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Interpretazione simultanea: concetti, scopi e panorama sulla ricerca panorama sulla ricerca

L'interpretazione simultanea: teorie e approcci alla ricerca

2.1. Interpretazione simultanea: concetti, scopi e panorama sulla ricerca panorama sulla ricerca

L’interpretazione è una forma di mediazione linguistica molto antica: sin dall’antichità l’uomo è entrato in contatto con popoli di lingue e culture differenti ed ha quindi dovuto ricorrere ad interpreti, ovvero persone che conoscessero le lingue impiegate. Tuttavia, nonostante la sua lunga tradizione l’interpretazione nei tempi passati non ha goduto di particolare prestigio e non ha suscitato l’interesse degli studiosi. Questo soprattutto perché l’interpretazione veniva considerata un’attività di semplice riproduzione meccanica di un messaggio realizzabile da chiunque conoscesse

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due o più lingue. Inoltre l’evanescenza che caratterizza la dimensione orale ha reso impossibile la realizzazione di studi fino a quando non sono stati disponibili gli strumenti per la registrazione audio (Halliday, 1989). Di conseguenza quasi la totalità degli studi si è concentrata sulla traduzione scritta.

Riccardi (2003) esamina l’evoluzione storica del verbo latino interpretāri e il significato che esso ha assunto in periodi diversi. In epoca romana classica era impiegato per indicare esclusivamente la traduzione orale ma circa dal 400 fino alla fine del XVII secolo suo il significato fu esteso anche alla traduzione scritta, fino ad essere utilizzato solo per designare questo tipo di traduzione. Più recentemente il verbo italiano

interpretare ha riassunto il suo significato originario ed è utilizzato per la traduzione

orale. Il filosofo tedesco Friedrich Schleiermacher (1813 in Störig 1963) avanza una distinzione tra la figura dell’interprete e quella del traduttore. Secondo Schleiermacher l’interprete infatti si occuperebbe della traduzione nell’ambito degli affari mentre il traduttore sarebbe attivo nei campi dell’arte e delle scienze. Dunque la differenza tra

Übersetzen e Dolmetschen secondo Schleiermacher non riguarderebbe la modalità orale

o scritta ma, una distinzione tra le due discipline basata sulla tipologia testuale. A suo avviso infatti la traduzione di testi pragmatici e di testi letterari comporterebbe processi traduttivi diversi, per cui l’interprete impegnato nella traduzione di testi legati ad attività pratiche si occuperebbe di una terminologia specifica con riferimenti ad oggetti concreti e visibili, per i quali la corrispondenza terminologica tra le lingue sarebbe univoca e i testi sarebbero caratterizzati da espressioni fisse. Il lavoro dell’interprete sarebbe quindi: “Fast ein mechanisches Geschäft, welches bei mäßiger Kenntniß beider Sprachen jede verrichten kann” (Schleiermacher 1813, in Störig 1963:42). Decisamente più complessa sarebbe l’attività del traduttore confrontato con la trasposizione in un’altra lingua di testi filosofici che presuppongono una piena conoscenza non solo della lingua ma anche della tematica, della cultura, del modo di pensare e di esprimersi dell’autore. Le idee di Schleiermacher hanno a lungo alimentato lo stereotipo in base al quale se l’interprete conosce le lingue, il suo compito è puramente meccanico.

All’inizio degli anni 1960 Kade, uno dei maggiori rappresentanti della Scuola di Lipsia, introduce in tedesco l’iperonimo Translation per riferirsi alla trasposizione di un

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testo, orale o scritto, da una lingua in un’altra, includendo quindi sia la traduzione che l’interpretazione, che differenzia nel seguente modo:

Wir verstehen [...] unter Übersetzen die Translation eines fixierten und demzufolge permanent dargebotenen bzw. beliebig oft wiederholbaren Textes der Ausgangssprache in einen jederzeit kontrollierbaren und wiederholt korrigierbaren Text der Zielsprache. Unter Dolmetschen verstehen wir die Translation eines einmalig (in der Regel mündlich) dargebotenen Textes der Ausgangssprache in einen nur bedingt kontrollierbaren und infolge Zeitmangels kaum korrigierbaren Text der Zielsprache.

