V. Stranieri in Italia, ipotesi quantitative e direzione dei flussi
3. I migranti dai paesi meno avanzati
Lo spostamento di popolazione dai Paesi del Terzo Mondo verso l’Europa prese avvio durante gli anni Cinquanta e Sessanta, ma fu nell’arco del ventennio compreso tra il 1970 e il 1990 che il fenomeno acquisì maggiore consistenza, aumentarono le zone di partenza e si arricchì l’area geografica di destinazione dei flussi migratori sul Vecchio continente. L’Italia, nello stesso lasso di tempo cambiò lentamente la sua posizione all’interno del contesto migratorio europeo, diventando anch’essa una meta per i migranti provenienti dai PVS o meno avanzati, europei ed extra-continentali. La presenza straniera si delineò in quest’ultimo stato come un universo composito, nel quale alle comunità più consistenti si affiancarono piccoli gruppi di stranieri che giunsero dagli stati più disparati286. Dalla fine
degli anni Sessanta fu attestata la presenza in Italia di gruppi di migranti, relativamente numerosi, provenienti da paesi economicamente poco avanzati: la conformazione della popolazione straniera iniziò a cambiare e i rentier dei PSA si apprestarono a diventare una delle sue facce.
La vicinanza territoriale e la svolta restrittiva realizzata nei paesi dell’Europa occidentale, fino ad allora meta privilegiata dalle nazionalità euro-mediterranee, determinarono l’incremento di alcune delle comunità europee già presenti nel decennio precedente agli anni Settanta in Italia: gli spagnoli, i greci e i jugoslavi detennero il maggior numero di permessi di soggiorno tra i cittadini dei paesi con un reddito pro capite inferiore dell’Europa proprio in quest’ultimo decennio287.
Il gruppo greco aumentò sia in termini assoluti che percentuali; incrementò la consistenza degli spagnoli e dei jugoslavi, ma in modo troppo lento rispetto all’espansione del flusso generale288,
cosicché il loro peso sul totale dei permessi rilasciati diminuì assieme a quello delle altre nazionalità europee. Di contro, una crescita della componente extra-europea iniziò a farsi strada. Il censimento del 1981 rivelò, infatti, l’inizio di una convergenza tra le quote dei migranti provenienti dai paesi europei meno avanzati e quelle di altri cittadini dei PVS africani e asiatici. Il censimento del 1991 confermò questa tendenza, mostrando valori assoluti quasi invariati rispetto alla precedente rilevazione per le nazionalità greca e spagnola; invece crebbero in maniera notevole alcune collettività extra-continentali, che in alcuni casi superarono i numeri registrati per le due nazionalità europee (Tab.5.4).
Il calo della componente proveniente dalla Spagna e dalla Grecia fu dovuto primariamente alla diminuzione del numero degli espatri nei due stati, come diretta conseguenza della crescita economica interna e del cambiamento sociale e culturale ad essa legato. Gli spagnoli, arrivati in Italia
286Le relazioni ministeriali sui permessi di soggiorno della fine degli anni ’60 evidenziavano già questa tendenza. La conferma arrivò con il censimento del 1981, nel quale si scelse di assegnare a 48 paesi un numero per la codificazione della cittadinanza, mentre nel 1971, oltre ai paesi dell’area continentale, tale numero venne assegnato solo ad altri 13 stati. A muovere l’ISTAT verso la decisione di ampliare il quadro di rilevazione delle cittadinanze, fu la consapevolezza che il panorama delle nazionalità presenti in Italia si era notevolmente ampliato e molte di esse erano cresciute in maniera considerevole nel corso degli anni Settanta.
287R. CAGIANO DE AZEVEDO, Breve analisi dei…, cit., p. 340. 288Ibidem
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prevalentemente per motivi di lavoro alla fine degli anni Sessanta289, spesso occupati nel settore dei
servizi290 (nelle mansioni più umili), abbandonarono con anticipo il nuovo paese di destinazione
rispetto ai greci. Le migliori condizioni economiche dello stato di partenza avevano modificato l’offerta di lavoro spagnola, non più adatta ad incontrare la domanda di lavoro italiana, che, come avremo modo di vedere, riservava agli stranieri dei PVS le mansioni più svilenti, rifiutate dalla forza lavoro nazionale. L’immigrazione greca, che invece si caratterizzò per l’alta percentuale di studenti sin dal principio291, proseguì ancora numerosa nel corso degli anni Ottanta: dal 1969 al 1991, per questa
nazionalità lo studio rappresentò il principale motivo di rilascio del permesso di soggiorno (circa la metà per tutto il periodo)292. La particolare natura di questo flusso determinò la presenza per brevi
periodi di buona parte dei greci, ma la diminuzione della loro presenza stabile (verificatasi nel corso dell’ultimo decennio considerato) scaturì probabilmente anche dall’acquisizione della cittadinanza di una parte dei migranti.
