Sub specie aetern
2.3 Meravigliarsi di una tautologia
Le proposizioni del Tractatus relative al mistico e alla visione sub specie
aeterni trovano una precisa corrispondenza concettuale nella Conferenza sull’etica, testo del 1929 che rappresenta in una certa misura il ritorno di
Wittgenstein alla filosofia29. La Conferenza si concentra su questioni che, in senso lato, possono essere considerate etiche; come specifica il suo autore, nel testo il termine “etica” viene usato in un’accezione che potrebbe ben comprendere questioni normalmente definite “estetiche”. Sulla base della connessione tra etica ed estetica si svolge dunque l’analisi di alcune esperienze caratteristiche in cui vengono messe in campo espressioni valoriali usate in senso assoluto, di contro a un abituale e comprensibile uso relativo, normalmente riferito a singoli fatti specifici. Tra le esperienze che pretendono di dispiegare l’utilizzo in senso assoluto di espressioni valoriali, Wittgenstein mette in risalto il ruolo svolto dal sentimento di meraviglia per l’esistenza del mondo:
Ma allora, tutti noi che, e io tra questi, siamo tuttavia tentati di usare espressioni come “bene assoluto”, “valore assoluto”, ecc., che cosa abbiamo in mente, e che cosa cerchiamo di esprimere? […] Ora, appunto, io mi trovo in un caso analogo, volendo fissare la mia mente su ciò che intendo per valore assoluto o etico. […] Credo che il modo migliore di descriverla sia dire che, quando io ho questa esperienza, mi meraviglio per l’esistenza del mondo. E sono allora indotto a usare frasi come “Quanto è straordinario che ogni cosa esista”, oppure “Quanto è straordinario che il mondo esista”. (LE, trad. it., pp. 11-12).
29 Dopo la pubblicazione del Tractatus, Wittgenstein si ritira dall’attività filosofica accademica
dedicandosi a esperienze di diversa natura: giardiniere in un convento, architetto (progetta una casa, concepita secondo i precetti del razionalismo modernista di Adolf Loos, per la sorella Margaret), trascorre sei anni in un villaggio nelle montagne della bassa Austria lavorando come insegnante elementare. Solamente i contatti con i membri del Circolo di Vienna riaccendono l’interesse di Wittgenstein per le questioni affrontate nel Tractatus: dopo aver ascoltato una conferenza del matematico olandese L. E. Brouwer, nel 1928 il filosofo procederà a una sostanziale revisione delle sue teorie linguistiche. Cfr. WAISMANN 1967; MONK 1990; PISANI 2011; SLUGA 2011.
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Appena messo a fuoco il sentimento di meraviglia per l’esistenza del mondo, e insieme a esso il sentimento di sentirsi totalmente al sicuro – qualunque cosa
accada –, Wittgenstein si affretta a precisare che «l’espressione verbale che diamo
a queste esperienze non ha senso [nonsense]» (Ivi, p. 13). Ma qual è il motivo di tale insensatezza? Wittgenstein spiega che la meraviglia riguarda specifici fatti che si verificano a dispetto di ciò che ci si sarebbe potuti aspettare: mi meraviglio che una cosa sia così perché penso che sarebbe potuta essere in un altro modo, «in tutti questi casi, io mi meraviglio di qualcosa perché è come è, e che potrei concepire come diversa» (Ibidem). Ora, per meravigliarmi dell’esistenza del mondo dovrei poter pensare la possibilità della sua non esistenza, dovrei poter pensare a niente mentre il pensiero è sempre alle prese con un oggetto, con
qualcosa: che il mondo non esista è una condizione inimmaginabile, non è una tra
le tante possibilità concepibili.
Nel sentimento di meraviglia per l’esistenza del mondo etica ed estetica manifestano la loro reciproca intimità; secondo la triade dei trascendentali presentata nel Tractatus, tale esperienza non può non avere una precisa caratterizzazione logica. Scrive infatti Wittgenstein:
Posso certo meravigliarmi che il mondo attorno a me sia così. Se, per esempio, avessi una tale esperienza mentre guardo il cielo azzurro, potrei meravigliarmi del suo essere azzurro, invece che coperto di nubi. Ma non è questo che voglio dire. Mi sto meravigliando del cielo, comunque esso sia. Si potrebbe essere tentati di dire che mi sto meravigliando di una tautologia, e cioè del cielo azzurro o non azzurro che sia, ma allora non ha senso [it's just nonsense] dire di meravigliarsi di una tautologia (Ivi, p. 14).