(Kade, 1968 : 35)

Dunque la caratteristica peculiare dell’interpretazione sarebbe, secondo Kade, la quasi impossibilità di correggere il testo tradotto a causa della evanescenza del testo orale, mentre la traduzione sarebbe caratterizzata dalla possibilità di rivedere più volte il testo di partenza. Nel 1975 Kade conia il termine Translationswissenschaft per identificare la disciplina scientifica che studia sia la traduzione che l’interpretazione. Tale scienza si concentra soprattutto sullo studio dei testi (sia orali che scritti) di carattere pragmatico (come testi tecnici, scientifici, manuali di corrispondenza commerciale) e tralascia quelli letterari e poetici poiché i primi avendo un carattere “oggettivo” permettono di fare un confronto tra il testo di partenza e di arrivo. Anche la Skopostheorie di Reiß e Vermeer (1984) segue la linea di pensiero di Kade e usa il termine Translation per includere sia l’interpretazione che la traduzione. In area anglosassone si è diffuso il termine translation studies, utilizzato per la prima volta da James Holmes nel suo saggio The Name and the Nature of Translation del 1972. Holmes situa gli studi sull’interpretazione tra le teorie della traduzione limitate ad un canale e distingue inoltre la traduzione umana da quella automatica. All’interno della

human translation include l’interpretazione distinguendo tra interpretazione simultanea

e consecutiva.

Medium-restricted theories can be further subdivided into theories of translation as performed by humans (human translation), as performed by computers (machine translation), and as performed by the two in conjunction (mixed or machine-aided translation). Human translation breaks down into (and restricted

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theories or theories have been developed for) oral translation or interpreting (with the further distinction between consecutive and simultaneous) and written translation.

(Holmes, 1988:74)

A favore di una netta separazione dei campi della traduzione e dell’interpretazione si schiera Wilss (1977) affermando che le due attività assolvono il compito della riproduzione di un testo di partenza in un testo di arrivo in due modi del tutto diversi e per questo è necessario il ricorso a due discipline di studio distinte. Anche Koller (1979) mette in luce le diverse condizioni in cui hanno luogo l’interpretazione e la traduzione, motivo per cui a suo avviso non è possibile accomunarle sotto un’unica scienza. Al contrario Hatim e Mason (1997) si focalizzano sugli aspetti comuni tra le due attività e nei loro lavori mirano ad indagare le aree di comune interesse. Come è possibile evincere da questa breve panoramica, per molti anni lo studio dell’interpretazione in quanto disciplina è stato trascurato, tuttavia oggigiorno la maggior parte dei ricercatori è concorde nell’affermare che l’interpretazione appartenga ad una scienza generale della traduzione, la quale include come sottodiscipline sia gli studi sulla traduzione che quelli sull’interpretazione (Riccardi, 2003). Pöchhacker (1993) concorda con Salevsky nell’affermare l’importanza di una sottodisciplina

Dolmetschwissenschaft all’interno dei T&I Studies (Translation and Interpretation

Studies).

“T & I” would thus be composed of at least two subdisciplines, namely “Translation Studies” and “Interpretation Studies”.

(Pöchhacker,1993:54)

La traduzione e l’interpretazione presentano palesemente alcuni tratti comuni e altri distintivi. In primis l’interpretazione viene effettuata in presenza dei destinatari e l’interprete può anche monitorare la reazione del pubblico durante il suo lavoro, mentre il traduttore non opera in genere alla presenza del destinatario della sua traduzione e non ne riceve alcun feedback immediato. La dimensione che caratterizza l’interpretazione è

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l’oralità e per questo si tratta di un’attività sottoposta a vincoli temporali. Mentre il traduttore può ritornare a suo piacimento sul testo di partenza, come anche sul frutto infieri del suo lavoro, l’interprete è costretto a lavorare facendo affidamento solo esclusivamente sulle sue conoscenze e sulla fugace traccia acustica rimasta nella memoria a breve termine, e deve produrre di primo acchito una versione fruibile nel momento stesso della sua realizzazione.

