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Una conciliazione impossibile La Pubblica amministrazione a confronto con

IV. Il momento della transizione Il caso del Friuli-Venezia Giulia

6. Una conciliazione impossibile La Pubblica amministrazione a confronto con

l’immigrazione

La difficoltà di guidare la manodopera nazionale verso sistemi economici nazionali in grado di assorbirla dipendeva da una più generale mancanza di coordinamento in seno agli apparati burocratici e da una politica inefficace, incapace di garantire al lavoratore meridionale una serie di condizioni essenziali per favorirne la partenza. Allo stesso modo, l’assenza di una prospettiva unitaria per la gestione del fenomeno immigratorio permetteva a quest’ultimo di estendere la sua portata, anche oltre i confini della legalità.

Il Ministero dell’interno, al quale premeva soprattutto di tutelare la cittadinanza da perturbazioni di natura etnica, si riservava la facoltà di negare il nulla osta e di avviare delle indagini sull’operato delle ditte e sui potenziali lavoratori stranieri; e in alcune occasioni (ritenute a suo avviso troppo minacciose) non mancava di porre il proprio veto alle assunzioni, contrastando l’operato del Ministero del lavoro, il quale invece concedeva le autorizzazioni al lavoro preventive per l’ottenimento del visto.

La paura era quella che dietro all’arrivo dei lavoratori regolari si sviluppasse il fenomeno della clandestinità dell’impiego di manodopera straniera, del quale si percepivano già i primi segnali, soprattutto relativi al settore della collaborazione domestica223. Il suddetto Ministero si mostrava

addirittura riluttante rispetto alla sola possibilità di estendere la portata dei servizi di autocorriere tra i

222Il Ministero degli affari esteri scriveva nel novembre del 1970: «si desidera attirare nuovamente la cortese attenzione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, alla cui competenza istituzionale appartiene la materia del reclutamento dei lavoratori, pregandolo di volere cortesemente far conoscere il proprio parere in merito alla possibilità di favorire maggiormente l’assunzione di operai italiani nelle industrie giuliane. Finora, […], ci si è limitati a perseguire delle soluzioni di fatto della questione, mediante l’introduzione di una più vigile e restrittiva prassi in merito alla concessione dei visti […].». Il documento è datato 1 novembre 1970 in Ivi. 223La Prefettura di Gorizia scrive: «è noto che queste lavoratrici spesso concordano un orario settimanale di poche ore per cui il controllo riesce particolarmente difficile». Il documento è datato 11 giugno 1973 in ACS,

Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1971/1975, 13/016,9 parte I, Lavoratori frontalieri,

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due stati224. Alla fine però, costretto dalla reale urgenza di non arrestare lo sviluppo industriale della

regione si trovò nella posizione di dover acconsentire quasi sempre alle richieste di nulla osta presentate dalle aziende; in ogni caso, dopo che tutti gli accertamenti erano stati effettuati ˗ non si trattava solo dell’accertamento di indisponibilità, il Ministero dell’interno poteva di volta in volta attuare ulteriori verifiche, consultandosi con enti locali di varia natura.

Paradossalmente, fu la scrupolosità con la quale vennero eseguite le verifiche a favorire, almeno nel caso del settore industriale, il proliferare delle assunzioni clandestine. Già nel 1971, il Ministero del lavoro non mancò infatti di segnalare che laddove erano state riscontrate assunzioni irregolari, le ditte avevano addotto come giustificazione «l’eccessiva lentezza delle pratiche di accertamento dell’indisponibilità di lavoratori italiani»225.

Il disbrigo delle pratiche per la concessione del visto richiedeva effettivamente dei tempi piuttosto dilatati, che si scontravano apertamente con le urgenze espresse dalle aziende.

Il caso della ditta AMMI risulta esemplare per descrivere quali inefficienze si riscontrassero nel sistema di controllo che era stato previsto. Il 19 febbraio del 1970 la ditta inoltrò al Ministero dell’interno la richiesta per il rilascio del nulla osta per l’ottenimento del visto per 80 lavoratori jugoslavi,226 dopo aver ricevuto conferma dell’indisponibilità di manodopera nazionale. Il 20 di

novembre l’azienda inviava alla Prefettura di Udine una lettera con la quale sollecitava l’ente al fine di far pervenire al più presto la risposta relativa all’istanza inviata nove mesi prima per ricevere il nulla osta. Il fatto appare piuttosto bizzarro, poiché tra i fascicoli ministeriali compare un altro documento, datato 16 giugno 1970 e inviato dalla Direzione generale della pubblica sicurezza al Ministero degli affari esteri, nel quale veniva specificato che già in data 24 febbraio il medesimo mittente aveva autorizzato la Questura di Udine a rilasciare il prescritto nulla osta. Evidentemente qualcosa nella macchina amministrativa si era inceppata: il visto avrebbe dovuto essere rilasciato dal Ministero degli affari esteri dal quale però probabilmente non era giunta alcuna comunicazione227.

