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La circolare 51/22/IV del 1963

IV. Il momento della transizione Il caso del Friuli-Venezia Giulia

4. La circolare 51/22/IV del 1963

La Costituzione italiana disponeva che il trattamento degli stranieri fosse regolato in toto dalla legge, ma fino al 1986 i riferimenti legislativi con oggetto la figura del lavoratore furono molto pochi. Per questo motivo il compito di regolamentare e regolare i flussi di manodopera dall’estero, non appena si presentò il problema, spettò all’Esecutivo. Quest’ultimo affidava la gestione diretta del fenomeno alla Pubblica amministrazione, la quale agì principalmente avvalendosi di disposizioni in forma circolare. La discreta libertà d’azione, garantita da una base giuridica scarsa, creò però non pochi problemi in seno all’amministrazione statale, che dovette in primo luogo affrontare la questione della suddivisione delle competenze tra i diversi ministeri interessati allo sviluppo del fenomeno. Quest’ultimi, inoltre, non sempre si trovavano d’accordo su come intervenire in materia e difficilmente riuscirono a concordare un piano d’azione unitario, come vedremo. Ciò portò inevitabilmente alla dilatazione dei tempi entro i quali costruire una normativa organica.

A fondamento dell’azione ministeriale stavano l’articolo 9, comma 3, della legge n. 264 del 20 aprile 1949, modificato dalla legge n.5 del febbraio 1961, il quale recitava: «i lavoratori stranieri che chiedono di iscriversi nelle liste di collocamento devono essere muniti di permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di documento equipollente previsto da accordi internazionali»205. Accanto, due soli

altri riferimenti legislativi, ovvero l’articolo 2, 5° comma, della legge del 10 gennaio del 1935, il quale

204ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, inv.13/016,7 parte III(5),

Stranieri in Italia, b.326, fasc. 15383/1/2.

205Abrogazione della legislazione sulle migrazioni interne e contro l’urbanesimo, nonché disposizioni per

agevolare la mobilità interna dei lavoratori, «Gazzetta Ufficiale», 18 febbraio 1961 n.43, in ADELINA ADINOLFI,

La normativa italiana sul collocamento degli stranieri, in G. GAJA, I lavoratori stranieri…, cit. p. 15. Inoltre era previsto secondo il decreto legislativo n. 1577 del 14 dicembre 1947 e ribadito dalla legge n. 127 del 17 febbraio 1971, che i cittadini extracomunitari restassero esclusi dalla possibilità di associarsi in cooperativa e che restassero esclusi dai pubblici impieghi, in DAMIANO BONINI, Politica immigratoria e bisogni sociali dell’immigrato. Una prima riflessione, in N. SERGI (a cura di), L’immigrazione straniera in Italia, Roma, Edizioni Lavoro, 1987, p. 164.

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prevedeva che, come per i lavoratori dipendenti italiani, anche gli stranieri fossero muniti di libretto di lavoro. Per quest’ultimi il libretto doveva però essere rilasciato dall’Ispettorato provinciale del lavoro, anziché dal sindaco del comune di residenza.

Anche nel Testo unico era stata abbozzata la disciplina relativa ai rapporti di lavoro tra italiani e stranieri. Secondo quanto previsto dall’art.145 al datore di lavoro, che avesse assunto uno straniero alle sue dipendenze, era posto l’obbligo di comunicare, entro cinque giorni dall’assunzione, le generalità del lavoratore e a quale servizio quest’ultimo era stata adibito; era invece di 24 ore il termine per comunicare la cessazione del rapporto di lavoro206.

La normativa riguardante l’immigrazione straniera, pur riconoscendo la possibilità dell’instaurarsi di un rapporto di lavoro, inseriva l’unico articolo relativo a tale fatto nell’ottica di un controllo della presenza dei migranti, senza preoccuparsi minimamente di approntare una disciplina relativa alla gestione dei flussi di manodopera dall’estero. Il legislatore mancò in sostanza di precisare i criteri per la concessione del permesso per motivi di lavoro e fu su questo campo che gli organi amministrativi competenti in materia d’immigrazione e di lavoro si scontrarono sulle linee da seguire per affrontare l’arrivo dei migranti economici. A partire dai primi anni Sessanta l’azione ministeriale si snodò praticamente lungo due linee principali, ovvero lungo la via del mantenimento dell’ordine pubblico e lungo il tentativo di normare, almeno da un punto di vista amministrativo, l’afflusso di lavoratori stranieri.