Written translation starts from stable texts which remain present under the translator’s eyes as he works and are thereby constantly refreshed in his mind: whereas interpreting is based largely on what cognitive memory retains out of evanescent utterances that are already past and almost (but not quite) unrepeatable word for word.

(Harris, 1981: 157)

L’aspetto temporale e la situazione comunicativa condivisa tra interprete e pubblico, pur costituendo il carattere specifico di questa forma di traduzione, possono anche rappresentare per l’interprete una fonte di stress (Harris, 1981) ed inoltre l’interprete prima di svolgere il suo incarico deve avere già assimilato le competenze terminologiche e le conoscenze specifiche in quanto non avrà modo di consultare materiali di riferimento durante l’interpretazione e non potrà correggere la sua traduzione se non in modo estremamente limitato. In genere una traduzione scritta ha una diffusione maggiore rispetto ad un’interpretazione, il cui carattere è evanescente ed effimero. Da questa descrizione delle caratteristiche precipue dell’interpretazione risulta chiaro anche il ruolo peculiare dell’interprete all’interno del processo interpretativo definito da Jean Herbert un mal necessaire, in quanto è il ricevente di un messaggio a lui non destinato ed al contempo il produttore di un nuovo messaggio impostato da un altro oratore. “The simultaneous interpreter is at once both listener and speaker”. (Dejean Le Féal, 1982:221)

L’interprete è quindi un particolare tipo di partecipante alla comunicazione :

We would like to regard him or her as a special category of communicator, one whose act of communication is conditioned by another, previous act and whose

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reception of that is intensive. It is intensive because, unlike other text receivers, who may choose to pay more or less attention to their listening or reading, translators interact closely with their source text, whether for immediate response (as in the case of the simultaneous interpreter) or in a more reflective way (as in the translation of creative literature).

(Hatim & Mason, 1990:2)

Ogni incontro mediato da un interprete assume la struttura di un atto comunicativo a tre, al quale l’interprete partecipa attivamente anche se non come interlocutore principale.

L’interprète est là, c’est lui qui parle aux auditeurs de sa langue, c’est lui qu’ils entendent avec son style et sa présence propre. Le message qui parvient aux interlocuteurs étrangers est le fait de deux acteurs et non d’un seul.

(Seleskovitch, 1968:183)

L’interprete per poter svolgere il suo compito non deve solo possedere un’ottima conoscenza delle lingue (Glémet 1958; Herbert 1952; Rozan 1953, 1956) ma anche avere eccellenti doti comunicative, resistenza nervosa e capacità di concentrazione. Herbert nel suo manuale Le Manuel de l’interprète (1952) elenca le caratteristiche che ritiene indispensabili per poter divenire un bravo interprete e tra queste pone l’accento in particolare sulle capacità ricettive, sulla vivacità mentale e su una buona memoria. Per Herbert il bon interprète è colui che permette la reciproca comprensione tra gli interlocutori.

L’interprète a pour mission d’aider des individus ou des groupes humains à mieux se connaître, a mieux se comprendre, plus encore à davantage se respecter mutuellement et, s’ils le desirent, à se mettre d’accord.

(Herbert, 1952:3)

Wirl (1958) tra i requisiti necessari al futuro interprete menziona un buon livello di cultura generale ed avanza una distinzione tra le capacità innate e quelle apprendibili

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tramite l’esercizio e grazie ad una buona autodisciplina. Per anni è stata ancora molto in auge l’affermazione in base alla quale interpreters are born, not made. Tuttavia il fiorire di scuole corsi di laurea e più recenti studi hanno dimostrato che quello dell’interprete è un mestiere che si può apprendere tramite la pratica assidua e costante, tanto da diventare il titolo di un manuale sulla pratica professionale: Interpreti si diventa Monacelli (1997). Nonostante l’esercizio e la preparazione l’interprete, comunque, non potrà mai disporre delle stesse conoscenze dei partecipanti all’interazione che saranno sempre deficitarie:

[…] Dies gilt auch für den Dolmetscher, der im Vergleich zu Rednern und Rezipienten im Konferenzgeschehen meist a priori ein Wissensdefizit hat.

