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Un’alternativa pseudo-wittgensteiniana a Wittgenstein

Figuratività e ineffabile: due possibili percorsi estetic

3.2 Un’alternativa pseudo-wittgensteiniana a Wittgenstein

Come si è detto, il programma di Langer è dichiaratamente un tentativo di estendere la teoria logico-linguistica del Tractatus oltre il dominio assegnato da questo all’espressione sensata dei pensieri. Nel panorama dell’estetica musicale non ci dovrebbe essere dunque alcuna teoria più “wittgensteiniana” di quella di Langer: l’applicazione della teoria raffigurativa al campo della vita emotiva rappresenterebbe infatti una prosecuzione critica del lavoro del filosofo austriaco. Tuttavia, pur basandosi su un assunto mutuato dal Tractatus, l’ampliamento operato da Langer va oltre ciò che è consentito dalla stessa teoria raffigurativa e perciò si dimostra in ultima analisi un totale capovolgimento del pensiero wittgensteiniano. Vediamo nel dettaglio le analogie e le differenze.

Definendo la musica come espressione logica della vita emotiva e facendone un simbolo del sentimento, Langer sfrutta l’idea centrale della teoria raffigurativa: una proposizione è immagine di un fatto in quanto ne condivide la forma logica;

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Il rapporto storicamente documentato tra la teoria isomorfica di S. K. Langer e la teoria raffigurativa del Tractatus logico-philosophicus è stata recentemente interpretata come una coerente filiazione da MARTINELLI 2013, pp. 171-78.

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allo stesso modo la musica esibisce, mostra, la forma logica del decorso di un vissuto emotivo. La dicotomia tra dire e mostrare viene usata qui in maniera del tutto autonoma rispetto a quanto proposto da Wittgenstein: consapevole di ciò, Langer esprime il suo proposito di andare al di là di quanto stabilito da Wittgenstein, Russell e Carnap applicando il concetto di forma logica a ciò che abitualmente viene ritenuto al di là della possibilità di espressione. L’autrice, in sostanza, ritiene che tutto ciò che può essere detto, può essere detto chiaramente; il resto può essere mostrato articolando una particolare forma simbolica, quale quella presentazionale. Si noterà che in questa proposta il mostrare non è, come nel Tractatus, un registro collegato e insieme inversamente proporzionale al dire ma costituisce, in realtà, un suo duplicato non verbale e ugualmente positivo: così come alcune cose possono essere dette, altre – più “artistiche” o “spirituali” – possono essere mostrate. Tale ostensione avviene però attraverso forme

simboliche analoghe, almeno in parte, a quelle proposizionali; al contrario, nel Tractatus, ciò che può essere veicolato attraverso un’immagine logica ricade

proprio a motivo della sua articolazione nel campo del pensabile, ovvero del dicibile. Il mostrare diventa nel pensiero di Langer un dire a gesti, o un dire – piuttosto vago – attraverso le forme sonore.

Se la teoria del simbolo inconsumato dovesse essere discussa nell’ambito del recente dibattito innescato dagli autori del New Wittgenstein, Langer verrebbe semplicemente inserita nel numero dei lettori irresoluti o “ineffabilisti”: laddove Wittgenstein raccomanda il silenzio per ciò di cui non è possibile parlare, la filosofa americana propone di provare a fischiettare, sicura che la musica possa arrivare là dove il linguaggio non arriva. Ma così facendo si ammette la musica nel campo del senso, vale a dire nel campo di ciò che può essere pensato (e dunque detto); se «veramente vi è dell’ineffabile» (TLP 6.522), del mistico, esso non sarà semplicemente un “contenuto segreto”, fuori dalla portata del linguaggio, ma – come si è cercato di mostrare nei precedenti capitoli – l’orizzonte di una visione sub specie aeterni, tautologica e trascendentale.

L’applicazione della teoria raffigurativa (o di un suo derivato) a un dominio dichiaratamente escluso dal Tractatus rivela una prima, sostanziale divergenza tra

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la riflessione di Langer e quella di Wittgenstein. Possiamo inoltre notare che le osservazioni sulla musica del filosofo austriaco non puntano mai a un’applicazione sui generis della teoria raffigurativa alla musica, come anche sarebbe stato ragionevole aspettarsi. L’unico passo del Tractatus in cui il pensiero musicale viene accostato alla comunanza di forma logica è la proposizione 4.014:

Il disco fonografico, il pensiero musicale, la notazione musicale, le onde sonore, stanno tutti tra loro in quella interna relazione di raffigurazione che sussiste tra linguaggio e mondo. A essi tutti è comune la struttura logica.

Bisogna notare, tuttavia, che il riferimento a una struttura logica condivisa non è proposto in vista di un ancoraggio del pensiero musicale al mondo delle emozioni, o a qualsiasi altro contenuto, bensì per illustrare la relazione interna che lega differenti immagini legate da una stessa forma ma implicate in differenti modalità di proiezione.

