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Per quanto concerne il concetto di flessione, nell’ambito della linguistica si riferisce ad ogni variazione di tipo morfologico di una parola realizzata per indicarne le caratteristiche grammaticali o sintattiche.

Fleksja jest działem morfologii, który opisuje odmianę wyrazów, czyli działanie i efekty reguł fleksyjnych. O regułach tych wiemy już, że są to takie reguły morfologiczne, które muszą być stosowane do pewnych klas leksemów dla wyrażenia odpowiednich funkcji językowych, a ich efekty są w wysokim stopniu regularne funkcjonalnie i formalnie. Podlegają im nie wszystkie leksemy języka polskiego, lecz znaczny ich zbiór zgrupowany w częściach mowy, które z tego względu nazywamy odmiennymi częściami mowy. Są to: rzeczowniki, przymiotniki, względniki, liczebniki i czasowniki.

(Wróbel, 2001:84)

È importante non confondere la flessione con la derivazione, quest’ultima porta alla creazione di nuove parole cosa invece che non accade con la flessione. Uno dei criteri adottati per distinguere tra flessione e derivazione è quello del morfema obbligatorio proposto da Greenberg (1954), il morfema obbligatorio è quello della flessione. Considerando la seguente frase:

139  Il bicchiere sta cadendo.

Il morfema –ndo non può essere sostituito da nessun altro morfema, altrimenti la frase non risulterebbe corretta. In questo caso si parla di flessione. Nella frase:

 Il libro è sul tavolino.

Il suffisso –ino non è obbligatorio, infatti volendo è possibile usare l’espressione „piccolo tavolo.” Questo è dunque un esempio di derivazione.

Le categorie di flessione sono due, a seconda che si tratti di un verbo o di un sostantivo. Nel caso dei verbi si parla di coniugazione mentre, nel caso di parole che compongono il sintagma nominale, di declinazione. La flessione del sintagma nominale riguarda ogni suo elemento, in particolare il sostantivo, il pronome e l’aggettivo; e attraverso la flessione, le desinenze indicano la funzione sintattica svolta dal nome indipendentemente dalla sua collocazione all’interno della frase. Il caso rappresenta per il nome la categoria flessiva più importante. Prima di affrontare i casi della lingua polacca appare opportuno soffermarsi sul concetto stesso di caso, in polacco przypadek, infatti come afferma Butt (2006):

[…] the notion case means different things to different people. Indeed a survey of all the phenomena which have been described as case leads one to the conclusion that one does not know what case really is […] we do not have a well-defined understanding of the notion of case. There are some core notions which most linguists would agree on, but not every linguist will extend the label case to the same range of phenomena.

(Butt, 2006:2-3)

Il linguista Blake (2006:47) definisce così il caso: “Case is essentially a system of marking dependent nouns for the type of relationship they bear to their heads.” Dal suo punto di vista oltre agli affissi flessivi e agglutinati, possono essere considerati marcatori di caso anche gli elementi adpositivi:

Adpositions can be considered to be analytic case markes as opposed to synthetic case markers like the suffixes of Thurkish or Latin.

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In base a tali ragionamenti vengono considerati alla stregua dei casi anche i diversi mezzi di codifica impiegati dalle lingue flesse (polacco), da quelle agglutinate (turco), o anche dalle lingue con elementi adpositivi (giapponese).

I contributi di altri studiosi (Spencer e Otoguro,2005), invece tendono a limitare il concetto di Blake, infatti questi sono concordi nell’affermare che si possa parlare di casi e di lingue a casi solo in presenza di morfologia flessiva. Nel caso di lingue agglutinate, essendo il suffisso di caso identico per tutti i paradigmi, è inutile parlare di genitivo o ablativo.

This point is all the more valid for languages such as Japanese or Indo-Aryan in which the case-markers are actually postpositions, particles or phrase-final clitics. In such languages, there is absolutely no need to refer to any kind of case label in the morphology since all statements can be couched in terms of the postposition, particle or clitic.

