• Non ci sono risultati.

Per una critica del concetto di atmosfera

7.3 Atmosfera come accompagnamento della parola

Utilizzato in generale per riferirsi ai processi interni, il termine “atmosfera” ricorre in particolare nei paragrafi delle Ricerche filosofiche in cui Wittgenstein prova a rendere conto della comprensione linguistica. Come nelle Lezioni di

estetica del 1938120 e nel Libro marrone121, l’obiettivo polemico è il concetto di accompagnamento: il significato e il pensiero – scriveva Wittgenstein negli anni ’30 – non sono un accompagnamento della parola, né accanto al parlare dobbiamo immaginare atti mentali che spieghino il funzionamento del nostro linguaggio. In modo analogo, negli anni ’40 il significato di una parola viene polemicamente paragonato a un’atmosfera, intesa come accompagnamento psicologico:

Mi si dice: “Tu comprendi, vero, questa espressione? Ebbene, - anche io la uso nel significato che tu conosci”. – Come se il significato fosse un’atmosfera [Dunstkreis] che la parola ha con sé e che si porta dietro in ogni sorta d’impiego […] (Ivi, § 117).

120 Cfr. § 4.2. 121 Cfr. § 4.3.

183

Come è noto, nelle Ricerche filosofiche Wittgenstein propone l’equivalenza tra significato e uso: la tesi secondo cui «il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio» (PU, I, §43) è diventata per così dire il simbolo della filosofia dei giochi linguistici (e delle sue letture pragmatiste, convenzionaliste e relativiste122). Come spesso accade, numerosi interpreti hanno preso la parte (il paragrafo appena ricordato) per il tutto, trascurando ad esempio la problematizzazione del concetto di comprensione proposta dallo stesso Wittgenstein. La grammatica della parola “comprendere”, ricorda il filosofo, è strettamente imparentata alla grammatica delle parole “potere”, “sapere”, “essere in grado”123

. Il comprendere è un concetto basato su somiglianze di famiglia che presenta una tessitura aperta, composta di diversi fili intrecciati tra loro. Accanto all’equivalenza tra significato e uso, dunque, è possibile trovare altre indicazioni relative alla comprensione linguistica:

[…] Però comprendiamo il significato di una parola, quando la ascoltiamo o la pronunciamo; lo afferriamo di colpo; e ciò che afferriamo è certamente qualcosa di diverso dall’ 'uso', che ha un’estensione nel tempo! (Ivi, §138).

Senza fare del “significato come uso” un nuovo dogma, Wittgenstein distingue diversi fili nella trama della comprensione linguistica: da un punto di vista temporale, per esempio, possiamo apprezzare la differenza tra uso – necessariamente connesso a una durata – e coglimento immediato. Se il primo riporta a una filosofia della praxis, il secondo mette al centro un significato inteso come «fisionomia» (Ivi, §568) e, di conseguenza, un tipo di comprensione più simile alla fruizione estetica che all’uso. Tale distinzione rende esplicito inoltre un problema finora passato sotto silenzio: il significato, come si è detto, è l’uso ma l’uso implica qualcosa di già costituito, preesistente, pronto per essere utilizzato. Come nota S. Cavell,

122 I giochi linguistici diventano l’emblema del relativismo e del post-modernismo grazie al testo

di LYOTARD 1979. La celebre interpretazione della questione relativa al linguaggio privato proposta da KRIPKE 1982 specifica i termini del presunto convenzionalismo di Wittgenstein.

184

Che cosa è ‘il significato di una parola’? E se diciamo ‘l’uso è il significato’, allora sorge il problema: ‘La parola, dunque, non ha significato alcuno al di fuori dei suoi diversi usi?’. Allora, come può venire proiettata in altri nuovi contesti? E perché, allora, le definizioni dei dizionari dovrebbero avere un qualche significato per noi? (CAVELL 1979, trad. it. p. 258).

Il ricorso all’atmosfera avrebbe la pretesa di risolvere questi interrogativi. La definizione del significato come uso pone il problema della neutralità del senso e della sua applicabilità in diversi contesti: perché una parola possa essere usata, è necessario che essa presenti un carattere già predeterminato; solamente in un secondo momento il suo senso potrà esser proiettato in differenti situazioni. È a questo punto dunque che si inserisce l’atmosfera, intesa come l’accompagnamento psicologico o l’alone di significato che la parola pare portare con sé attraverso i diversi usi:

Immagina che qualcuno ti dica: ogni parola a noi familiare – di un libro, per esempio – è già circondata, nel nostro spirito, da un’atmosfera, da un 'alone' di impieghi appena accennati. […] – Soltanto, prendiamo sul serio questa supposizione! – Perché si vede che essa non è in grado di spiegare l’intenzione. Cioè, se le cose stanno così, se le possibilità dell’impiego d’una parola ci fluttuano davanti, vaporose, quando l’udiamo o la pronunciamo, - se le cose stanno così, questo vale soltanto per noi. Ma noi ci intendiamo con gli altri senza sapere se anche loro hanno queste esperienze vissute (PU, II, VI: trad. it. p. 239).

Il ricorso all’atmosfera, scrive polemicamente Wittgenstein, non spiega l’intenzione: essa, come l’intuizione, non è che una scappatoia superflua. Il problema della neutralità del senso, precedente alla determinazione del significato come uso, è di certo un problema rilevante ma non può trovare soluzione in un semplice ritorno alle immagini mentali, evanescenti antecedenti dei significati linguistici. L’atmosfera, in quanto accompagnamento della parola e sua sostanza prelinguistica, avrebbe un valore meramente soggettivo, privato, mentre la parola

185

instaura una sfera pubblica di significati validi per tutti i parlanti. Le parole non sono vincolate alle idiosincrasie dei singoli: anche qualora le possibilità d’impiego formassero un’atmosfera, un alone di usi possibili, tali immagini avrebbero solamente un valore soggettivo e privato, mentre «noi ci intendiamo con gli altri senza sapere se anche loro hanno queste esperienze vissute» (Ibidem).

Ciò non toglie che la nostra esperienza di parlanti sia profondamente influenzata dallo specifico modo in cui pronunciamo i nostri discorsi: in alcuni casi pare che le parole siano come svuotate di senso, prive di vita; in altri momenti, invece, le nostre frasi appaiono ricche e pregnanti:

“Però le parole, pronunciate sensatamente, non hanno soltanto una dimensione in superficie, ma anche una in profondità!”. Sicuramente, quando vengono pronunciate con senso, accade qualcosa di diverso da quello che accade quando vengono semplicemente pronunciate. – Il modo in cui lo esprimo non ha importanza. Posso dire che nel primo caso le parole hanno profondità; o che qualcosa accade dentro di me, nel mio intimo; oppure che hanno un’atmosfera – ottengo sempre lo stesso risultato […] (Ivi, §594).

La frattura tra il pronunciare una parola (in modo meccanico ed “esterno”) e il pronunciarla con espressione (esprimendo, per così dire, “ciò che abbiamo dentro”) ci induce a immaginare ancora una volta un accompagnamento atmosferico, una sostanza sottile – un’anima124 – che dia vita ai segni, altrimenti morti, del nostro linguaggio. Pur denunciando l’illusorietà di tale immagine, Wittgenstein non nega l’importanza di questo tipo di esperienze. Al contrario, il filosofo dedica numerose annotazioni a questo tema, cercando tuttavia di non capitolare davanti a un’immagine seducente, frutto di un’abitudine linguistica, ma proponendo piuttosto un’illustrazione alternativa dell’espressività che caratterizza il nostro linguaggio.

186