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2.1.4.

I primi studi sull’interpretazione realizzati negli anni Cinquanta si sono concentrati per lo più, come già affermato, sull’aspetto didattico per far fronte all’esigenza immediata di formare interpreti di conferenza ed erano basati sull’esperienza acquisita sul campo dai primi interpreti. Solo successivamente gli studiosi hanno iniziato a riflettere sui meccanismi e i processi dell’interpretazione. I primi studi inoltre non presentavo praticamente alcuna rigorosità scientifica. Stenzl sottolinea invece l’importanza da parte dei ricercatori di basare le loro affermazioni non su mere speculazioni ma su dati concreti.

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The literature on simultaneous interpretation offers a limited range of experimental data and theoretical approaches, but practically no systematic observations and descriptions of interpretation in practice […]. It is fascinating to speculate about the mental processes involved in interpretation, but speculation can do no more than raise questions. If we want answers to those questions they will have to be based on facts rather than mere assumptions.

(Stenzl, 1983:47)

Negli anni Settanta nasce un nuovo filone di ricerca, condotto da ricercatori appartenenti ad altri campi scientifici, ad esempio la psicologia cognitiva, che concentrano la loro attenzione non sul prodotto ma sul processo poiché spesso, nei loro studi, l’interpretazione simultanea è percepita semplicemente come una fonte di dati per approfondire le ricerche sulla comprensione e sulla produzione del linguaggio. Gli psicologi cognitivisti impiegarono nei loro esperimenti solitamente studenti poiché ritennero che anche soggetti bilingue senza una formazione in interpretazione potessero essere idonei allo scopo della loro ricerca. Secondo Falbo: “Con l’inizio degli anni Sessanta e fino ai primi anni Settanta si assiste a una vera e propria rivoluzione nel modo di guardare e di studiare l’interpretazione” (Falbo, 2004:43). Successivamente verranno illustrati in ordine cronologico gli studi principali, che possono essere ascritti a questo filone di ricerca, realizzati tra gli anni Cinquanta e Settanta.

Già negli anni Cinquanta alcuni psicologi avevano mosso i primi passi nello studio del linguaggio per approfondire il fenomeno del bilinguismo. Tra questi possiamo menzionare lo psicologo canadese Wallace E. Lambert (1955) che in uno dei suoi studi aveva misurato il tempo di reazione dei bilingue nella realizzazione di compiti di traduzione per verificare eventuali differenze collegate al grado di familiarità con le e due lingue. Lo psicologo sosteneva che:

The findings indicate that the differences between speeds of reaction in the two languages decrease as experience with a second language increases. […] If one were a perfect bilingual – equally facile in both languages – there should be no difference between the speeds of response in the two language.

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Questi primi studi portarono Lambert a formulare il concetto di lingue attive e passive, ovvero lingue in cui i soggetti riuscivano anche ad esprimersi e lingue invece che riuscivano solo a comprendere in quanto non ne possedevo una padronanza sufficiente (Lambert et al., 1989). Sempre tra gli anni Cinquanta e Sessanta studiosi quali Donald Broadbent e Alan Welford effettuarono i primi studi sull’attenzione condivisa. Broadbent (1952) chiese ai partecipanti al suo esperimento di ascoltare e contemporaneamente di rispondere a delle domande e concluse che: “ (…) the saying of even a simple series of words interferes with the understanding of a fresh message” (Broadbent, 1952: 27).

Il primo studio realizzato da due psicologi sull’interpretazione simultanea è attribuito agli psicologi francesi Oléron e Nanpon, che nel 1964 condussero uno studio sperimentale, utilizzando gli strumenti usati in psicologia, nel quale misuravano il décalage tra il testo originale e quello interpretato. I primi psicologi infatti erano particolarmente incuriositi dal fatto che nell’interpretazione simultanea il processo di comprensione e quello di produzione fossero sovrapposti. Oléron e Nanpon nel loro studio per il misurare il décalage non si basano sulla segmentazione dell’input da parte dell’interprete rispetto al tempo di elocuzione dell’oratore, bensì sulla corrispondenza degli elementi tra il testo interpretato e quello originale, ad esclusione delle parti in cui tale corrispondenza non è possibile. Nel 1965 Treisman utilizza l’interpretazione simultanea come condizione per approfondire gli effetti della ridondanza. In particolare la studiosa misura l’ear-voice span, ovvero la distanza temporale tra la percezione acustica di un suono in entrata e la riproduzione del messaggio in un’altra lingua, di soggetti bilingue durante l’attività di shadowing e durante l’interpretazione simultanea e giunge alla conclusione che l’EVS è maggiore nel caso dell’interpretazione (4-5 parole) rispetto alla situazione di shadowing (3 parole) e che l’attività di traduzione è più complessa rispetto allo shadowing a causa del: “(…) the increased decision load between input and output” (Treisman, 1965:369). Nel 1967 Lawson realizzò uno studio sull’ascolto e sull’attenzione selettiva. Ai soggetti venivano inviati messaggi diversi all’orecchio destro e sinistro e questi dovevano concentrarsi solo sulla traduzione di uno di essi. Il ricercatore mirava a verificare il livello di interferenza causato dal canale al quale gli studenti-cavie non dedicavano attenzione in maniera consapevole. Nel 1969 Ingrid Kurz completò presso l’Università di Vienna la sua tesi di laurea in psicologia