Ben più rilevante delle analogie è la differenza che si può rinvenire tra il percorso di Langer e quello di Wittgenstein: se la prima sceglie un’applicazione della teoria raffigurativa, il secondo insiste sul carattere tautologico del tema musicale. In questa alternativa sta tutta la distanza tra le due considerazioni della musica: mentre per la filosofa americana esiste un potere simbolico dei suoni, per quanto globale e sprovvisto di una denotazione determinata, per Wittgenstein la musica offre il migliore esempio di una forma autoreferenziale, compiuta in se stessa, priva di riferimento a specifici fatti del mondo. Come scrive C. Chauviré, il filosofo invoca per la frase musicale un’autonomia, una forma di autosufficienza:

La thèse que Wittgenstein veut imposer comme antidote à l’explication causale courante est celle d’une musique “achevée” (self-conteined, dirait-on en anglais) qui n’a pas besoin d’exprimer quelque chose d’extérieur à elle- même, parce qu’elle est en soi complète (CHAUVIRÉ 1992, p. 270).

La musica non è dunque immagine di nessun fatto esterno ma risalta come forma in sé compiuta e, solo per questo motivo, realmente e rigorosamente

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ineffabile. D’altra parte, secondo Langer oltre al simbolo linguistico-discorsivo bisogna ammettere l’esistenza di simboli presentazionali, non linguistici, capaci di simbolizzare ciò che nella vita emotiva si presenta come sempre mutevole. Proprio ciò viene rifiutato da Wittgenstein, il quale è chiaro sulla questione relativa ai limiti del linguaggio: prevedere un accesso positivo – per quanto vago e cangiante – alla rappresentazione dell’ineffabile vuol dire non prendere sul serio la categoria stessa di ineffabile, di mistico. Tutto ciò che può essere rappresentato, infatti, cade in un modo o nell’altro nel campo del rappresentabile, nettamente distinto da ciò che il filosofo austriaco chiama Unaussprechliches. In diversi passi Wittgenstein prende posizione contro qualunque tentativo metafisico (o semplicemente emotivista) di esprimere l’inesprimibile, preservando in tal modo il mistico da ogni tentativo, più o meno kitsch, di dar voce all’ineffabile. Per questo motivo la riflessione wittgensteiniana sul tema musicale non si presta a un’applicazione illegittima della teoria raffigurativa ma ribadisce il carattere tautologico, sinnlos, della musica; essa non rappresenta nulla, non individua nessuno stato di cose possibile – discostandosi in tal modo dal campo del Sinvoll – né ricade nell’insignificanza dell’Unsinn, ma si attesta sul limite, costituendosi come applicazione estrema del simbolismo. In questo senso, più vicino alla posizione di Wittgenstein appare la riflessione sull’attività artistica proposta da Emilio Garroni:

Come il metalinguaggio (per esempio nel caso estremo del metalinguaggio logico) non dice nulla, per così dire delle “cose”, di ciò di cui parla il linguaggio oggetto, così l’attività artistica è una sorta di metaoperazione che non si propone nessuno dei fini perseguiti dalle operazioni finalizzate (GARRONI 2010, p.177).

Lasciando da parte la questione del metalinguaggio (che abbiamo visto essere una soluzione fortemente avversata da Wittgenstein), possiamo convenire sul fatto che, come la logica è per così dire “disinteressata” a ciò di cui il linguaggio parla, così l’attività artistica, e la musica in particolare, opera su operazioni precedenti in

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un regime distaccato dalle finalità ordinarie: nel linguaggio del Tractatus, la sua è una visione sub specie aeterni delle operazioni finalizzate su cui opera.

Per concludere, l’analisi della riflessione di Langer, esplicitamente ispirata alla teoria logica del Tractatus, ci ha portato a una versione ineffabilista della teoria raffigurativa, ovvero a un’estensione indebita della proposta wittgensteiniana al campo della vita emotiva, ritenuta insieme preclusa al linguaggio ma esprimibile attraverso simboli musicali “inconsumati”. L’esito della teoria proposta in

Philosophy in a New Key (e approfondita senza sostanziali ripensamenti in Feeling and Form) porta a un capovolgimento delle premesse logiche e formali da

cui l’autrice era partita. «Le strutture sonore che noi chiamiamo musica hanno una stretta somiglianza logica con le forme del sentimento umano» e per questo motivo la musica si candida a essere «un corrispondente sonoro della vita emotiva» (LANGER 1953, trad. it., p. 43); d’altra parte la forma musicale è un simbolo privo di denotazione stabile e perciò presenta la morfologia del sentimento in maniera globale. Ora, essendo privo di riferimento stabile, l’andamento musicale presenta una forma che può corrispondere tanto alla gioia quanto al dolore, illustrando un decorso che accomuna i più disparati sentimenti. Come scrive Giovanni Piana, pare che Langer finisca per attribuire alla musica una vaga forma generale della vita emotiva:

[…] la nozione di forma del sentimento diventa tanto priva di differenze interne da convertirsi infine nel più indifferenziato e oscuro dei sentimenti […] si tratta, naturalmente, di quel sentimento della vita di cui infine ci parla la Langer come qualcosa di non molto diverso dalla forma del sentimento.

Tutta la musica avrebbe nel sentimento della vita il suo unico senso

simbolico (PIANA 1991, p. 314). .

L’indagine sulla forma logica del sentimento porta dunque a un esito contraddittorio in cui la musica figura come espressione ambigua di emozioni indistinte; il formalismo logico conduce all’ineffabilismo. Nel tradimento delle

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sue stesse premesse, la posizione di Langer si capovolge dunque in una teoria dell’ambiguità musicale per molti versi vicina a quella proposta da Jankélévitch.