(Spencer & Otoguro, 2005:122)

Il termine “caso” non è altro che la traduzione della parola greca ptosis, utilizzata da Aristotele per riferirsi sia alla flessione del nome che del verbo. La parola

ptosis deriva dal termine pipto che letteralmente significa "cado" ed infatti, proprio

come un qualsiasi oggetto cade, così anche il nome “cade” dalla normale posizione verticale espressa dal nominativo (casus rectus) che, costituisce il caso di riferimento rispetto a cui si determina la posizione “obliqua” (casus obliqui) (Dürscheid, 1999). Dunque il filosofo greco con il termine ptosis identificava tutte le parti del discorso diverse da quella del nominativo per i sostantivi e diverse dalla prima persona singolare all’indicativo presente per i verbi. Tuttavia già nell’opera di Dionisio Tracio (circa 100 a.C) Teche Grammatike la parola caso include sia il nominativo che il vocativo (Rudzka-Ostyn & Tabakowska 2000). Nelle lingue slave, come precisa Fici vi sono sei (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, strumentale e locativo) o sette casi a seconda che si includa il vocativo o meno.

Il polacco, come già menzionato, è una lingua altamente flessiva, come precisa Lewiński (2004):

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i sostantivi, gli aggettivi e i pronomi secondo la funzione grammaticale-sintattica assumono sette forme casuali, le cui desinenze sono distinte secondo le diverse declinazioni e secondo i numeri.

(Lewiński, 2004:16)

Il linguista Strutyński (1996) definisce così il caso nella lingua polacca:

Przypadek jest to kategoria fleksyjna, która służy do wyrażania stosunków syntaktycznych zachodzących między składnikami wypowiedzenia, czyli do odróżniania podmiotu od dopełnienia, okolicznika czy przydawki. We współczesnym języku polskim istnieje siedem przypadków: mianownik (M – kto?, co?), dopełniacz (D – kogo?, czego?), celownik (C – komu?, – czemu?), biernik (B – kogo?, co?), narzędnik ( N – kim?, czym?), miejscownik (Ms – o kim?, o czym?; w kim?, w czym?), wołacz (W). Wołacz właściwie nie jest przypadkiem, bo nie wskazuje na związki składnikowe w wypowiedzeniu, lecz jest formą rz. używaną w funkcji apelu przy zwracaniu się do innych.

(Strutyński, 1996:161)

Di seguito verranno brevemente illustrati i sette casi della lingua polacca, si vuol comunque precisare che i casi della flessione nominale non hanno sempre un’uscita univoca ed esclusiva (Verdiani, 1956).

Il nominativo (mianownik) è il caso del soggetto e di tutte le parti del discorso che vi si riferiscono. Viene impiegato anche nel predicato nominale quando il verbo essere “być” non è espresso e anche dopo il pronome dimostrativo “to”.

Ojciec pracuje w szkole.

Pamiętaj, żeś nie Niemiec, żeś Rzymianin.

To moja matka.

Il genitivo (dopełniacz) è il caso maggiormente ricorrente nella lingua polacca e quindi in questa sede ci si limiterà a presentarne solamente gli usi principali, ovvero:

per specificare il contenuto di un oggetto (butelka wody – bottiglia d’acqua), per indicare l’appartenenza (ksiązka Piotrka – il libro di Piotrek ), per indicare la materia di cui è fatto un determinato oggetto (bransoletki ze złota – braccialetti d’oro);

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nelle frasi negative (nie czytam ksiązki – non leggo i libri);

dopo alcuni verbi, ovvero dopo i verbi riflessivi (bać się kogo, czego – avere paura di qualcosa, di qualcuno), con i verbi impersonali (potrzeba pieniędzy – sono necessari i soldi, chę mi się wody – ho voglia d’acqua), con i verbi che segnalano una mancanza (brakuje ci

energii – ti manca l’energia);

 con avverbi che indicano abbondanza o mancanza, con avverbi di stima, di prezzo e di misura (dosyć wina – parecchio vino, trochę

wody – poca acqua) ;

per mettere in rilievo il valore partitivo del sintagma nominale (daj mi

chleba – dammi del pane);

con il pronome interrogativo co coś (coś nowego – qualcosa di nuovo);

Vi sono casi in cui il genitivo è impiegato in funzione dell’accusativo; questo avviene in tutte le lingue slave che hanno conservato la flessione nominale. Questo fenomeno trova spiegazione nella teoria funzionalista condivisa dalla maggioranza degli studiosi (Kuryłowicz 1962:1964, Comrie 1978). In base a tale teoria il genitivo viene impiegato per :

[…] dare all’oggetto diretto una marca speciale in grado di renderlo sempre distinto dal soggetto nel caso entrambi abbiano le stesse caratteristiche: un alto grado di animatezza e definitezza.

