• Non ci sono risultati.

Lo slavista italiano Carlo Verdiani nella sua grammatica La Lingua Polacca del 1956 afferma che non esiste una lingua più facile di un’altra ma che tuttavia il polacco possa, tra le lingue slave, offrire un incoraggiamento agli studiosi italiani per i numerosi prestiti da altre lingue, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, e anche grazie all’alfabeto e alla pronuncia dei suoni. Infatti, a differenza di altre lingue slave, il polacco ha il vantaggio di ricorrere all’uso dei segni dell’alfabeto latino. Nello specifico il polacco possiede 8 articolazioni vocaliche e 35 articolazioni consonantiche, graficamente notate appunto con l’alfabeto latino modificato secondo un sistema misto: i diagrammi in funzione monofonematica (cioè per indicare un’articolazione semplice) oppure con simbolo dell’alfabeto latino modificato da segni aggiuntivi detti segni diacritici (Lewiński 2004: 15). Infatti per adeguare le lettere dell’alfabeto latino ai suoni del polacco fu necessario il ricorso a diversi criteri grafici, tra cui i segni diacritici e i digrammi.

107 Come puntualizza Verdiani:

Un singolo fonema può essere reso graficamente da uno (b,c, d,ecc.) da due (sz, cz,rz,dz, ch) ed anche da tre segni (dzi = dź). A volte uno stesso suono è reso da segni diversi (rz, ż = ž ; u, ó = u). L’uso dell’alfabeto latino rese necessario l’accoppiamento simbolico di due o più segni per un unico suono, là ove in altre lingue slave i caratteri dell’alfabeto cirilliano hanno un unico segno. L’idea dell’accoppiamento fu suggerita dallo stesso alfabeto latino (gruppi ph, ch), ma si ricorse anche a segni diacritici: virgolatura (ą, ę), accento (ś,ć, ź, dź), punto (ż, dż), sbarra (ł), usati anche nell’unione di due cons., avendo dź e dż suono assai diverso fra loro oltre da dz.

(Verdiani, 1956:4)

Capita quindi che si incontrino nella lingua polacca parole caratterizzate da un predominio di consonanti sulle vocali, come ad esempio nelle parole chrzest (battesimo), przestrzeń (spazio), brzeszczot (lama) dove ogni gruppo di consonanti rz,

sz, cz identifica un suono ben preciso. Inoltre, l’impressione che il polacco sia saturo di

consonanti è rafforzata dall’ortografia, in base alla quale alcune consonanti che non hanno un segno nell’alfabeto latino vengono scritte con un digrafo composto da due consonanti. Ne sono un esempio i digrafi sz, cz che rappresentano il fonema š (in inglese “sh”) e c (in inglese “ch”). Alcune frasi esemplificative di questo fenomeno, presentate spesso agli stranieri per mostrare loro la complessità del sistema fonetico polacco sono le seguenti:

W gąszczu szczawiu we Wrzeszczu (Fra fitti cespugli di acetosa a Wrzeszcz.)

W Szczebrzeszynie chrząszcz i trzmiel brzmią w trzcinie (A Szczebrzeszyn un coleottero e un bombo suonano fra le canne).

(Pisarek, 2007, 4)

Il polacco è l’unica lingua slava ad aver conservato le vocali nasali che vengono segnalate graficamente con le lettere ą e ę. Piu precisamente il polacco presenta quattro tipi di suoni nasali che sono il risultato dell’evoluzione subita dalle vocali nasali lunghe e brevi, molli (palatalizzate) o dure (Fici, 2001). Inoltre il polacco ha perduto la distinzione tra le vocali lunghe e quelle brevi.

108

Per quanto concerne l’accento le lingue slave possono essere divise in due gruppe; lingue ad accento intensivo o lingue ad accento melodico. All’interno delle lingue ad accento intensivo è possibile individuare due sottogruppi, quelle ad accento intensivo libero e quelle ad accento intensivo fisso. Fanno parte delle lingue ad accento intensivo libero il russo, il bielorusso e l’ucraino poiché una stessa unità fonetica a seconda dell’accento può assumere significati diversi (in russo múka significa tormento ma, cambiando l’accento muká cambia significato e assume quello di farina) (Fici, 2001:23). Il ceco e lo slovacco sono caratterizzati da un accento intensivo fisso sulla prima sillaba, con quantità vocalica distintiva. A seconda della lunghezza della vocale cambia il significato e la vocale lunga è riconoscibile dall’accento acuto. In ceco rada significa consiglio mentre ráda vuol dire contenta. Lo sloveno, il croato e il serbo sono lingue ad accento melodico. Il polacco, come il sorabo e il macedone, è una lingua ad accento intensivo fisso. Questo significa che nella lingua polacca l’accento è fisso sull’ultima sillaba, a parte alcune eccezioni per esempio nel caso di alcune parole composte (Reczpospolita, Repubblica polacca), alcune forme del passato (zrobiliśmy,

abbiamo fatto) o alcune parole di origine latina e greca (matematyka, matematica). Nel

caso invece di un pronome monosillabico preceduto da preposizione l’accento va su quest’ultima, ad esempio do nich (fino a loro)(Fici, 2001:134).

Inoltre come sottolinea Verdiani nella lingua polacca:

La pronuncia dei singoli suoni non rappresenta per il principiante un viaggio nell’imprevisto, come può accadere per l’inglese. Regole stabili, con scarse variazioni regionali, determinano suoni precisi.