(Kalina, 1998: 115)

Prima di procedere nel presentare i diversi tipi di interpretazione passiamo in rassegna alcuni tentativi di definire la natura e le funzioni dell’interpretazione. L’interpretazione è in primis un servizio e in quanto tale mira a soddisfare un’esigenza comunicativa (Viezzi, 1999). Come afferma Herbert:

Il faut se rappeler par ailleurs que le but de l’interprétation est moins de traduire exactement que de faire comprendre ce qu’a voulu dire l’orateur.

(Herbert, 1952:71)

L’interpretazione è in primis intesa per lo più come un servizio fornito sia all’oratore, che vuole farsi capire, che all’ascoltatore che vuole comprendere quanto viene veicolato, tenendo conto anche del fatto che questi due ruoli sono spesso intercambiabili ed è inoltre “a service provided to particular persons in a particular communication situation” (Gile, 1995:19). Infatti è estremamente importante la situazione comunicativa, nella quale l’interpretazione va ad inserirsi ed alla quale partecipano vari soggetti: l’iniziatore, il cliente, l’oratore, l’ascoltatore del testo originale, l’interprete stesso e l’ascoltatore del testo dell’interprete (Viezzi: 1999).

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Riprendendo la definizione di Neubert e Shreve (1992:43) l’interpretazione è vista come “a cross-cultural, cross-linguistic, text-producing activity”. L’interpretazione in quanto attività interlinguistica ed interculturale permette di trasferire dei contenuti espressi in una lingua in un’altra nonostante le differenze culturali che potrebbero essere d’ostacolo alla comunicazione. In ogni caso questa attività interpretativa porta alla produzione di un testo che per essere definito tale deve soddisfare i criteri di testualità di Beaugrande e Dressler (1984). Pöchhacker (2004:10) descrive l’interpretazione come un’attività che “can be distinguished from other types of translational activity (…) by its immediacy” e continua affermando che: “Interpreting is performed here and now for the benefit of people who want to engage in communication across barriers of language and culture”.

Esistono diverse forme di interpretazione, in primis è opportuno distinguere tra

interpretazione dialogica, consecutiva, simultanea. La prima detta anche interpretazione di trattativa è caratterizzata dalla traduzione di brevi porzioni di testi, inoltre in questo tipo di interpretazione l’interprete è a contatto diretto con i due interlocutori. L’interpretazione consecutiva prevede la traduzione di parti di testo più ampie di fronte ad un pubblico e implica l’utilizzo di un sistema di presa di note, che consente all’interprete, dopo che l’oratore ha concluso il suo discorso o parte di esso, di restituire il senso di quanto è stato detto in un’altra lingua aiutandosi con appunti in modo che la sua traduzione sia più completa e fedele possibile al testo di partenza. Nella consecutiva si aggiunge uno sforzo ulteriore ovvero quello della presa di note. Uno degli svantaggi di tale modalità è quello di raddoppiare la durata dell’intervento, dato che una volta pronunciatosi l’oratore, l’interprete deve ripetere il tutto nella lingua di arrivo. Tale modalità offre comunque dei vantaggi in quanto l’intervento dell’oratore è generalmente suddiviso in piccole parti e permette all’interprete di cogliere meglio le diverse sfumature ed inoltre l’interprete, quando prende la parola ha già ascoltato l’intervento per intero ed ha tempo per preparare il proprio discorso. L’interpretazione simultanea è caratterizzata dalla concomitante produzione del testo di partenza e di arrivo, rispettivamente da parte dell’oratore e dell’interprete, quindi a differenza di quanto accade nella modalità consecutiva l’oratore e l’interprete non si alternano. L’interpretazione simultanea viene definita da Riccardi come:

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[…] an unnatural form of communication, whose main peculiarity – in addition to its bilingual nature […] – is given by the time pressure under which is carried out.