La procedura venne allora riavviata in data 12 dicembre dal Ministero dell’interno, il quale prolungò ulteriormente i tempi d’attesa scegliendo di rimandare la decisione relativa all’accoglimento della

224Un servizio di autocorriere era già attivo per Cave del Predil e il Ministero degli affari esteri, riconoscendo la necessità di non frenare lo sviluppo industriale dell’area a causa della mancanza di manodopera, ma volendo evitare lo stanziamento dei lavoratori slavi, proponeva l’estensione del servizio. A riguardo il Ministero dell’Interno scriveva: «questa proposta a parere della scrivente, lascia insoluto il problema di fondo, cioè di evitare o quantomeno di contenere l’occupazione di manodopera straniera nelle industrie nazionali. Inoltre è da tenere presente che l’instaurazione del sistema dei cosiddetti “pendolari” inevitabilmente potrebbe estendersi ad altri casi, con riflessi negativi per quanto concerne l’ordine e la sicurezza pubblica. Difatti, gli organi di polizia incontrerebbero gravi difficoltà a spiegare la necessaria vigilanza nei confronti di stranieri che, avendo facilità d’ingresso e d’uscita giornaliera nel nostro territorio, potrebbero sfuggire ad ogni controllo». Da una nota del Ministero dell’Interno del 22 gennaio 1971, in ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1971/1975, 13/016,9 parte I, Lavoratori frontalieri, b. 298, fasc. 13504(4).

225Documento del 13 maggio 1971, in Ivi.

226 In realtà seguendo l’intero iter burocratico della vicenda si apprende che 80 era la quota di stranieri alle dipendenze della ditta che si sarebbe raggiunta qualora fossero stati concessi i visti a circa 30 (anche in questo caso il numero non risulta chiaro) nuovi cittadini jugoslavi.

227Tutti i documenti citati si trovano in ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, 13/016,7 parte III(5), Stranieri in Italia, b.326, fascicolo 13396/96 (1,2).

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domanda inoltrata dalla ditta in un secondo momento, ovvero dopo aver ascoltato il parere degli altri due ministeri competenti in materia. La scelta di non concedere immediatamente il nulla osta dipese dai risultati ai quali giunse un’indagine che lo stesso Ministero aveva commissionato nella primavera di quell’anno all’Ufficio centrale per i problemi delle zone di confine. L’inchiesta, che venne recapitata alla Direzione generale di pubblica sicurezza nei primi giorni di novembre, affermava che il fenomeno dell’immigrazione di lavoratori slavi era ancora contenuto, ma anche che, qualora fosse continuata la promozione industriale dell’area e non si fosse risolto il problema della reperibilità di manodopera locale, la presenza di jugoslavi sul territorio friulano sarebbe aumentata considerevolmente, mettendo in pericolo il già fragile equilibrio etnico della regione228. In attesa che il

Ministero del lavoro e quello degli affari esteri consultassero quello stesso documento ed esprimessero il loro parere, la pratica relativa alla ditta AMMI venne sospesa. Nel febbraio dell’anno successivo arrivò finalmente la comunicazione presso il Commissariato di Trieste con la quale si affermava che non sussistevano motivi ostativi alla concessione del visto229.

Quanto finora esposto forse rappresentava un caso limite, ma che il procedimento per l’assunzione di lavoratori stranieri fosse ricco di passaggi e che tra le maglie della burocrazia si perdesse molto tempo non ci sono dubbi. Tra le varie verifiche, previste ed impreviste, tra le possibilità che le informazioni si perdessero o che venissero modificate (come è accaduto in questo caso) e l’attesa di ascoltare i diversi pareri, in questa prima fase dell’arrivo dei lavoratori stranieri il rischio di dilatare i tempi e di creare un danno alle aziende era effettivo.

Questo fu il motivo che portò il Ministero del lavoro ad autorizzare con la nota 16888/IR/E del 23 marzo del 1971 la limitazione in ambito regionale della ricerca di manodopera disponibile230. Tale

decisione allontanava sensibilmente l’azione del suddetto Ministero da quella auspicata degli altri due ministeri competenti in materia d’immigrazione, poiché veniva limitata ulteriormente le possibilità di assunzione di lavoratori nazionali, che invece era ciò a cui questi ultimi ambivano.

Il diverso atteggiamento assunto dai vari organi della Pubblica amministrazione nei confronti del nuovo problema portava all’immobilismo e non faceva altro che aggravare la situazione. Ancora nel 1973, nonostante il dibattito si stesse svolgendo da almeno tre anni, non era stato stilato un piano organico e non si era nemmeno giunti ad una comunione d’intenti. Nel maggio di quell’anno il Ministero degli affari esteri e quello del lavoro si trovavano ancora su posizioni discordanti. Il primo dichiarava di concordare con le conclusioni alle quali era giunto il Ministero dell’interno circa «l’inderogabilità di reperire nell’ambito nazionale i lavoratori necessari all’industria nel Friuli-Venezia Giulia, […], anziché consentire il ricorso alla manodopera jugoslava»231e in considerazione di ciò

228Documento dell’Ufficio centrale per i problemi delle zone di confine del 9 novembre 1970, in Ivi.