(Verdiani,1956:4)

Anche l’italiano come il polacco fa parte della famiglia delle lingue indoeuropee e insieme allo spagnolo, al francese, al portoghese, al rumeno e al retoromanzo appartiene al gruppo delle lingue romanze. L’italiano, lingua ufficiale della Repubblica italiana e una delle lingue ufficiali in Svizzera, è parlata da circa 60 milioni di persone al mondo. La lingua italiana a differenza del polacco risente molto delle influenze dialettali e presenta quindi numerose variazioni regionali della lingua italiana standard.

109

Per quanto concerne il livello fonologico, l’alfabeto italiano è costituito da 21 lettere, 16 consonanti e 5 vocali e deriva da quello latino antico, che comprendeva 24 lettere. Rispetto ad altri alfabeti (quali quello francese ed inglese) è contraddistinto da una buona corrispondenza tra suoni (fonemi) e lettere (grafemi), ma è tuttavia un sistema di scrittura imperfetto poiché non presenta sempre una corrispondenza biunivoca tra fonemi e grafemi. Ad esempio nella lingua italiana troviamo il grafema (h) che non corrisponde ad alcun suono, il grafema (q) che ha lo stesso suono della (c) dura per cui "casa", "quadro" e "cuore" presentano lo stesso suono ecc.

Inoltre a differenza del polacco, l’italiano possiede sia le vocali aperte che le vocali chiuse che però vengono usate in modi diversi a seconda della regione.

In italiano l’accento, al contrario del polacco, è mobile e può modificare il significato della parola. Ad esempio.

viola: un delinquente vìola la legge ma nel prato posso trovare una

viola;

ancora: l 'àncora è utilizzata dai marinai, ancora è un avverbio. Un altro elemento caratterizzante l’aspetto prosodico della lingua polacca, e non solo, è rappresentato dalle alternanze (in polacco oboczności) vocaliche e consonantiche, un fenomeno sconosciuto alla lingua italiana e forse anche per questo motivo così ostico per coloro che si accingono ad apprendere il polacco. Voglio precisare che non si intende in tale sede trattare in maniera approfondita il gioco alterno di passaggi vocalici e consonantici, bensì spiegare a grandi linee in che cosa questi consistano. In primis è bene puntualizzare che il fenomeno delle alternanze non è peculiare delle lingue slave, tuttavia è molto frequente nella lingua polacca.

L’altenanza consiste nella modificazione o scambio di vocale o di consonante in corpo di parola, sia per flessione (N.matka, D. matce; Pass, 1. pers. sing. niosłem, 3. pers. sing. niósł) sia per derivazione (bóg, boski).

110

Possiamo avere due tipi di alternanze: vocalica (per esempio: wieziesz – wiozę,

dąb – dęby) o consonantica (per esempio: ręka – ręczny, woda – wodzie). Queste a loro

volta possono essere quantitative, se una vocale appare o scompare, oppure qualitative se vi è uno scambio di vocale o di consonante. Un esempio di alternanza quantitativa è la seguente pień – pnia, mentre a titolo esemplificativo di alternanza qualitativa possiamo menzionare noga – nózka.

Talvolta nelle parole appartenenti alla stessa famiglia la radice è identica o analoga (ręka, ręcznik, rękawiczka) ma l’alternanza può verificarsi anche in seno alla radice stessa. Le alternanze sono da far risalire a processi linguistici avvenuti nei secoli scorsi, come ad esempio il fenomeno dello przegłos polski, in tedesco polnische

Vokalumlautung, che portò, tra il IX e il XIII secolo, a trasformare le vocali e, ę, ě

precedute da consonanti dure quali (t, d, n, s, z) in o, ą, a. In certi casi l’alternanza può modificare la struttura grammaticale. Per spiegare meglio tale concetto possiamo menzionare l’alternanza -a ⁄⁄ -e che determina il passaggio dell’aspetto tra verbi semplici imperfettivi (lecieć, jeść) e derivati semplici iterativi (latać, jadać); fra composti perfettivi (wylecieć, zjeść) e derivati imperfettivi (wylatać, zjadać). Nel tempo passato, nelle tre persone plurali del maschile si assiste all’alternanza ł ⁄⁄l, per esempio być,

byliśmy, byliście, byli mentre nelle stesse persone al femminile e al neutro troviamo il

fonema ł, byłyśmy, byłyście, były. Sempre nell’esempio appena citato è possibile riscontrare l’alternanza vocalica i⁄⁄y nel passaggio dalla forma maschile a quella femminile e neutra nella coniugazione dei tempi passati. Un’alternanza frequente nella lingua polacca è rappresentata dalla “e” detta appunto “e” mobile, in polacco “e”

ruchome. Si tratta di un’alternanza quantitativa che determina la comparsa o scomparsa

del fonema “e”. Si manifesta ad esempio nei seguenti casi: dzień – dnia, worek –

worka, ze mną – z nim, przede wszystkim – przed domem.

Una delucidazione storica in merito a tale alternanza la troviamo nella grammatica di Verdiani che cito di seguito:

Il fenomeno trova spiegazione nel trattamento degli “jer” ( trascrizione ŭ,ĭ) dello slavo antico, vocali ultrabrevi, dura (ŭ) e molle (ĭ), che venivano pronunciate con minore o maggiore forza a seconda della loro posizione. Uno “jer” finale è caduto. Uno “jer” in posizione forte, cioè seguito da sillaba contenente “jer” (sŭ-

111

nŭ, pĭ-sŭ) passò in polacco a vocale piena (ŭ >e, ĭ > 'e) mentre lo “jer” in posizione debole, cioè seguito da sillabe contenenti vocale piena (G. sg. sŭ-nu, pĭ-sa) cadeva. Così lo slavo antico N. Sg. sŭnŭ, pĭsŭ ha dato rispettivamente N. sg. sen, pies, ma le forme del G. sg sŭnu, pĭsa diedero snu, psa.

(Verdiani, 1956:27)

Le parti del discorso