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1.2.5.

Natalino Radovic, nel suo importante contributo sullo slavo ecclesiastico antico pubblicato a Napoli nel 1965, lo definisce in questo modo

:

[…] è la più antica e fu per otto secoli anche la più diffusa lingua di cultura degli slavi: creato dai s.s. Cirillo e Metodio sulla base di un dialetto bulgaro-macedone del IX secolo per essere strumento di evangelizzazione e lingua liturgica fra gli Slavi moravi […]

(Radovich, 1965:1)

Il paleoslavo, o slavo ecclesiastico antico, è la lingua in cui i fratelli tessalonicesi Costantino e Metodio tradussero i testi sacri e liturgici per quei popoli ancora privi di una scrittura. È ancora oggetto di discussione tra gli studiosi se Costantino (che prese il nome di Cirillo quando prese i voti) abbia veramente inventato un nuovo alfabeto o ne abbia semplicemente adattato uno già esistente, tuttavia è la missione cirillo-metodiana stessa ad avere un ruolo estremamente importante in quanto pose le premesse per la creazione di una Slavia ortodossa nei Balcani. Lo slavista italiano Riccardo Picchio nelle sue ricerche fa uso della terminologia Slavia Ortodossa e Slavia romana, indicando con Slavia ortodossa la comunità spirituale degli slavi latamente compresi

nella sfera di influenza della chiesa costantinopolitana (Picchio, 1991:7).

La missione dei due fratelli ha inizio su richiesta del principe slavo Ratislav, duce della Gran Moravia all’imperatore di Bisanzio Michele III, di inviare un vescovo o

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un maestro capace di spiegare le leggi cristiane in lingua slava e al contempo di contrastare la diffusione del Cristianesimo come elemento unificatore sia dal punto di vista spirituale che politico. La chiesa romana aveva già messo radici nelle zone occidentali. Costantinopoli accoglie favorevolmente la richiesta ed invia nell’ 863 Costantino, esperto in filosofia e teologia, e Metodio, esperto in teologia e linguistica. Costantino era ben consapevole del fatto che per riuscire a scalzare Roma avrebbe dovuto offrire qualcosa in più agli Slavi e la sua idea fu quella di elevare la lingua slava a lingua liturgica, mentre la chiesa romana esigeva l’uso del latino accessibile solo agli ecclesiastici. Bisanzio appariva plurietnica e favorevole al plurilinguismo mentre Roma viene spesso descritta “[…] inflessibile nel difendere l’uso esclusivo del latino nella pratica amministrativa civile e religiosa”(Marcialis, 2005:19).

Questa affermazione è però confutata da Riccardo Picchio che in uno dei suoi lavori scrive:

[…] la chiesa romana si impegnò nel IX secolo in una diffusa azione in favore dell’uso delle parlate popolari […]. Il clero latino non solo poteva, ma doveva servirsi delle lingue locali per far sì che l’insegnamento della chiesa fosse capito da tutti. La chiesa romana, tuttavia, richiedeva anche – e in maniera perentoria che – le parlate del volgo non fossero usate nelle celebrazioni dei misteri, ossia in quelle parti del servizio divino in cui il sacerdote, e non il popolo era chiamato a dire formule sacre.

(Picchio, 1991:267)

In questo modo la chiesa di Roma aveva risolto la questione linguistico-religiosa e appoggiato l’operato dei due missionari che cercavano di promuovere una lingua barbara dotandola di un alfabeto, di un sistema ortografico e grammaticale. Lo slavo ecclesiastico si fonda su un dialetto slavo meridionale e nasce come lingua della chiesa accanto al greco e al latino anche se non trova sempre terreno fertile ed è spesso osteggiato dalla preferenza per il latino. I successori di Metodio e Costantino continuarono la loro missione in Bulgaria poiché il vescovo slavo Gorazd aveva proibito l’uso dello slavo ecclesiastico. L’alfabeto cirillico venne sviluppato poco dopo nell'accademia di Preslav in Bulgaria e sostituì quello glagolitico.

Per riassumere si può affermare che l'Antico Slavo Ecclesiastico fu importante in quanto sino alla nascita delle lingue moderne fu utilizzato come lingua “colta” a fianco

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del greco e del latino inoltre oggigiorno il suo studio è utile ai linguisti storici perché preserva caratteristiche arcaiche, che si crede fossero una volta comuni a tutte le lingue slave. Si può quindi concludere che lo slavo ecclesiastico: “[…] it is thus simultaneously the oldest Slavic standard language and the eldest of the contemporary Slavic standard language” (Mathiesen, 1984:45).

Per quanto concerne la Slavia occidentale è facile notare come i contatti tra lingue come ceco, slovacco, sloveno, polacco e croato e lo slavo ecclesiastico siano decisamente meno stretti di quelli tra lo slavo ecclesiastico ed il russo, tuttavia tra queste lingue e lo slavo ecclesiastico esiste una corrispondenza lessicale nell’ambito della terminologia religiosa. Infatti oltre all’elemento geografico, sempre rilevante per lo studio dei contatti linguistici, è altrettanto importante l’elemento culturale e religioso. Diverse sono state le ipotesi avanzate tra cui quella in base alla quale l’influsso dello slavo ecclesiastico su alcune delle lingue precedentemente menzionate possa essere attribuito ad una tradizione letteraria slava ecclesiastica. Tali corrispondenze possono inoltre essere spiegate facendo riferimento all’attività linguistica svolta dai missionari precirillometodiani. Ziffer (2007), nel suo intervento al convegno Gli studi

slavistici oggi in Italia e nel mondo, ritiene che tali corrispondenze possano essere

meglio illustrate considerando il bilinguismo slavo-tedesco, dato che i missionari precirillometodiani ed i loro successori si trovarono a operare in luoghi dove la popolazione slava doveva essere almeno in parte bilingue, e dove i diversi dialetti slavi erano esposti a un influsso, più o meno forte, da parte della lingua tedesca. Ziffer (2007) inoltre esorta gli slavisti ad approfondire la somiglianza tra le lingue slave come anche l’origine della terminologia cristiana per identificare ulteriori casi di sviluppi lessicali intraslavi avutisi in tempi passati.