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La tecnica del confronto

5.4 Un’anti-filosofia dell’incarnazione

La pratica comparativa che vede disporsi su uno stesso piano i diversi esempi – le diverse forme espressive – si propone come metodo filosofico capace di scardinare il platonismo insito in ogni ricerca di essenze. In tal modo, la produzione (e non la scoperta) di somiglianze di famiglia costituisce il principale trattamento terapeutico contro la malattia filosofica che costringe a un infinito regresso. Una simile lettura delle Ricerche filosofiche consente di estendere la definizione di anti-filosofia, formulata originariamente da Alain Badiou a proposito del Tractatus, fino a comprendere anche l’opera del secondo Wittgenstein. Secondo il filosofo francese, la categoria – insieme storico- filosofica e teoretica – di “anti-filosofia” si riconosce da tre operazioni congiunte: 1. la critica linguistico-genealogica; 2. la valorizzazione dell’atto filosofico a scapito della verità; 3. il carattere innovativo e di rottura dell’atto stesso. A proposito del primo punto, Badiou scrive:

L’antiphilosophie, depuis ses origines […] se reconnait à trois opération conjointes: 1. Une critique langagière, logique, généalogique, des énoncés de la philosophie. Une destitution de la catégorie de vérité. Un démontage des prétentions de la philosophie à se constituer en théorie. Pour ce faire, l’antiphilosophie puise souvent dans les ressources que, par ailleurs, exploite la sophistique (BADIOU 2009, p. 17).

Come già visto, la filosofia praticata da Wittgenstein, nella misura in cui si propone come alternativa all’indagine sull’essenza, intrattiene una particolare relazione con la sofistica così come viene presentata da Platone, vero avversario di tutti gli anti-filosofi da Kierkegaard a Nietzsche92. Nelle opere degli anti-filosofi, l’inclinazione sofistica si coniuga di norma con l’ispirazione cristiana: con tale espressione non bisogna tuttavia intendere una religione stabilita in una forma

92 L’antifilosofia annovera tra i suoi rappresentanti, oltre a Wittgenstein: San Paolo, Pascal,

Rousseau, Kierkegaard, Nietzsche e Lacan. Secondo la ricostruzione di Badiou, ognuno di questi autori si contrappone idealmente ad un filosofo “ortodosso”: si pensi, ad esempio, all’opposizione tra Pascal e Cartesio o al dissidio tra Kierkegaard e Hegel.

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istituzionale ma il costante riferimento a un atto singolare, «une rupture active salvatrice» (Ivi, p. 29) eterogenea rispetto all’impianto del discorso filosofico, che pretende invece di parlare a nome dell’Universale. Non è questo il luogo per entrare nel merito di una valutazione sulla vita spirituale di Wittgenstein, tema peraltro ampiamente affrontato nelle biografie del filosofo93; ciò che qui interessa è invece riflettere sulla possibile connotazione cristiana dell’anti-platonismo di Wittgenstein, valutando in tal modo l’applicabilità del paradigma formulato da Badiou. Per far ciò sarà dunque necessario trovare nell’anti-filosofia del secondo Wittgenstein una eco di categorie per così dire “evangeliche”.

Nella figura del gesto, elemento che aveva messo in moto la nostra indagine specificando il legame biunivoco tra parola e tema musicale, ci pare di scorgere la specifica articolazione di anti-platonismo ed eco cristiana che caratterizza la seconda filosofia di Wittgenstein. Nel gesto, infatti, è possibile scoprire una logica familiare del confronto ma anche un’anti-filosofia dell’incarnazione. L’esigenza di concretezza che mette in moto la riflessione e che conduce agli esiti anti- platonici che abbiamo visto consente di parlare, nel caso del secondo Wittgenstein, di una filosofia del corpo o, come dice Richard Shusterman, di una

somaestetica94. Tuttavia, come scrive il filosofo americano,

[…] his philosophy is most famous for refuting the centrality of bodily feelings in explaining the essential concepts of philosophy for which they are often invoked: concepts of action, emotion, will, and aesthetic judgment (SHUSTERMAN 2002, p. 91).

L’idea che Wittgenstein non dia sufficiente spazio al corpo, alle sensazioni fisiche e alle reazioni istintive è frutto in realtà di un malinteso: ciò che il filosofo nega è la rilevanza di tali elementi per quanto riguarda la spiegazione dei supposti

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Cfr. MONK 1990. Sul rapporto tra Wittgenstein e il pensiero teologico contemporaneo, cfr. DAMONTE 2011.

94 La riflessione di R. Shusterman trova nel pensiero di Wittgenstein un importante punto di

riferimento per la formulazione della nozione di somaestetica, «which I conceive as a discipline dedicated to improving the understanding, use, and experience of the body as a locus of sensoryaesthetic appreciation (aisthesis) and of creative self-fashioning» (SHUSTERMAN 2002, p. 91).