Per quanti arrivarono dalla Jugoslavia, l’emigrazione verso l’Italia seguì un’evoluzione differente rispetto alle altre nazionalità europee, più simile nelle modalità di arrivo e nella condizioni della permanenza a quella dei cittadini asiatici e africani. Gli jugoslavi con regolare permesso di soggiorno nel 1981 furono circa 12 mila; nel 1970 e nel 1976 la cifra si aggirò intorno a 7 mila. La loro quota, che si mantenne stabile per tutta la prima parte degli anni Settanta iniziò a crescere immediatamente dopo. Tra il 1981 e il 1991 la consistenza dei censiti passò da 7 mila a 28 mila unità, con un aumento percentuale affine a quello rilevato per l’Africa e l’Asia (Tab.5.4). Ma ad avvicinare questo flusso a quello degli altri paesi del Terzo Mondo fu l’esistenza di una grossa componente di lavoratori clandestini, come rilevò l’indagine effettuata dal Censis: il peso della comunità slava era compreso, in realtà, in una cifra tra le 20 e le 40 mila unità nella seconda metà degli anni Settanta293.
Per quanto riguardava i cittadini provenienti dall’Africa e dall’Asia ‒ per i quali risultò una presenza più che doppia tra il censimento del 1971 e quello del 1981‒ si ebbe notizia, dai dati ministeriali, che essi rappresentavano, complessivamente, il 9% circa (15.000 unità) del totale degli stranieri provvisti di regolare permesso di soggiorno nel 1969. In questo caso, solo il 15% dei permessi compariva tra quelli rilasciati per motivi di lavoro, mentre per il 45% dei casi il motivo del rilascio era lo studio. La loro consistenza, seppure in aumento nel decennio successivo, non assunse caratteri realmente allarmanti almeno secondo i dati ufficiali: nel 1975, furono regolarmente presenti 23.793 cittadini asiatici e africani, il 12,8% dei 185.715 permessi rilasciati nello stesso anno (il 71% delle presenze
289ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, inv.13/016,7 parte III(5),
Stranieri in Italia, b.326, fasc. 15383/1.
290L. EINAUDI, Le politiche dell’immigrazione…, cit., p. 86.
291ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, inv.13/016,7 parte III(5),
Stranieri in Italia, b.326, fasc. 15383/1.
292L’informazione è stata dedotta tenendo in considerazione i dati presenti nella rilevazione ministeriale del 1969, quelli sulla popolazione studentesca del 1981 riportati in M.NATALE, Fonti e metodi…, cit., (1986), p. 196; e quelli del XIII censimento generale della popolazione.
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extraeuropee); anche in quel periodo, per quasi la metà dei permessi, lo studio comparì come motivo del rilascio294.
Tab.5.4 Le principali comunità estere dei PVS nei censimenti del 1981 e 1991 e aumenti percentuali. Paesi 1981 1991 Aumento% Africa 30.848 151.504 391 di cui: Egitto 3.751 11.303 201 Etiopia 3.046 5.659 86 Ghana ─ 8.901 ─ Marocco 1.501 57.952 3761 Libia 4.684 1.641 -65 Tunisia 9.028 25.132 178 Senegal ─ 14.925 ─ Asia 24.361 75.584 210 di cui: Cina Popolare ─ 9.715 ─ Filippine 2.233 18.208 715 Iran 4.678 5.708 22 Sri Lanka-Ceylon ─ 6.818 ─ Bangladesh ─ 4.225 ─ Totale 55.209 227.088 311 Europa 194.937 201.018 3 di cui: Jugoslavia 7.196 27.920 288 Grecia 10.410 8.669 -17 Spagna ─ 8.568 ─
Note: (─) dato non disponibile; fonte: ISTAT, XII e XIII censimento generale della popolazione. [mia elaborazione]
Alla data del censimento del 1981, la quota dei migranti provenienti dall’Africa e dall’Asia fu rispettivamente di 30.848 e 24.361 unità e i gruppi più consistenti risultarono quelli di nazionalità tunisina, libica, egiziana, etiope, filippina e iraniana (Tab.5.4) che in totale costituivano il 50% delle due componenti.295 Nel 1991 accanto a queste più antiche comunità si aggiunse la presenza di altri
gruppi numerosi: per la Cina, non considerata in modo specifico nel corso del censimento del 1981, si contarono circa 10 mila unità, per il Senegal 15 mila, mentre il Marocco passò da meno di 2 mila a circa 58 mila presenze.