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sugli effetti dell’esercizio e della pratica nell’interpretazione simultanea. Kurz mise a confronto le prestazioni di studenti d’interpretazione principianti e avanzati con quella di interpreti professionisti e giunse alla conclusione che la capacità di ascoltare e parlare contemporaneamente possono essere allenate e migliorate attraverso la pratica. Nello stesso anno anche Henri C. Barik discusse la sua tesi di dottorato in psicologia presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università della Carolina del Nord. Si tratta della prima tesi in interpretazione scritta da un autore che non esercita la professione d’interprete. Nelle parole di Barik è possibile percepire la curiosità che l’IS destava e al contempo i quesiti che questa sollevava tra i ricercatori:

How is the translator able to engage in all these activities simultaneously? Does he make use of certain strategies to effectuate some sort of input-output equilibrium? How does he segment incoming message, and how does his speech pattern relate to that of the S (speaker)? What difficulties, linguistic and other, arise in ST (simultaneous interpreting)?How does the nature of the material to be translated affect performance?

(Barik, 1973:238)

Oggetto dello studio di Barik (1972, 1975/2002) sono da un lato le pause ed il décalage e dall’altra la qualità dell’interpretazione per la quale identificherà una lista di errori. Per quanto riguarda l’errore Barik lo definisce un fenomeno in cui “the interpreter’s version (...) depart(s) from the original” (1994: 121) e individua tre macrocategorie: omissione, aggiunta e sostituzione, suddivise a loro volta in vari sottogruppi. Relativamente al décalage, Barik sostiene che un décalage troppo ampio possa portare l’interprete ad omettere parti del messaggio mentre un décalage troppo breve sarebbe la causa di errori di traduzione. Anche Goldman-Eisler (1972) si concentra sul décalage, in particolare cerca di individuare l’unità minima dell’informazione che permette all’interprete di iniziare a tradurre. A tal proposito la ricercatrice identifica tre scenari che definisce nel seguente modo: identity, fission e

fusion (Goldman-Eisler, 1972: 134). Nel primo caso l’interprete segue perfettamente i

limiti dell’oratore, inizia a tradurre nello stesso momento in cui l’oratore prende la parola e termina la traduzione esattamente quando l’oratore conclude il suo intervento. Nel caso della "fissione", l’interprete comincia la traduzione prima che il segmento in

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entrata sia terminato. Goldman-Eisler usa il termine fusione per descrivere la memorizzazione da parte dell’interprete di alcune porzioni di input e la loro resa successiva. Di particolare interesse è soprattutto l’ipotesi che la ricercatrice avanza ovvero che il dècalage possa dipendere dalle differenze strutturali delle lingue coinvolte:

[…] whether translators begin to translate without awaiting the end of any input chunk, or whether they wait and store more than one such chunk before starting the translation, seems largely a matter of the nature of the particular language, and German clearly causes translators to store larger chunks of input before they begin to translate.

(Goldman-Eisler, 1972:136)

Il contributo di Goldman-Eisler (1972) riguarda l’elaborazione dell’informazione e rientra nel filone di ricerca IP (information processing). La teoria dell'information processing è una branca della psicologia cognitiva che studia il processo mentale dell’atto interpretativo ed elabora dei modelli, atti a descrivere le diverse fasi attraverso cui le informazioni vengono decodificate e (ri)codificate. Goldman-Eisler (1967) nelle sue ricerche in IS si era concentrata su altri due aspetti importanti ovvero il ritmo e le pause. Per quanto concerne il ritmo studia la segmentazione temporale nel parlato spontaneo, nella lettura e nell’interpretazione simultanea e giunge alla conclusione che le pause hanno un ruolo fondamentale per la scorrevolezza del testo e sostiene che anche l’interprete deve prestare attenzione alla redistribuzione delle pause e precisa che la presenza totale delle pause non deve essere inferiore al 30% del tempo di enunciazione.

Relativamente al ritmo, Le Ny (1978) ritiene che questo, ovvero la difficoltà da parte dell’interprete ad adattarsi al ritmo dell’oratore, insieme alla segmentazione del testo di partenza e i limiti della memoria di lavoro che possono portare ad un eventuale sovraccarico, costituiscano i maggiori ostacoli per l’interprete simultaneista. Inoltre Le Ny afferma che la segmentazione di un testo in entrata avviene in maniera diversa durante una conversazione normale rispetto ad una situazione interpretativa. Generalmente in una conversazione monolingue un segmento corrisponde ad una frase

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mentre invece nell’interpretazione simultanea i segmenti sono più brevi. Il ricercatore specifica inoltre che la comprensione di un messaggio in entrata non è determinata dal numero di parole ma dalla densità delle informazioni che esso contiene. Di conseguenza il tempo necessario per l’elaborazione di una frase dipende dalla quantità di informazione semantica contenuta: “(…) the quantity of features appearing in addition to those already encountered in the discourse” (Le Ny, 1978:297).