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fenomeni mentali, come per esempio la comprensione del dolore proprio e altrui, o per l’utilizzo di concetti che in una prospettiva mentalista implicherebbero necessariamente la presenza di un accompagnamento psicologico. Ciò che viene messo in discussione da Wittgenstein non è il ruolo del corpo ma il mito dell’interiorità95

che mette al centro delle nostre esperienze percettive e dei nostri usi linguistici una presunta coscienza dei processi fisici e corporei, ritenuti patrimonio esclusivo dei singoli, dominio privato essenzialmente inattingibile per gli altri (o al limite verbalizzabile in un secondo momento e, dunque, comunicabile). Al contrario, per Wittgenstein il corpo è intrinsecamente espressivo96: non vi è pertanto bisogno di supporre termini intermedi tra la superficie dei gesti e la comprensione degli interlocutori. Per il filosofo, infatti, «il corpo umano è la migliore immagine dell’anima umana» (PU, II, iv), il riferimento alla comprensione di stati mentali è superfluo poiché il corpo parla, la sua superficie è per così dire trasparente:

Non diciamo di un cane che potrebbe parlare con se stesso. Non lo diciamo perché conosciamo così bene la sua anima? Ebbene, si potrebbe dire così: Quando si vede il comportamento di un essere vivente si vede la sua anima […] (PU, §357).

La distinzione tra anima e corpo è di sicuro una delle più resistenti abitudini linguistiche che caratterizzano la nostra psicologia ingenua. Per chiarire il rapporto tra i due elementi, Wittgenstein mostra la pervasività del dualismo mente-corpo mettendo alla prova le immagini che ci facciamo del rapporto tra segno e significato:

«C’è già tutto in…» Com’è che la freccia → indica? Non sembra che, oltre se stessa, porti in sé qualcosa? - «No, non il morto segno; solo lo psichico, il significato, può farlo». – Questo è vero e falso. La freccia indica soltanto

95 Cfr. BOUVERESSE 1976. 96 Cfr. CHAUVIRÉ 2004, cap. 2.

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nell’applicazione che l’essere vivente ne fa. Questo indicare non è una stregoneria che solo l’anima può compiere (Ivi, §454).

La logica dell’incarnazione si contrappone di norma alla stregoneria, alla divinazione, alla «concezione pneumatica del pensiero» (Ivi, §109): il monismo che vede anima e corpo come un tutt’uno97

si scaglia contro il dualismo peculiare dello spiritualismo, che fa del corpo un mero involucro inessenziale, e del materialismo ingenuo, che affermando la validità di uno solo dei due piani li pone entrambi, ipso facto, come distinti e alternativi98. Il dualismo è la soluzione che diamo alla delusione di una nostra aspettativa: «Dove il nostro linguaggio ci fa supporre l’esistenza di un corpo, e non c’è alcun corpo, là, vorremmo dire, c’è uno spirito» (Ivi, §36). Un pensiero dell’incarnazione si propone dunque di rispondere alla domanda così espressa da S. Laugier: «Mais le langage, qu’est-ce que c’est, si ce n’est plus le psychologique, ni la matérialité physique des mots (le signe mort)?» (LAUGIER 2010, p. 11).

L’anti-filosofia del secondo Wittgenstein opera dunque uno smarcamento dall’alternativa tra spiritualismo e materialismo ma anche dalla contrapposizione tra nominalismo e realismo, tipica della disputa sugli universali99: la vita dei segni si dispiega solamente nell’uso, nella prassi linguistica; la loro comprensione, come abbiamo visto, non richiede alcuna sussunzione del particolare sotto l’universale ma consiste nell’esecuzione di gesti espressivi che formano reti in cui vigono rapporti di somiglianza di famiglia. La freccia indica soltanto nell’applicazione che l’essere vivente ne fa; della parola non è essenziale afferrare l’anima (o l’essenza) ma osservarne l’espressività immanente o, per introdurre un nuovo tema, la peculiare fisionomia. La potenza del monismo proprio di una logica dell’incarnazione mette fuori gioco anche la disputa tra mentalismo e

97 Per un pensiero dell’incarnazione, il corpo è corpo animato e l’anima è anima incorporata:

«Questo infatti si deve dire di un corpo; o, se vuoi, di un’anima che ha un corpo. E come può un corpo avere un’anima?» (PU, §283).

98 Critiche analoghe alla concezione pneumatica del senso si trovano nel Big Typescript: «Il senso

della proposizione non è pneumatico, ma è ciò che si dà in risposta alla domanda sulla spiegazione del senso […]. (Perciò) il senso non sta dietro alla proposizione (come il processo psichico dell’immaginazione ecc.)» (BT, III, 20, trad. it. p. 90).

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comportamentismo: se da una parte, come scrive Claude Romano, «le langage n’est pas le véhicule extérieur de la pensée, mais son incarnation vivante et son accomplissement» (ROMANO 2013, p. 551), dall’altra il riferimento alla visibilità delle reazioni e delle condotte non mira a squalificare l’idea di un’interiorità ma, con le parole di Sandra Laugier, a «repenser la dualité de l’intérieur et de l’extérieur» mettendo a fuoco «la façon dont, grammaticalement parlant, le dedans et le dehors sont articulés, c’est-à-dire la façon dont on ne parle d’un intérieur que s’il a un extérieur» (LAUGIER 2009, p. 116).

L’anti-filosofia dell’incarnazione salda i nostri usi linguistici alle relative forme di vita, riportando le alternative della storia della filosofia (spiritualismo/materialismo; nominalismo/realismo; mentalismo/behaviourismo) alla loro comune origine dualista e lavorando contro la loro matrice comune. Wittgenstein non sceglie nessuna teoria, non si schiera da nessuna parte nella disputa tra i diversi contendenti, ma cerca di mettere in crisi la logica dualista che sorregge le alternative in gioco. Come vedremo nel prossimo capitolo, l’esigenza di un’originaria e costante incarnazione marcherà la distanza tra la riflessione wittgensteiniana e i tentativi di ripresa operati in ambito analitico.

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CAPITOLO 6

L’estetica musicale analitica e il “caso