229Documento del Ministero dell’Interno del 6 febbraio 1971, in ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto,

fascicoli correnti dal ’44, 1971/1975,13/016,9 parte I, Lavoratori frontalieri, b. 298, fasc. 13504.

230Documento ricevuto dal Ministero dell’Interno il 28 maggio 1973ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto,

fascicoli correnti dal ’44, 1971/1975,13/016,9 parte I, Lavoratori frontalieri, b. 298, fasc. 13504(4).

231Documento del 28 maggio 1973 del Ministero degli Affari esteri, in ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto,

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esprimeva parere contrario all’assunzione di lavoratori jugoslavi nelle aziende friulane, rinnovando ancora una volta l’invito al ministero competente (quello del lavoro) di risolvere le difficoltà connesse al mancato afflusso dalle altre regioni italiane.

Il Ministero del lavoro, dal canto suo, anche se in parte d’accordo con quanto suggerito dagli altri ministeri, non poteva non dare ascolto all’Ufficio regionale del lavoro del Friuli-Venezia Giulia, che propendeva per un proseguimento dell’arrivo di manodopera straniera nella regione. A detta di tale Ufficio la rigidità del mercato del lavoro regionale e la limitata ricettività del territorio per l’eventuale sistemazione di lavoratori immigrati da altre regioni e delle loro famiglie, costituivano un freno allo sviluppo industriale dell’area. Perciò, nella consapevolezza che qualsiasi intervento, soprattutto sul secondo aspetto, non avrebbe potuto sortire alcun effetto nell’immediato, il medesimo Ufficio sosteneva che non ci fossero altre alternative al ricorso di manodopera slava e per questo motivo, ancora nel 1973, invitava gli altri ministeri e il Ministero al quale faceva capo a valutare positivamente ˗ in quanto deterrente della clandestinità ˗ la limitazione all’ambito regionale della ricerca di manodopera, presa due anni prima232.

L’Ufficio regionale del lavoro friulano si spinse addirittura oltre il limite raggiunto dal dibattito interministeriale nel periodo precedente, avanzando timidamente la proposta di una soluzione radicalmente opposta alla linea tenuta fino ad allora dalla Pubblica amministrazione. Sempre nello stesso documento del maggio del 1973 scriveva:

L’eventuale determinazione preventiva di contingenti di lavoratori jugoslavi da ammettere al lavoro, potrebbe, se realizzato con le dovute cautele, portare qualche vantaggio; al momento attuale è però, ad avviso dello scrivente, di difficile se non impossibile realizzazione pratica, in quanto potrebbe facilmente procurare, da una parte e dall’altra, proteste e critiche facilmente prevedibili. La soluzione migliore rimane ancora quella in vigore che subordina di volta in volta il benestare ai lavoratori jugoslavi alla diretta constatazione della non disponibilità di lavoratori nazionali.233

Il Ministero del lavoro, consapevole che tali considerazioni si discostavano non poco da quanto invece veniva prospettato dagli altri ministeri, chiese di convocare l’ennesima riunione interministeriale per chiarire i termini della questione e provare a concordare le misure necessarie a contenere l’immigrazione di lavoratori in Italia.

Purtroppo la documentazione utile a ricostruire il quadro successivo relativo alle scelte amministrative sul caso friulano non sono ancora disponibili, ma da altri documenti sappiamo che ancora nei due anni questa posizione interveniva anche la Presidenza del consiglio dei ministri nell’anno successivo. Nota del 19 febbraio 1974 in Ivi.

232Documento ricevuto dal Ministero dell’Interno il 28 maggio 1973, in ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto,

fascicoli correnti dal ’44, 1971/1975, 13/016,9 parte I, Lavoratori frontalieri, b. 298, fasc. 13504(2)

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successivi il problema della carenza di lavoratori locali non si era esaurito e che quello relativo alla crescita della componente clandestina iniziava a prendere una consistenza sempre più ragguardevole. In sostanza, nel 1973, il Ministero dell’interno e quello degli affari esteri mantenevano una linea dura alla quale gli organi periferici ad essi sottoposti cercavano di aderire, mentre sul fronte opposto quello del lavoro proseguiva con una linea più morbida tesa a salvaguardare lo sviluppo dell’economia locale. Infatti, nel 1973, quest’ultimo optò per la limitazione dei tempi burocratici per la ricerca di disponibilità di forza lavoro nazionale, e gli altri due ministeri, volenti o nolenti, dovettero accettare quanto era stato deciso, essendo del primo la reale competenza in materia.

In definitiva, l’incapacità dimostrata dalla Pubblica amministrazione nel trovare un accordo già solo sulle linee generali da seguire rispetto all’arrivo di lavoratori stranieri, non poteva che tradursi in una difficoltà di gestire sul piano pratico la situazione di fronte alla quale si trovavano e che iniziava a sfuggirgli di mano. Di certo la totale impreparazione a questo evento giustificava in parte quanto stava accadendo, ma incise notevolmente anche l’inefficienza pregressa mostrata nei confronti della gestione dei lavoratori nazionali. Fu su queste debolezze dell’amministrazione statale che il fenomeno poté crescere.

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