Nel 1970 e nel 1976, secondo le stime ufficiali, il totale dei permessi di soggiorno rilasciati per le principali comunità asiatiche e africane, individuate nei primi anni Ottanta, fu di 3.593 nel primo anno e di 7.295 nel secondo (dal conteggio sono esclusi i cittadini libici, per i quali non si possiedono
294C
ENSIS, I Lavoratori stranieri…, cit., p. 17.
295I temporaneamente presenti erano 6.222 per l’Africa e 7.215 per l’Asia. I dati si trovano nella Tavola 34 in ISTAT, XII censimento generale della popolazione, Vol. II, Tomo 3 Italia, parte seconda.
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informazioni dettagliate).296 La loro percentuale sul numero complessivo degli immigrati regolari
aumentò tra il ’70 e il ’76 dal 2,4 al 3,8%, nel 1981 rappresentarono invece il 7% dei presenti, sia stabili che temporanei. Nel 1991 i dodici gruppi più consistenti dei due continenti costituivano il 32% degli stranieri residenti e non radicati. I dati, anche in questo caso, difettarono per una sottostima: i permessi di soggiorno rilasciati ai tunisini nel 1981 furono circa 2 mila; di contro, i censiti superavano le 9 mila unità. Negli anni precedenti, il divario tra permessi di soggiorno rilasciati e l’entità reale della presenza tunisina venne posta in evidenza dal Censis, che a fronte dei 606 tunisini con regolare permesso di soggiorno del 1976 ne stimava, per la sola Sicilia, tra le 5 e le 10 mila unità.297 Allo stesso
modo sfuggirono agli organi ufficiali di controllo molte altre nazionalità, come quella filippina, capoverdiana, eritrea etc.298. Quest’ultima, fu ritenuta la nazionalità africana più concentrata a Milano
nel 1975: erano oltre il 50% dei 3000 africani stimati, ma solo il 20% risultava regolarmente iscritto presso l’Ufficio Stranieri della questura299.
Tra le maggiori comunità provenienti dal Terzo Mondo, che stavano aumentando in Italia tra gli anni Settanta e Ottanta, quelle maghrebine e quella jugoslava presentarono dunque i numeri maggiori. Gli spostamenti di popolazione dal Maghreb verso l’Europa presero avvio durante il periodo coloniale, ma si intensificarono in seguito all’indipendenza politica dei tre stati. I flussi, iniziati già nei primi anni Cinquanta, si diressero principalmente verso la Francia, ma nel corso degli anni Sessanta vennero tracciate più traiettorie sulle quali i movimenti da questi paesi prosperarono: indirizzandosi prima verso gli altri stati dell’Europa occidentale (Germania, Paesi Bassi, Belgio), poi verso quelli mediterranei (Spagna, Italia). Alla fine degli anni Ottanta la Francia ospitava ancora, secondo i dati del Sistema d’Osservazione permanente delle Migrazioni dell’Ocse (SOPEMI), più del 90% degli algerini emigrati, circa il 60% dei marocchini e l’80% dei tunisini300. Nonostante ciò, i numeri ufficiali
registrati in Italia apparivano comunque molto alti se guardati alla luce di un passato coloniale inesistente in quelle zone e di condizioni economiche apparentemente poco favorevoli all’arrivo di ulteriore forza lavoro nel mercato nazionale. Tuttavia, al contrario di quanto le statistiche ufficiali dichiararono, sia la comunità tunisina, che quella marocchina, iniziarono a dirigersi verso la penisola italiana già dai primi anni Settanta, soprattutto illegalmente. I flussi dal Marocco, infatti, iniziarono in contemporanea a quelli tunisini, ma dei primi nemmeno gli studi effettuati a livello locale riuscirono a cogliere la portata. Probabilmente la loro presenza sfuggì agli studiosi a causa della collocazione in settori dell’economia meno strutturati rispetto a quelli in cui furono, invece, impiegati i tunisini. Il migrante marocchino che arrivava in Italia negli anni Settanta, dedicandosi principalmente al commercio ambulante di artigianato etnico o di manufatti italiani, o lavorando stagionalmente
296CENSIS, I Lavoratori stranieri…, cit., p.16. 297Ivi, p.107.
298Il fenomeno è ampiamente discusso nella letteratura inerente all’immigrazione straniera in Italia. Ma è messo in risalto, soprattutto, negli studi che prendono in esame aree geografiche circoscritte.
299ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44,1971/1975, 13/016,9 parte II, Stranieri, b.425, fasc. 15120/6.
300A. BERRADA, Le migrazioni dal Maghreb verso l’Europa. Il caso dell’Italia, in E. MORETTI, I movimenti
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nell’edilizia e nell’agricoltura, vi rimaneva solo temporaneamente, per poi tornare ciclicamente in patria. La provvisorietà del lavoro e la pendolarità, uniti alla prospettiva di tornare in patria (elementi in realtà diffusi tra tutti i migranti di origine maghrebina) rappresentarono il grosso limite che segnò, almeno fino alle metà degli anni Ottanta, la mancata integrazione nella società ospitante e il rifiuto dello stanziamento sul territorio italiano, fatti che ne compromisero irrimediabilmente il rilevamento301.
L’errata percezione dell’immigrazione dal Terzo Mondo e la molteplicità dei gruppi, non si presentavano come gli unici elementi avversi alla comprensione del fenomeno. All’eterogeneità della popolazione immigrata, inoltre, corrispondeva un’ampia gamma di modelli migratori: motivazioni di natura politica, culturale ed economica dominarono la scena e non di rado ognuna di esse sembrò definire, più delle altre, le nazionalità presenti. In alcune realtà regionali il legame tra identità etnica e tipo di migrazione apparve ancora più stretto. Nelle Marche un’indagine a campione rivelò che, nella prima metà degli anni Ottanta, l’80% della presenza greca e iraniana fu dovuta allo studio; la maggioranza dei vietnamiti giunse per cause politiche; mentre le comunità inglesi, tunisine e marocchine si stabilirono nella regione, quasi totalmente, per ragioni economiche, anche se in termini marcatamente diversi per grado e qualità del lavoro in cui vennero occupati302.
La situazione si presentò, in vero, molto più articolata. Spesso, per ogni nazionalità ed ogni individuo, la spinta a partire dipese dal combinarsi di esigenze legate ad ognuno dei tre motivi indicati e le cause originarie dei diversi flussi non sempre coincisero con quelle che determinarono successivamente la formazione di vere e proprie catene migratorie303. La comunità filippina, di circa 250-300 unità
provviste di regolare permesso di soggiorno tra il 1967 e il 1971, crebbe notevolmente nella seconda metà degli anni Settanta: la quantità dei permessi passò da 872 a 4.801 tra il 1976 e il 1981304. Le
motivazioni politiche, collegate al clima di tensione che lo stato delle Filippine visse fino alla proclamazione delle leggi marziali del 1972 e oltre, mossero la maggioranza dei primi migranti, ma, al volgere del decennio, le cause economiche e socioculturali risultarono essere i fattori di spinta più diffusi305.
Trasse origine da una difficile situazione politica anche la migrazione dai paesi del Corno d’Africa. La situazione di guerra permanente, che accompagnò l’area dai primi anni Sessanta fino a primi anni Novanta, quando l’Eritrea riuscì a conquistare l’indipendenza dall’Etiopia, rimase sempre il principale motivo di partenza306. Il passato coloniale dell’Italia incoraggiò la decisione dei migranti etiopi a
spostarsi verso questa meta, ma fu la possibilità di trovare un’occupazione a fare in modo che si stabilisse un canale migratorio, che anche in questo caso, si sviluppò nel corso degli anni Settanta: la
301A. BERRADA, Le migrazioni dal…, cit., p. 35.
302MARIA CARMELA MICCOLI, Gli stranieri in Italia: note su una recente indagine, in «Studi Emigrazione», n. 87, XXIV (1987), p. 448.
303Cfr. E. RAYNERI, La catena migratoria…, cit.
304ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, inv.13/016,7 parte III(5),
Stranieri in Italia, b.326, fasc. 15383/1, e R. CAGIANO DE AZEVEDO, Breve analisi dei…, cit., p. 340.
305FRANCESCO CARCHEDI e GIOVANNI BATTISTA RANUZZI, Tra collocazione nel mercato del lavoro secondario
ed esclusione dal sistema di cittadinanza, in N. SERGI, L’immigrazione straniera…, cit., p.37. 306Ibidem.
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presenza regolare per questa nazionalità passò dalle circa 400 unità del 1971, alle 2.345 del 1976, alle 5.471 nel 1981307.
Le cause particolari dei singoli movimenti contribuirono a tessere una nuova rete di flussi migratori internazionali, intrecciata attorno ad un unico filo rosso soggiacente a tutti gli spostamenti dai PVS, già individuato nelle disuguaglianze economiche e nelle differenze demografiche tra aree di partenza e di destinazione308.