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Tra giochi linguistici e filosofia della psicologia

Per una critica del concetto di atmosfera

7.1 Tra giochi linguistici e filosofia della psicologia

La tarda produzione wittgensteiniana si muove dalla filosofia dei giochi linguistici a un’indagine sulla grammatica dei concetti psicologici. L’articolazione tra i due ambiti di ricerca è consegnata in modo simbolico al passaggio dalla prima alla seconda parte delle Ricerche filosofiche: nonostante un’evidente continuità, la cesura tra le due parti introduce di fatto nuove tematiche che verranno successivamente sviluppate in altri scritti115. La revisione critica del

Tractatus svolta a partire dal 1929 e proseguita negli anni ’30 con la stesura del Libro blu e del Libro marrone trova una sistemazione definitiva nella prima parte

delle Ricerche filosofiche, la cui elaborazione occupa Wittgenstein dal 1941 al 1945. La seconda parte viene invece scritta fra il 1947 e il 1949, quando ormai il filosofo – malato di cancro – ha abbandonato l’insegnamento a Cambridge. La conclusione dell’attività didattica non coincide tuttavia con un abbandono della filosofia; al contrario, fino all’anno della sua morte (1951) Wittgenstein continua a interrogarsi sulla natura dei concetti psicologici, lavorando come è sua abitudine in maniera rapsodica e approntando diversi dattiloscritti desunti da precedenti annotazioni manoscritte. Accanto al comprendere, al pensare, al sapere, all’attendere, al sentire, Wittgenstein dedica grande spazio all’indagine relativa a un ulteriore (presunto) concetto psicologico: il credere. Le ultime annotazioni sul dubbio e sulla certezza (raccolte nell’omonima silloge) portano infatti la data del

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Pubblicati postumi in due volumi, gli Ultimi scritti si compongono di una prima parte, corrispondente agli Studi preliminari alla "Parte seconda" delle "Ricerche filosofiche". MSS 137-

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27 aprile 1951: due giorni prima della sua dipartita il filosofo è ancora alle prese con «i principi fondamentali della ricerca umana» (UG, §670), intento a immaginare di raggiungere in volo una tribù ignara del fatto che gli uomini possano volare e ansioso di negare la possibilità di un errore circa tale tipo di credenze.

Il lavoro filosofico di Wittgenstein, dunque, non si interrompe neanche sul letto di morte: fino alla fine, l’impresa cui si è dedicato negli ultimi anni deve apparirgli di estrema importanza. Ma qual è dunque l’ultima impresa filosofica di Wittgenstein? Come rimarca Chauviré (2003), negli anni ’40 il filosofo austriaco procede a una depsicologizzazione dei concetti psicologici o, per essere più precisi, a una grammaticalizzazione delle questioni relative ai processi interni. In questo periodo tornano alcune tematiche già affrontate a cavallo tra gli anni ’20 e gli anni ’30, nella fase per così dire “fenomenologica” di Wittgenstein, al termine della quale tuttavia l’esigenza di un linguaggio fenomenologico – più sottile del linguaggio quotidiano e più adatto a descrivere l’esperienza – era stata abbandonata come un’illusione senza speranze. Il rinnovato interesse per gli stati mentali, le esperienze vissute e i processi interni viene ora declinato in un senso grammaticale, analizzando il nostro modo di parlare a proposito di tali fenomeni: una piena riabilitazione del linguaggio ordinario, dunque, contro il mito della descrizione esatta – ma sempre inattingibile – delle nostre esperienze affettive, estetiche, psicologiche.

Contro il «mito dell’interiorità» (BOUVERESSE 1976), secondo cui esisterebbe un foro interno sostanziale e misterioso, inaccessibile al linguaggio, e contro il conseguente «mito dell’inespressività» (LAUGIER 2010), secondo cui le nostre parole e i nostri gesti, in quanto “esterni”, sarebbero incapaci di esprimere la profondità di un “interno” mentale e psicologico, Wittgenstein procede a una revisione della stessa polarità esterno/interno, rifiutando qualunque inessenziale mediazione.

Come si ricorderà, questa è la strategia adottata già negli anni ’30 contro la tendenza a immaginare la necessità di un tertium quid tra proposizione e fatto,

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così come tra aspettativa e soddisfacimento116. Tale strategia è presente anche nella prima parte delle Ricerche filosofiche, dove Wittgenstein rifiuta qualunque immagine della comprensione linguistica che riproponga una duplicazione del senso: paragonando la frase linguistica alla frase musicale, il filosofo sottolinea come la comprensione di un enunciato non richieda il riferimento a una realtà fuori dall’enunciato stesso, escludendo in tal modo tanto l’idea di un rispecchiamento costante tra proposizione e fatto quanto l’idea platonizzante di un contenuto disincarnato e atemporale comune a più formulazioni, intese come mere sonorizzazioni o materializzazioni contingenti. La soluzione wittgensteiniana propone piuttosto un’idea di comprensione come confronto fra diversi esempi, senza riferimento a un contenuto mentale, che d’altra parte innescherebbe un regresso all’infinito volto a rendere conto ulteriormente del senso di tale contenuto117.

Negli anni ’40 la strategia wittgensteiniana si presenta ancora una volta come un attacco frontale contro il vizio filosofico del terzo uomo e come un’interruzione del regresso all’infinito da esso innescato. Resta tuttavia il fatto che l’immagine del funzionamento del linguaggio che ci porta a richiedere sempre ulteriori mediazioni ha un potere di seduzione tale da riproporre continuamente la tentazione di un quid – psicologico, mentale, affettivo – in aggiunta a ciò che si offre apertamente alla nostra esperienza. Nella seconda parte delle Ricerche

filosofiche, come nei successivi scritti sulla filosofia della psicologia, Wittgenstein

affronta dunque l’immagine che ci si impone quando pensiamo alla comprensione come processo interno e come esperienza vissuta: in questi casi, dice il filosofo, le parole paiono immerse in una particolare atmosfera, in un alone che costituirebbe lo sfondo psicologico soggettivo dei diversi usi linguistici possibili.

Nei seguenti paragrafi vedremo come Wittgenstein proponga una vera e propria critica del concetto di atmosfera: non dunque un giudizio negativo né un semplice rifiuto, ma al contrario un’analisi dei diversi possibili significati di tale

116 Cfr. cap. 4. 117

Il rischio di un regresso all’infinito si ripropone a diversi livelli nel percorso wittgensteiniano: si pensi a quanto detto sul “punto cieco” della teoria raffigurativa nel Tractatus e sull’irrappresentabilità della forma logica (cfr. par. 1.2).

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concetto e una valutazione delle effettive capacità euristiche del richiamo alla dimensione rarefatta, effusiva e (come si vedrà in seguito) musicale dell’esperienza.