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«Ciò che non possiamo dire non possiamo dirlo, e non possiamo nemmeno fischiettarlo!» (RAMSEY 1931, trad. it. p. 255). La celebre battuta di F. Ramsey può servire a introdurre il più considerevole dibattito recente intorno al senso complessivo del Tractatus. Tale dibattito si concentra sul ruolo del nonsenso e sulla sua possibilità di mostrare presunti contenuti ineffabili, estromessi dal registro del dire: a seconda della risposta data dagli interpreti si delineano dunque diverse letture che, per comodità di esposizione, catalogheremo alternativamente come ineffabiliste o risolute. Il primo orientamento interpretativo viene definito anche “lettura standard”, essendo stato a lungo l’indirizzo scelto dai principali interpreti del Tractatus come, per esempio, E. Anscombe e P. Geach: secondo tale interpretazione, l’opera di Wittgenstein ha come scopo quello di tracciare i limiti dell’espressione del pensiero nel linguaggio, indicando al di fuori di ciò che può essere detto il dominio di ciò che è einfach Unsinn, semplicemente nonsenso14. Nell’ambito del nonsenso, tuttavia, sarebbe possibile distinguere tra il mero vaniloquio e una tipologia di nonsenso “utile” e “interessante”, in senso lato

significativo. Per mezzo di tali nonsensi sarebbe possibile mostrare ciò che non è

dicibile, vale a dire la struttura essenziale della realtà15. Le proposizioni stesse del

Tractatus apparterrebbero a questo tipo di nonsenso illuminante, per mezzo del

quale sarebbe possibile far luce su alcune verità ineffabili, da intendersi come contenuti metafisici riguardanti l’essenza del mondo. Per questo motivo la lettura standard viene denominata “ineffabilista”:

14 A tal proposito, si rilegga la Prefazione dell’autore al Tractatus logico-philosophicus. 15 Di questa opinione è GEACH 1976.

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L’assunto fondamentale di questo approccio esegetico è che le proposizioni insensate del Tractatus abbiano il ruolo di comunicare (o di servire a comunicare) un insieme di verità necessarie – verità che, in base ai criteri di sensatezza imposti dal Tractatus, risultano in senso stretto “ineffabili”. (BRONZO 2010, p. 273).

Tale lettura troverebbe conferma nella lettera di Wittgenstein all’editore von Ficker, in cui il filosofo fa riferimento a una sorta di “parte non scritta” della sua opera principale: «Il senso del libro è un senso etico […] il mio lavoro consiste di due parti: di quello che ho scritto, ed inoltre di tutto quello che non ho scritto. E proprio questa seconda parte è quella importante» (WITTGENSTEIN 1969a, trad. it. p. 72). Il ruolo del nonsenso filosoficamente interessante, distinto dal mero nonsenso, sarebbe inoltre pienamente espresso nella proposizione 6.54 del

Tractatus:

Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate [unsinnig], se è salito per esse – su esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che vi è salito). Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo.

Un uso logicamente scorretto del linguaggio – ma gravido di contenuti inespressi e dunque indirettamente significativo – potrebbe raggiungere vertici espressivi non attingibili dall’ordinaria attività raffigurativa con la quale produciamo immagini dei fatti, consentendo al lettore di vedere rettamente il mondo nella sua totalità. Cercando di avventarsi contro i limiti del linguaggio sarebbe perciò possibile utilizzare il linguaggio raffigurativo in maniera innovativa, violando esplicitamente le regole che presiedono alla formazione di immagini dei fatti ma riuscendo in qualche modo a mostrare la verità ineffabile sulla struttura del mondo.

Contro l’interpretazione “ineffabilista” si scagliano J. Conant e C. Diamond, autori della raccolta The New Wittgenstein (2000) e dei saggi contenuti nel

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volume Rileggere Wittgenstein (2010), curato da Piergiorgio Donatelli. È da notare che la lettura “risoluta”, basata su una concezione “austera” del nonsenso, ha come perno centrale la stessa proposizione 6.54 su cui si concentrano anche le letture ineffabiliste: le proposizioni che compongono l’opera, esponendo la logica della raffigurazione, finiscono per essere insensate [unsinnig], non dicono né

alludono a nulla ma hanno l’obiettivo di condurre il lettore a un’esatta visione dei

problemi filosofici ovvero a una loro dissoluzione, coincidente con il gesto di “gettare la scala”16

; con tale gesto verrebbe riconosciuta l’insensatezza generale del Tractatus, in cui evidentemente non verrebbe proposta nessuna teoria filosofica specifica. Il punto controverso sta nel fatto che, secondo Conant e Diamond, le letture standard non comprendono il reale valore di tale proposizione, attribuendo ad alcuni pseudo-concetti, come la forma logica, la possibilità di essere mostrati anziché detti, giungendo in tal modo ad affermare l’esistenza di contenuti ineffabili che Wittgenstein, in qualche modo, avrebbe voluto comunicare.