Gerver (1976) smentirà con il suo studio, l’assunto sostenuto tra gli altri anche da Paneth (1967, 1968), in base alla quale l’interprete utilizzerebbe al massimo le pause dell’oratore per la traduzione così da evitare momenti di sovrapposizione. Gerver misura la durata delle pause di 10 testi della durata di circa 3-5 minuti e afferma che ben il 75% dell’interpretazione si sovrappone al testo originale. Gerver dimostra anche l’importanza delle pause e dell’intonazione per la corretta segmentazione e decodificazione del TP. Lo studioso sottopone ad alcuni studenti un testo con valori d’intonazione, accento e pause “normali”, uno con un ritmo più lento ed un terzo con pause superiori a 0,25 secondi. L’interpretazione del primo testo risulta migliore e prova l’utilità delle pause nel TP. In un altro dei suoi esperimenti Gerver (1976) cercherà di misurare la velocità d’eloquio del testo di partenza. Per fare questo analizza le rese di dieci interpreti in modalità di IS e shadowing e confronta gli studenti con testi pronunciati a diverse velocità. Ne risulta che la velocità d’eloquio ideale del TP è di 95- 120 pm e che l’aumento della velocità comprometteva maggiormente l’accuratezza della rese in IS rispetto allo shadowing. Gerver (1976) inoltre sottopose un campione di studenti all’ascolto di alcuni testi in lingua francese, all’attività di shadowing e di interpretazione simultanea verso il francese e pose loro delle domande al termine di ogni testo. Notò che coloro che avevano semplicemente ascoltato i testi, li avevano meglio compresi e memorizzati rispetto a coloro che contemporaneamente avevano svolto attività di shadowing o interpretazione. Tuttavia i soggetti che avevano svolto l’IS avevano memorizzato più informazioni rispetto agli studenti che avevano semplicemente ripetuto il testo. Il ricercatore giunge alla conclusione che la pratica e l’esercizio d’interpretazione permettono di riuscire a svolgere le varie attività concomitanti con più efficacia e di migliorare anche la memorizzazione. Gerver (1976) confuterà anche la tesi sostenuta da Welford, il quale affermava che l’interprete fosse in grado di ascoltare e parlare contemporaneamente poiché aveva imparato ad ignorare la

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propria voce. Nel 1976 Gerver realizzerà il primo modello per l’interpretazione simultanea nel quale illustrerà l’attività della memoria a breve termine e le modalità di immagazzinamento temporaneo dell’informazione all’interno del “buffer storage”, in modo che l’interprete possa mantenere un flusso continuo di input e output. Gerver descrive i processi di decodifica dell’input e codifica dell’output, in particolare ipotizza l’esistenza di diversi tipi di memoria e processi di controllo. Il ricercatore accenna nel suo studio anche alla divisione dell’attenzione tra le diverse attività coinvolte del processo d’interpretazione e sostiene, che al presentarsi di difficoltà in fase di comprensione, ne possano risentire ad esempio il monitoraggio dell’output o l’output stesso. Il modello di Gerver rappresenta un interessante tentativo di gettare luce sui processi mentali durante l’interpretazione simultanea nonostante le diverse lacune riscontrate in esso dai ricercatori.

There are several problems with this model, such a show input is “discarded” when the input buffer is full: there is abundant evidence that there is no such discarding of next incoming items: the selection is based on the relevance of that information for the message to be conveyed; if there are memory problems, less relevant information is left out. […] Another problems is, that it is unclear what “the next item” means, and more precisely, what the definition of an item in memory is.

(Kees de Bot, 2000 :67)

Gile valuta positivamente la collaborazione instauratasi tra psicologi cognitivisti e gli interpreti professionisti nell’ambito della ricerca in interpretazione in quanto: "(…) cognitive scientists are working with more precision, logic and depth than practisearchers". (Gile 1994a:156). Il connubio tra queste discipline è segnato dalla pubblicazione di due volumi, ovvero Translation – Applications and research e

Language, Interpretation and Communication. Il primo curato da R.W. Brislin e

pubblicato nel 1976 include i contributi di esperti dall’ambito dell’interpretazione, della psicologia e della sociologia, il secondo curato da Gerver e H. Wallace Saniko e pubblicato nel 1978 raccoglie gli atti dell’importante convegno sulla ricerca in interpretazione tenutosi a Venezia, nello stesso anno, che aveva registrato una grande partecipazione da parte di esponenti di diverse discipline. Tale convegno era stato