con l’EVW (European Voluntary Workers) e lavoratori entrati con regolare permesso di lavoro (circa 100.000). L’EVW è stato l’unico programma britannico per il reclutamento di manodopera nell’Europa continentale e, tra il 1947 e il 1950, fece giungere circa 90.000 lavoratori europei in GB, ricollocati dal Ministero del lavoro nei settori in cui più grave era la scarsità di lavoratori disponibili: l’agricoltura, l’industria pesante e quella mineraria. I lavoratori potevano essere espulsi in caso di cattiva condotta, di malattie o di incidenti. Il programma incontrò però l’ostilità delle Nazioni Unite, per il trattamento discriminatorio attuato nei confronti di questi immigrati; nonché quella dei lavoratori inglesi.

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picco di 98.000 unità, tra il 1961 e il 1962. Nello stesso periodo si manifestò un’intensa immigrazione dal New Commonwealth, che sfiorò le 600 mila unità40. Fino al 1962 l’immigrazione da tutti i paesi

indicati fu spontanea, poiché non era presente un sistema di reclutamento come in Francia o nella RFT. Questi immigrati erano attivi sul mercato del lavoro ed erano impiegati soprattutto nelle regioni con industrie in espansione, nelle posizioni rifiutate dalla forza lavoro locale, come avveniva negli altri due paesi esaminati.

Fu il forte afflusso di cittadini provenienti dalle ex colonie orientali e africane a far emergere delle riserve nel discorso pubblico, relativamente alla possibilità di integrare quanti già si trovavano nel Regno Unito qualora fossero arrivati altri immigrati dal Nuovo Commonwealth. Già uno studio del 1949, effettuato dopo i primi ingressi dalle ex colonie orientali, aveva criticato l’immigrazione “di colore”, riconoscendo le difficoltà dell’inserimento di questi cittadini nel tessuto sociale41. Ma il

crescente malcontento rispetto alla situazione trovò effettivamente espressione in due provvedimenti solo negli Sessanta, i due Commonweath Immigrant Act, del 1962 e del 1968. Il primo mirava a regolare i flussi dal Commonwealth attraverso un sistema di vouchers, che vennero concessi con liberalità almeno fino al 1964; il secondo limitava l’ingresso in Gran Bretagna a tutti coloro che, pur possedendo un passaporto britannico, non avevano il diritto di residenza, del quale godevano i figli dei nati in Gran Bretagna. Veniva così attuata, nel concreto, una discriminazione tra cittadini del Vecchio e del Nuovo Commonwealth42. Nel 1971 venne infine emanato l’Immigrants Act, un unico statuto che

sostituiva tutta la legislazione precedente e introduceva disposizioni per il controllo dell’ammissione e del soggiorno dei cittadini del Commonwealth e di tutti gli altri paesi. Venne mantenuta la libertà di circolazione solo per i cittadini irlandesi, ma anche la distinzione tra patrials e non patrials. Venivano introdotte richieste di visto per cittadini di alcuni paesi stranieri e del Commonwealth, a seconda delle circostanze43.

In seguito ai provvedimenti varati negli anni Sessanta mutò la composizione dei flussi. Questi presentarono una drastica riduzione nel numero degli attivi ammessi per la prima volta e un aumento degli inattivi, mettendo in luce la direzione verso la quale la nuova politica migratoria si stava spostando, ovvero verso la preferenza per i ricongiungimenti familiari. Tra il 1962 e il 1968, furono 77.966 i permessi di lavoro rilasciati a fronte di 257.220 ammissioni di familiari.

Nella stessa ottica rientravano i provvedimenti presi dalla Francia. La costituzione di un nuovo ufficio governativo nel 1966 e i due accordi con l’Algeria riflettevano la nuova consapevolezza della necessità di una coerente politica migratoria che permettesse di gestire l’immigrazione con maggiore efficacia rispetto al passato, nella prospettiva di mitigare la tensione sociale, in quegli anni molto alta,

40Per tutti i dati relativi alla Gran Bretagna consultare il testo di S. CASTLES e G. KOSAK, Immigrazione e

struttura…, cit.

41S.COLLINSON, Le migrazioni…, cit., p. 107.

42L’immigrazione per tutte le restanti nazionalità era ancora regolata dagli Aliens Act del ’14 e del ’19. 43S.COLLINSON, Le migrazioni…, cit., p. 119.

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indipendentemente dalle questioni razziali. Allo stesso modo, nella Germania federale, il problema dell’integrazione passava dal dibattito pubblico all’elaborazione di principi e alla stesura di programmi. Già prima che la crisi iniziata nel 1973 imperversasse, dunque, alcuni segni di cambiamento si erano manifestati nelle politiche dei vari paesi. La convergenza delle politiche dei diversi stati verso il sostegno ai ricongiungimenti familiari e lo scoraggiamento delle prime ammissioni di lavoratori migranti, che surrogassero i nazionali nelle posizioni lavorative rifiutate, rispose allora principalmente a esigenze sociali. Solo nel decennio successivo le motivazioni di natura economica determinarono la prosecuzione della chiusura nei confronti dell’immigrazione, comportandone un ulteriore irrigidimento.

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