Come si è detto, per le letture standard la possibilità di mostrare le verità ineffabili come la forma logica spetterebbe alle proposizioni delucidatorie che, pur non avendo senso, non sarebbero tuttavia meri nonsensi (come parole inventate o concatenazioni illecite e arbitrarie) ma nonsensi sostanziali, filosoficamente utili e sommamente significativi. La concezione “austera” si appunta proprio su questo

qualcosa e sul rifiuto di una considerazione “sostanziale” del nonsenso: una

distinzione tra diversi tipi di Unsinn, scrivono gli autori, non si dà nel Tractatus ed è un semplice stratagemma messo in atto da lettori irresoluti che non vogliono “gettare la scala” (che sono convinti cioè che Wittgenstein volesse sostenere una qualche teoria) e che non comprendono il valore terapeutico della pratica messa in atto dal filosofo. Come ricorda Diamond, non dobbiamo comprendere le proposizioni ma l’autore del Tractatus17

e pervenire così a una corretta visione del

nonsenso. Frutto della lettura dell’opera è dunque la comprensione dell’autore e la

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Cfr. DIAMOND 1991.

17 La distinzione tra il comprendere una proposizione e comprendere colui che pronuncia una

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corrispondente maturazione di una visione perspicua da parte del lettore. Come scrive Aldo Gargani:

[…] le chiarificazioni generate dalle delucidazioni wittgensteiniane riguardano propriamente non proposizioni ma il lettore stesso, la sua esperienza di una visione chiara del linguaggio e del mondo, libera dai nonsensi filosofici (GARGANI 2003b, p. 41).

Il peccato originale della lettura standard sarebbe dunque quello di affermare che “c’è qualcosa” (un contenuto ineffabile) che non è esprimibile e che dunque c’è qualcosa che non possiamo fare; al contrario, Wittgenstein avrebbe voluto semplicemente liquidare il problema rappresentato da queste pseudo-entità, dovuto alla confusione logica scaturita da un linguaggio non pienamente analizzato. Come scrive Conant, «oltre i limiti del linguaggio non c’è alcuna ineffabile verità ma semplice non senso» (CONANT 2010, p. 69). L’apparente

qualcosa che ci sembra di poter immaginare si dissolve nel nulla: l’inesprimibile,

scrive Diamond, non corrisponde a nessun contenuto situato oltre i limiti del linguaggio; tali limiti non sono dunque una gabbia contro cui possiamo urtare con il desiderio di vedere oltre18.

Il carattere positivo attribuito al presunto “nonsenso sostanziale” intenderebbe così indicare dei contenuti metafisici attingibili grazie a nonsensi utili e in un certo senso “interessanti”. Viceversa la lettura “austera” si basa sull’idea che tracciare un limite al pensiero sia impossibile, prendendo in tal modo sul serio le parole della Prefazione al Tractatus:

Il libro vuole, dunque, tracciare al pensiero un limite, o piuttosto – non al pensiero stesso, ma all’espressione dei pensieri: ché per tracciare un limite al pensiero, noi dovremmo poter pensare ambo i lati di questo limite (dovremmo, dunque, poter pensare quel che pensare non si può). Il limite non potrà dunque venire tracciato che nel linguaggio e ciò che è oltre il limite non sarà che non- senso [Unsinn] (TLP, Prefazione).

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La lettura “austera”, tuttavia, lascia senza spiegazione il fatto che dei presunti farfugliamenti (meri nonsensi) come le proposizioni del Tractatus riescano a far pervenire il lettore a una visione più chiara grazie alla misteriosa funzione terapeutica del nonsenso. Come ha messo in evidenza S. Laugier, «Le point central de l’interprétation “Nouveau Wittgenstein” est cette différenciation entre comprendre un énoncé et comprendre son auteur» (LAUGIER 2009, p. 69) ma tale distinzione «est quelque peu sophistiquée» e rischia di ricadere in una interpretazione dell’alternativa dire/mostrare vicina a quella proposta dalle avversate letture “ineffabiliste”:

Une critique qu’on pourrait faire dans cette perspective aux lectures “austères” serait qu’elles semblent séparer alors le texte (dénué sens) et son enseignement (sa portée morale, sa force d’élucidation), ce qui les rapproches subrepticement des lectures qu’ils critiquent (Ivi, p. 70).

Le delucidazioni fornite dai nonsensi del testo conducono alla comprensione dell’autore, dell’uomo Ludwig Wittgenstein, modulando in senso etico l’idea di un nonsenso utile e “sostanziale” (la stessa idea che anima le letture metafisiche del Tractatus).