(Riccardi 2005:756)

Se si intende simultaneo nel senso di contemporaneo, l’interpretazione simultanea copre l’interpretazione telefonica, lo chuchotage e la traduzione a vista (Falbo, 2004). Anche nell’interpretazione simultanea come in consecutiva l’interprete enuncia idee che non sono sue, con la differenza che in consecutiva questo avviene dopo l’ascolto di porzioni di testo più o meno lunghi ma dal senso compiuto, mentre in simultanea il testo deve essere elaborato nel momento stesso in cui l’oratore lo sta formulando, per di più a un passo e un ritmo che l’interprete non può decidere. (Namy 1979). Gile descrive l’interpretazione simultanea come

un mode d’interprétation où l’interprète assis dans une ‘cabine’ écoute l’orateur à travers un ‘casque’ et restitue son discours dans le microphone en même temps, avec un décalage moyen de l’ordre de une à quelque secondes entre le moment de la réception de l’information et le moment de sa restitution.

(Gile, 1995b: 12)

Per quanto concerne il contesto comunicativo l’interprete simultaneista è separato dal pubblico e dagli oratori attraverso la cabina, collocata generalmente in fondo alla sala e la sua presenza è avvertita solo in cuffia attraverso il canale acustico. Tale separazione fisica impedisce all’interprete di porre domande o chiedere chiarimenti, come afferma Riccardi (2003: 115): “l’interprete subisce l’evento”.

Inoltre Pöchhacker nel suo libro Introducing Interpreting Studies (2004) propone una panoramica dettagliata dei vari tipi di interpretazione, raggruppati in base al luogo, alla “situational constellation of interaction”, alla modalità linguistica e alla modalità di lavoro. Considerando il setting ovvero il contesto sociale in cui l’interpretazione ha luogo, questa può essere definita come interpretazione commerciale, turistica, militare, di tribunale, medica, di conferenza ecc. Applicando un criterio diverso come quello delle parti coinvolte nell’interazione mediata dall’interprete

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si può essere confrontati con una three-party interaction (Anderson 1976/2002) definita anche interpretazione dialogica o bilaterale o di trattativa in cui l’interprete funge da mediatore tra due parlanti monolingue. Un altro scenario è quello rappresentato dalla comunicazione multilaterale delle conferenze internazionali, durante le quali si alternano diversi oratori i quali si rivolgono non ad un interlocutore ma ad un pubblico numeroso. Per quanto concerne la modalità linguistica, la caratteristica precipua dell’interpretariato è l’oralità. Tuttavia questo non è l’unico codice per la comunicazione. Le persone non udenti o ipoacusiche si avvalgono dell’interpretazione dei segni. In questo ambito è bene distinguere tra:

[…] interpreting from or into a sign language proper (such as American Sign language, British Sign Language, French Sign Language, ecc.), that is, a signed language which serves as the native language for the Deaf as a group with its own cultural identity (hence the distinctive capital initial), and the use of other signed codes, often based on spoken and written languages (e.g. Signed English). (Pöchhacker, 2004: 18)

Inoltre l’interprete può anche dover effettuare una traduzione a vista ovvero tradurre un testo scritto che viene a lui fornito poco prima dell’intervento. Per quanto riguarda the working mode dell’interprete possiamo distinguere tra l’interpretazione consecutiva e quella simultanea. L’interpretazione consecutiva è nata in occasione delle sessioni della Conferenza della Pace di Parigi (1919), durante la quale gli interpreti svilupparono questa tecnica di interpretazione. La lingua veicolare a livello diplomatico e militare fino ad allora era sempre stata la lingua francese. Durante la prima guerra mondiale fu necessario ricorrere ad interpreti per il francese e l’inglese e, successivamente per il tedesco. Si trattava soprattutto di ufficiali, funzionari pubblici e docenti universitari con conoscenze linguistiche che senza alcuna esperienza o preparazione erano stati reclutati per svolgere questo delicato compito e che dunque dovettero affidarsi in molti casi all’improvvisazione e imparare “on the job” (Baigorri Jalón, 1999: 29). All’inizio la traduzione avveniva frase per frase e il risultato era inferiore agli standard odierni poi col tempo, gli interpreti acquisirono maggiore esperienza e svilupparono la tecnica dell’interpretazione di consecutiva con la relativa presa di note.

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We interpreted in consecutive in teams of two, one Frenchman from English into French, one Englishman from French into English. We had to take down and translate verbatim speeches which occasionally lasted well over one hour. It may be said that that exacting exercise led us to develop for the first time in history a technique of consecutive interpretation, with taking of notes, ecc., as we now know it.

(Herbert 1978:6)