Il nonsenso di cui parla Wittgenstein consiste nel meravigliarsi di una tautologia30. Come abbiamo visto, nel Tractatus la tautologia è l’applicazione limite della teoria raffigurativa; essa, essendo sempre vera, non raffigura nessun fatto specifico ma convoca simultaneamente tutti i possibili: la tautologia mette
30 Sulla meraviglia per l’esistenza del mondo come esperienza etica e sul carattere tautologico di
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sotto gli occhi la totalità degli stati di cose. Per questo motivo, scrive Wittgenstein, la modalità tipica della tautologia è la necessità, mentre quella della proposizione la possibilità (cfr. TLP 4.464). Meravigliarsi di una tautologia vuol dire dunque concepire come possibile ciò che è invece necessario; in questo errore modale si annida l’Unsinn, il nonsenso in cui incappa chiunque voglia esprimere verbalmente la meraviglia per l’esistenza del mondo, la cui struttura è invece quella di una necessità tautologica.
Cerchiamo di ripercorrere con ordine il ragionamento: l’etica non ha a che fare con valori relativi ma punta, qualunque cosa ciò voglia dire, all’assoluto; esso si manifesta in esperienze come il sentimento di meraviglia per l’esistenza del mondo; provare a esprimere verbalmente tale stupore conduce necessariamente a un nonsenso. Fino a questo punto si spinge la lettura di P. Hadot, il quale riconduce il mistico del Tractatus all’estasi provata davanti al mondo considerato come un tutto limitato (visto sub specie aeterni); per il filosofo francese tale esperienza, ponendosi al di là dei limiti di linguaggio e mondo, «fa apparire il mondo ed il linguaggio stessi come dei nonsensi» (HADOT 2004, trad. it., p. 69).
In realtà, se si fa attenzione a ciò che scrive Wittgenstein, il ragionamento è differente: se si vuole procedere da un punto di vista logico, le proposizioni che vorrebbero esprimere la meraviglia per l’esistenza del mondo si risolvono in un nonsenso metafisico, ma l’esistenza del mondo è in sé una tautologia, corrisponde a una proposizione sinnlos ben distinta dalle proposizioni meramente unsinnig. Ciò che viene additato come insensato è l’equivoco che non riconosce la necessità propria della tautologia attribuendole la contingenza – la possibilità – che è tipica dell’ordinaria proposizione fattuale.
L’esistenza del mondo non è dunque vista come un Unsinn bensì come una tautologia sinnlos; né, d’altra parte, la visione sub specie aeternitatis conduce al di là dei limiti del linguaggio, andando invece a individuare la posizione specifica dell’osservatore sul limite. Se si vuole leggere coerentemente la Conferenza
sull’etica alla luce della distinzione tra Sinnlos e Unsinn proposta nel Tractatus, il
nonsenso risiede nel cercare di esprimere in proposizioni fattuali ciò che è invece
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senso deteriore) non è la visione sub specie aeternitatis ma lo sconfinamento oltre i limiti che tale visione, correttamente intesa, assegna all’osservatore. Vedere il mondo sub specie aeternitatis vuol dire vedere il mondo come un tutto delimitato, come una tautologia – come un’opera d’arte. Nella paradossale posizione del limite, vi è per l’osservatore una fatale tentazione, quella di dire ciò che mostra
sé:
E ora descriverò l’esperienza di meravigliarsi per l’esistenza del mondo, dicendo: è l’esperienza di vedere il mondo come un miracolo. Sono ora tentato di dire che l’espressione giusta nella lingua per il miracolo dell’esistenza del mondo, benché non sia alcuna proposizione nella lingua, è l’esistenza del linguaggio stesso (LE, trad. it., p. 17).
Quello che ha per protagonista l’esistenza del mondo è di certo un miracolo; d’altra parte, non è possibile esprimere tale miracolo con un’espressione del linguaggio perché esso esprime sé – si mostra – nel linguaggio stesso. Ciò vuol dire che non si deve tentare di reificare e sostanzializzare – al fine di afferrarlo – ciò che ordinariamente si dà a vedere nel linguaggio, ovvero la relazione con il mondo.