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Movimenti al confine orientale, l’arrivo dei lavoratori

IV. Il momento della transizione Il caso del Friuli-Venezia Giulia

2. Movimenti al confine orientale, l’arrivo dei lavoratori

In Italia, le autorità preposte al controllo della pubblica sicurezza e operanti nella pubblica amministrazione si interessarono degli arrivi, spesso clandestini, dal confine orientale già prima degli anni Settanta. Una nota inviata dalla Direzione generale della pubblica sicurezza al Gabinetto del Ministero dell’interno, a quello della Presidenza del consiglio dei ministri e al Ministero degli affari esteri, nel 1964, ebbe come oggetto l’arrivo di 242 clandestini nel mese di gennaio dello stesso anno, 177 dei quali si presentarono alla questura di Trieste191. Il documento notificava quanti, tra quelli

segnalati, risultavano in possesso dei requisiti di eleggibilità per la concessione dell’asilo politico. Una corrispondenza del 1968 tra la Prefettura di Gorizia e il Ministero dell’interno192 evidenziava,

invece, come la percezione del fenomeno nel Friuli-Venezia Giulia iniziava a farsi strada attraverso la stampa. Nel luglio dello stesso anno, i quotidiani “Il Messaggero veneto” e “Il Gazzettino” divulgarono la notizia dell’esistenza di agenzie preposte al traffico di clandestini tra la frontiera italiana e jugoslava. Sebbene il documento prefettizio fosse stato prodotto per comunicare l’esito negativo degli accertamenti seguiti alla pubblicazione delle due inchieste giornalistiche, questo tradì la consapevolezza che i gestori della pubblica sicurezza avevano di un ordinario passaggio di frontiera illegale:

Dalle modalità degli ingressi clandestini di questi ultimi tempi, si può escludere l’esistenza di organizzazioni speculatrici in quanto i passaggi dal confine sono avvenuti attraverso i punti di controllo o scavalcando la rete di delimitazione nel piazzale di Montesanto, località ormai tradizionale anche se vigilata permanentemente dalla guardia confinaria jugoslava193.

I due documenti appena menzionati raccontano dell’esistenza di una zona di confine particolarmente permeabile nel Friuli-Venezia Giulia, difficilmente controllabile per le autorità preposte per porre un freno agli ingressi clandestini sulla frontiera orientale. Il cittadino jugoslavo Ivan Juricic, ad esempio, approdò in Italia per mezzo di un canotto di gomma nel luglio del 1965. La località d’arrivo fu Lazzaretto, una frazione costiera del comune di Muggia (TS), confinante a sud con l’attuale Slovenia. Il passaggio per mare fu piuttosto agevole per Juricic e la presenza di un piccolo golfo sul confine potrebbe aver rappresentato un elemento favorevole per la scelta della modalità d’accesso. Quanto accaduto risultò più problematico, invece, per le autorità locali italiane, che avrebbero potuto

191ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1964/1966, 13/016,6 parte IV, Profughi e

rifugiati, b.465, fasc. 17353.

192ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, 13/016,7 parte III(5), Stranieri

in Italia, b.326, fasc. 15383/1/sott.3.

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intercettare lo sbarco solo pattugliando la costa costantemente194. Allo stesso modo, la sorveglianza del

confine terrestre risultò non di rado insufficiente a bloccare il transito di clandestini. Il Sig. Bruno Molan, nato a Zagabria nel 1928, alla guida di un’autovettura «sottraendosi alle operazioni di controllo, riusciva a superare il posto di blocco di Farnetti e sfuggire al personale di servizio al valico»195.

La fallibilità del servizio di sorveglianza della frontiera fu un problema che interessò sia le autorità italiane che quelle jugoslave. Vlastimil Majer, di nazionalità cecoslovacca, si presentò spontaneamente alla stazione dei carabinieri del posto di blocco di San Bartolomeo (Muggia) per chiedere asilo politico, dopo aver oltrepassato il confine nei pressi della frazione indicata il 23 agosto del 1965. L’uomo, superficialmente ferito all’avambraccio sinistro, precisò che ad esplodere il colpo che lo raggiunse fu un soldato jugoslavo in servizio confinario196, che non riuscì ad impedire la sua fuga, ma che catturò la

moglie e il figlio.

L’attraversamento del confine orientale non fu prerogativa solo degli slavi. Come Vlastimil Majer, molti altri cecoslovacchi, romeni e ungheresi stanziati in Jugoslavia arrivarono in Italia clandestinamente e qui avanzarono la richiesta d’asilo politico197. Un prospetto statistico elaborato dal

commissariato di Trieste nel 1963198, rese conto dell’afflusso di clandestini giunti dalla Jugoslavia

nell’anno 1962. Il documento citò anche preziose informazioni relative alla produzione di studi analoghi effettuati negli anni precedenti, che furono messi a confronto al fine di individuare le tendenze del flusso da oriente: l’ingresso di cittadini originari italiani e delle minoranze presenti in Jugoslavia risultò in ripresa, dopo una fase di diminuzione. La nuova crescita, secondo lo stesso studio, fu determinata dall’accentuazione della politica di nazionalizzazione che il governo jugoslavo mise in atto in quel periodo. L’indagine pose però l’accento sul verificarsi di un progressivo calo di quanti presentavano effettivamente i requisiti per ottenere l’asilo politico, mentre veniva riscontato un aumento del numero di quanti entravano muniti di regolari documenti d’ingresso.

Qualcosa stava cambiando, un’immigrazione dal volto nuovo si faceva largo e lentamente spazzava via il vecchio afflusso sul confine orientale di richiedenti asilo.

Pochi anni dopo, nel 1970, un telespresso inviato dal Consolato generale d’Italia in Capodistria all’Ambasciata d’Italia a Belgrado riportò le stime effettuate dai sindacati del capodistriano sull’impiego di manodopera jugoslava in Europa, rese note sul settimanale “PrimorskeNoviee”: gli jugoslavi che si trovavano in Italia per ragioni di lavoro nell’anno precedente erano 12 mila, circa 8 mila in più di quanti nello stesso anno possedevano un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Nel 1974, infatti, le preoccupazioni espresse dal Ministero degli affari esteri presentarono uno scenario

194ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44 1964/1966, 13/016,6 parte IV, Profughi e

rifugiati, b.465, fasc. 17353/85.

195Ibidem. 196Ibidem.

197ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1967/1970, 13/016,7 parte III(5), Stranieri

in Italia, b.326, fasc. 15383/1/sott.3.

198Il documento è stato inviato alla Presidenza del Consiglio, al Ministero dell’Interno e a quello degli Affari Esteri, si trova in ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, fascicoli correnti dal ’44, 1964/1966, 13/016,6 parte IV, Profughi e rifugiati, b.465, fasc. 17370/85.

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completamente diverso rispetto a quello dei primi anni Sessanta199. La trasformazione della natura dei

flussi dal vicino stato slavo, già iniziata nel decennio precedente, si fece chiara agli occhi dell’amministrazione statale. Sparirono dal discorso le minoranze etniche, gli originari italiani e le motivazioni politiche soggiacenti a queste migrazioni. I lavoratori provenienti dalle regioni più povere del vicino paese, impiegati clandestinamente in qualità di manovali o collaboratori domestici, erano il nuovo oggetto d’interesse. Venne avanzata una stima sulla loro consistenza (erano circa 5 mila i lavoratori clandestini slavi stimati), ma non venne chiarita nella documentazione la loro posizione rispetto al possesso o meno di un permesso di soggiorno per motivi diversi da quello di lavoro.

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