Il Ministero del lavoro agì prendendo presto posizione, poiché già da qualche tempo era riuscito ad individuare nei flussi migratori diretti verso l’Italia una matrice economica. Nel 1963 con la circolare 51/22/IV del 4 dicembre il suddetto Ministero avocò a sé la responsabilità della concessione del permesso indicato, nell’ottica di tutelare la manodopera nazionale dalla possibile attrattiva che il mercato del lavoro italiano avrebbe potuto esercitare sui migranti internazionali. La circolare prevedeva che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro venisse subordinato alla concessione dell’autorizzazione al lavoro, la cui pratica era affidata agli Uffici provinciali del lavoro (Upl, poi Uplmo – Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione). Il Ministero dell’interno, a cui spettava il compito di organizzare la disciplina relativa all’ingresso e al soggiorno di cittadini stranieri, veniva così relegato, almeno per ciò che atteneva i migranti dichiaratamente economici, ad un gradino inferiore.

Con l’introduzione dell’autorizzazione veniva inoltre ribaltato quanto stabilito nel Tu sulle procedure relative all’assunzione del lavoratore straniero. Secondo quanto previsto dalla circolare del 1963, il datore di lavoro interessato all’assunzione di un cittadino straniero doveva presentare l’istanza all’Upl della circoscrizione in cui l’azienda aveva sede. L’Ufficio, dopo aver accertato l’indisponibilità di manodopera nazionale, avrebbe rilasciato l’autorizzazione al lavoro, che a sua volta doveva essere presentata alla Questura territorialmente competente per farvi apporre il nulla-osta. Prima del 1963 gli obblighi previsti per il datore di lavoro, secondo quanto scritto nel Testo unico (art 150), dovevano

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adempiersi successivamente all’assunzione e la comunicazione del fatto doveva essere indirizzata esclusivamente presso gli uffici di Pubblica sicurezza. In sostanza il nuovo meccanismo introdotto con la circolare 51/22/IV obbligava il datore di lavoro a compiere una richiesta formale presso la Pubblica amministrazione, al fine di ottenere l’assenso per la stipulazione di un contratto di lavoro con un lavoratore straniero. Il benestare dell’amministrazione pubblica si esprimeva formalmente con l’autorizzazione al lavoro ed era dunque il Ministero del lavoro a farsi controllore della manodopera entrante.

Dopo aver ottenuto il nulla osta, il datore di lavoro doveva inviare al lavoratore l’autorizzazione, che avrebbe rappresentato un titolo valido per la concessione del visto di ingresso in Italia, che lo straniero doveva chiedere alla Rappresentanza consolare italiana nello Stato di residenza. Una volta giunto in Italia, il lavoratore straniero doveva recarsi presso la Questura territorialmente competente, che in seguito all’esibizione dell’autorizzazione al lavoro poteva rilasciare il permesso di soggiorno per scopi lavorativi207.

Tanto nel caso del rilascio dell’autorizzazione al lavoro che nel caso del nulla osta i due organi competenti prima di deliberare in senso favorevole o meno avevano l’obbligo di compiere degli accertamenti. Al Ministero del lavoro era affidato il compito di controllare l’indisponibilità di manodopera nazionale a ricoprire la posizione resa disponibile, mentre il Ministero dell’interno doveva sincerarsi che non sussistessero motivi ostativi di altro genere al rilascio del permesso. Il procedimento per l’accertamento di indisponibilità di manodopera nazionale avveniva prima a livello provinciale e regionale, poi, in caso di esito negativo la ricerca veniva estesa in ambito nazionale, mediante la pubblicazione dell’offerta di lavoro sul bollettino ministeriale Informazioni per il collocamento208.

Nel 1973, con alla circolare del Ministero del lavoro 38/107/III del 25 gennaio, veniva fissato il limite di 30 giorni dalla data di pubblicazione decorsi i quali l’Ufficio provinciale del lavoro poteva provvedere al rilascio dell’autorizzazione. Tale cambiamento arrivò per ovviare alla lentezza della gestione delle pratiche e alle inefficienze del Collocamento: veniva posto il limite temporale alla ricerca su base nazionale, in modo tale da far accelerare i tempi burocratici, cercando di evitare le ripercussioni che tali lentezze facevano patire alle aziende209. Le vicende che seguono mostreranno

come effettivamente ciò rappresentasse un problema serio, al quale bisognava porre rimedio.

207 MINISTERO DEL LAVORO, DIREZIONE GENEREALE DEL COLLOCAMENTO E DELLA MANODOPERA, circolare 51/22/IV del 4 dicembre 1963 sull’impiego di lavoratori subordinati stranieri, lett. b e d pp.3-4.

208Erano esclusi dalla ricerca dell’indisponibilità di lavoratori nazionali i cittadini Cee, quelli Ocse (per i quali veniva solo svolta un’indagine sommaria delle possibilità offerte dal mercato del lavoro. Per i rifugiati veniva svolta invece l’attestazione d’indisponibilità solo a livello provinciale. Per tutti gli altri la ricerca era invece effettuata sull’intero territorio nazionale. L. EINAUDI, Le politiche dell’immigrazione…, cit., p. 99.

209Si fa riferimento alla storia di cave del Predil e al dibattito interministeriale scatenato dalla richiesta di manodopera Jugoslava in Friuli- Venezia Giulia, eventi dei quali si è discusso nel cap. III.

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