(Castelluccia, 1988:61)

Tale teoria non riguarda solo la lingua polacca o le lingue slave bensì anche altre lingue tra cui il persiano, il turco, il mongolo, il catalano, lo spagnolo. La creazione di una nuova marca, il cui uso inizia ad essere documentato sia nella lingua polacca che in quella russa intorno al XI secolo, era infatti indispensabile per disambiguare nei casi in cui il soggetto e l’oggetto avevano un referente umano e non era più possibile distinguere tra nominativo e accusativo. Considerato che il polacco è una lingua caratterizzata dall’ordine libero delle parole, una frase del tipo: “Syn widiał ojciec” era

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ambigua e poteva essere tradotta in due modi diversi: “il figlio ha visto il padre” o “il padre ha visto il figlio”. Esiste anche l’ipotesi, sostenuta da Kuryłowicz (1935) secondo la quale il genitivo, come l’ablativo e il nominativo, deriverebbero dal caso ergativo e di conseguenza mostrerebbero traccia dell’ergativo indoeuropeo.

Il dativo (celownik) spesso svolge la funzione di complemento indiretto e risponde alle domande: A chi? A che cosa? (Kupiłam Ci mieszkanie). Inoltre il dativo è utilizzato anche nei seguenti casi:

in alcune espressioni impersonali (nudzi mi się; zależy mi na tym): dopo certi avverbi e sostantivi (smutno mi; strasznie mi gorąco;

szkoda nam tej porażki; wsztyd mi za was):

 con alcuni verbi, in particolare con quelli che sono seguiti dal complemento di termine (dam ci torbę, dziękuję wam serdecznie;

przypomnij kolegom o naszym spotkaniu; palenie skodzi każdemu) ;

con alcuni verbi impersonali (podobał mi się ten obraz, dobrze mu się

powodzi);

L’accusativo (biernik) è il caso del complemento oggetto (codzienne piję kawę). Non è utilizzato se il verbo è retto da negazione, in tal caso si usa il genitivo. È inoltre impiegato per indicare la durata (był na urlopie cały tydzień ).

Il vocativo (wołacz) è utilizzato nelle espressioni di saluto o commiato, negli appelli e nelle preghiere; spesso troviamo i nomi proprio di persone espressi al vocativo.

(Pani Marto! Wojtku!) Una caratteristica del vocativo è quella di riuscire, anche se

espresso da un solo sostantivo, a costituire un enunciato a sé in quanto sintatticamente indipendente dal resto della frase. A differenza degli altri casi, il vocativo non esprime funzioni sintattiche e rapporti logici all’interno della frase (Trovesi, 2008). Nella lingua polacca il vocativo viene sempre più spesso sostituito dal nominativo.

Proces ten, obserwowany od dawna, trwa i trudno w tej chwili przewidzieć, czy wszystkie formy wołacza zanikną na korzyść mianownika.

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(Dąbrowska, 1988: 59)

Lo strumentale (narzędnik) è il caso del complemento indiretto ed è impiegato per definire il mezzo, lo strumento, il tempo, il luogo, il modo, la causa ecc. (pokroił

nożem mięso; jadę samochodem). Un’altra funzione del caso strumentale è quella di

identificare il predicato nominale italiano (Krzysztof jest poetą; stała się modelką). Il locativo (miejscownik) introduce un complemento indiretto retto da una preposizione (na, po, o, w, przy) e corrisponde al complemento d’argomento o complemento di stato in luogo (jestem w domu; czytam o mafii)

Nella lingua italiana, a livello superficiale, non è possibile identificare dei casi a livello morfologico come avviene nel polacco (Widłak 2006), se non facendo riferimento alla Grammatica dei casi proposta da Charles Fillmore, in base alla quale lui identifica sei ruoli astratti detti anche casi profondi. In primis, Fillmore (1968) definisce in questo modo il concetto di caso:

[…] le nozioni di caso comprendono un insieme di concetti universali e presumibilmente innati. Esse cioè identificano alcuni tipi di giudizio che gli esseri umani sono in grado di produrre riguardo agli eventi che si svolgono attorno a loro: sono giudizi relativi a chi ha compiuto qualcosa, a chi è accaduto qualcosa e cosa è cambiato.

(Fillmore, 1968: 24)

La teoria dei casi profondi di Fillmore mira ad identificare i modi in cui le lingue decodificano i ruoli dei partecipanti ad una frase; tali ruoli vengono chiamati casi. Inoltre vengono definiti profondi poiché riguardano concetti ad un livello astratto che possono essere o meno codificati ad un livello di superficie, dunque sono casi soggiacenti o profondi (Duranti, 2005:65). I casi, ruoli identificati da Fillmore sono:

 l’agente o caso agentivo

 lo strumento o caso strumentale  il dativo

145  l’oggetto o caso oggettivo.

La teoria di Fillmore aveva la caratteristica di essere facilmente applicabile a lingue anche estremamente diverse. Per spiegare la presenza dei casi nella lingua italiana è necessario fare riferimento alla reggenza dei verbi, alle preposizioni e all’ordine delle parole nella frase, di quest’ultimo aspetto ci si occuperà ampiamente in seguito. L’enciclopedia Treccani definisce così la reggenza:

(…) è il fenomeno per cui la presenza di una determinata parola in un sintagma impone ad altre parole di quel sintagma di prendere una forma determinata: un modo del verbo, un caso specifico (nelle lingue a casi, come il latino o il tedesco) o una preposizione specifica (nelle lingue senza casi, come l’italiano).

Diverse parti del discorso possono indurre fenomeni di reggenza (verbi, nomi, congiunzioni, aggettivi) e selezionare una specifica preposizione nel sintagma retto. Vediamo alcuni esempi di reggenze del verbo “cominciare” tratti dalla Grammatica della lingua italiana di Widłak (2006):

 la conferenza comincia  cominciare un lavoro  comincia a piovere  cominciare da capo

 la parola comincia per una vocale  il film comincia con un bel paesaggio

Nelle frasi seguenti, a titolo esemplificativo, le preposizioni sono rette rispettivamente dal verbo, dal sostantivo e dall’aggettivo che le precede.

 Ho ripreso a studiare.

 All’inizio della scuola si è sempre indaffarati.  Sono sensibile al freddo.

La scelta della preposizione corretta è una delle difficoltà maggiori per coloro che studiano l’italiano come lingua straniera poiché, anche se esistono delle regole, talvolta la reggenza è determinata da fenomeni storici. Inoltre uno stesso reggente può essere accompagnato da diverse preposizioni assumendo un altro significato. Il verbo

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servire per esempio può essere seguito da diverse preposizioni e in ogni caso il suo significato varia:

 servire in: mio fratello ha servito nell’esercito. In questo accezione significa “prestare servizio”;

 servire a: la padella serve a cucinare. In questo caso significa “essere utile”.

Si può affermare che, anche se la funzione della reggenza è primariamente sintattica, in quanto segnala la presenza di un legame fra l’elemento reggente e quello retto, tuttavia quando un elemento reggente può avere reggenze diverse in alternativa fra loro, allora si hanno mutamenti anche sul piano semantico. Uno degli ambiti in cui il concetto di flessione è maggiormente visibile nella lingua italiana riguarda la selezione dei pronomi clitici. Ad esempio, nelle frasi che seguono il verbo conoscere seleziona l’accusativo del clitico maschile di terza persona (lo), mentre il verbo parlare seleziona il clitico dativo:

 lo abbiamo conosciuto a casa di Maria.  gli ho parlato ieri.

Persona funzione soggetto funzione complemento

forma tonica forma atona

1ª singolare io Me mi

2ª singolare tu Te ti

3ª singolare Maschile lui, egli, esso lui, sé (stesso) lo, gli, si Femminile lei, ella, essa lei, sé (stessa) la, le, si

1ª plurale noi Noi ci

2ª plurale voi Voi vi

3ª plurale Maschile loro, essi loro, sé (stessi) li, ne, si Femminile loro, esse loro, sé (stesse) le, ne, si

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Anche le congiunzioni possono dar luogo, nella lingua italiana a reggenze di forme verbali diverse, ovvero una congiunzione può selezionare in alcuni casi il modo congiuntivo ed in altri il modo indicativo. Ad esempio la congiunzione perché può introdurre una frase causale o finale. Nel primo caso reggerà l’indicativo, nel secondo il congiuntivo.

perché + indicativo (= “causa”): ho telefonato perché non è partito perché + congiuntivo (= “scopo”): ho telefonato perché non partisse. La funzione del caso nella lingua italiana è inoltre svolta dall’ordine delle parole nella frase, questo aspetto verrà trattato esaurientemente nel paragrafo successivo a cui si rimanda.

Le catene nominali