Sub specie aetern
2.6 La motivazione estetica
Nel 1938 Wittgenstein tenne delle lezioni di estetica a Cambridge; leggiamo dagli appunti dei suoi studenti:
Potresti dire “Una spiegazione estetica non è una spiegazione causale”. Cfr. Freud, Il motto di spirito e l’inconscio. Freud ha scritto sui motti di spirito. Potresti definire causale la spiegazione data da Freud. “ Se non è causale, come fai a sapere che è corretta?”. Tu dici “Sì, è giusto”, Freud trasforma il motto di spirito in una forma diversa, riconosciuta da noi come un’espressione della catena di idee che ci ha condotto da un capo all’altro di una battuta umoristica. Un modo del tutto nuovo di esprimere una spiegazione corretta, non in accordo con l’esperienza, ma accettata […] Ecco in che cosa consiste soprattutto la spiegazione (LC, trad. it., pp. 78-79).
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Scopo del Tractatus non sarebbe di giungere, una volta “gettata la scala”, alla contemplazione di verità ineffabili (come pretendono le letture standard) né di operare scientemente un’auto- decostruzione delle tesi filosofiche (come vorrebbero gli interpreti austeri); in modo del tutto diverso, Wittgenstein si propone di guadagnare, almeno momentaneamente, un punto di vista tautologico sulla totalità, sul rapporto tra linguaggio e mondo. Ciò non significa che il tentativo sia riuscito: come dice bene P. M. S. Hacker, il Tractatus è un orologio fatto per funzionare, anche se di fatto non funziona (cfr. HACKER 2000).
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Il motto di spirito pone un interrogativo riguardante l’effetto specifico di una formulazione che, in deroga alle comuni regole accettate dai parlanti, produce effetti di senso inediti. La spiegazione di un motto di spirito porta in primo piano la distinzione tra causa e motivo, indicando in quest’ultimo il proprio della valutazione estetica: «Il genere di spiegazione cercato quando si è perplessi di fronte a un’impressione estetica, non è quello causale, non è una spiegazione confortata dall’esperienza o dalla statistica su come reagisce la gente» (Ivi, p. 83). La differenza tra causa e motivo (o ragione) era stata precedentemente individuata da Wittgenstein nelle Lezioni del 1932-1935:
La sua [di Freud] spiegazione fa ciò che fa l’estetica: mette insieme due fattori. Un’altra questione che Freud tratta psicologicamente, ma il cui studio ha il carattere di uno studio estetico, è quello della natura dei motti di spirito. La domanda: “Qual è la natura di un motto di spirito” è analoga alla domanda: “Qual è la natura di un poema lirico?”. […] Io vedo qui una confusione tra una causa e una ragione (LC 1932-35, trad. it., pp. 39-40).
L’analogia tra psicoanalisi e ricerca estetica39 risiede nella comune esposizione di motivi e non di cause verificabili sperimentalmente; la motivazione non cerca nessun ulteriore fenomeno dietro a ciò che deve spiegare ma poggia sull’esposizione di un’analogia: «Come in estetica, le cose sono poste l’una accanto all’altra in modo da esibire certe caratteristiche» (Ibidem). La ricerca di una ragione coinvolge poi come parte essenziale l’accordo dell’interessato con essa, risolvendosi in una forma specifica di persuasione; come scrive J. Bouveresse,
Di una causa si può dire, se si vuole, che non la si può conoscere, ma soltanto congetturare; al contrario, è nella natura di una ragione la proprietà di poter essere riconosciuta e congetturata […] soltanto in forma provvisoria
39 Sui rapporti di Wittgenstein con la teoria freudiana e sulle analogie tra psicoanalisi ed estetica, si
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e nella prospettiva di un riconoscimento possibile […] da parte dell’interessato (BOUVERESSE 1991, trad. it., p. 117).
La motivazione costituisce una donazione di senso intimamente legata all’assenso di chi da essa è coinvolto; se la causa è oggetto di una conoscenza obiettiva, la motivazione è sempre oggetto di un riconoscimento soggettivo, al limite di una confessione personale. Freud, nella lettura datane da Wittgenstein, cerca di estendere in maniera indebita la spiegazione causale a ciò che è invece retto da una ermeneutica della motivazione. Nota Bouveresse:
Ma solo la confusione tra ragioni e cause e il fatto che le ragioni siano state a lungo ignorate permettono di affermare che il procedimento della conoscenza obiettiva ha potuto estendersi all’universo delle ragioni. Waismann osserva che senza dubbio non è a caso che si parla tanto di un motivo pittorico (o musicale) quanto del motivo di un’azione umana (Ivi, p. 131).
La motivazione consiste nel situare un fenomeno nel suo specifico contesto, nella rete di relazioni che lo strutturano, affiancandolo – secondo un procedimento estetico-analogico – ad altri fenomeni che con esso intrattengono rapporti di similarità. Motivare è dunque cosa radicalmente differente dal rintracciare la causa: lungi dal risalire oltre il fenomeno, la spiegazione estetica moltiplica gli elementi per giustapposizione, portando sotto gli occhi configurazioni significative nate dall’intreccio di formulazioni analoghe.
Pertanto la motivazione è immanente: cercare la ragione di un motto di spirito, come della riuscita di un passaggio musicale, vuol dire essere capaci di integrare diversi elementi in una considerazione che non perda di vista l’oggetto ma che anzi riesca ad arrestarsi davanti alla sua specificità. Come in altri casi, il problema non è risalire oltre e al di là, ma fermarsi. L’interruzione in questo caso necessita di un assenso, frutto di persuasione: «Fornire una ragione talvolta significa “In realtà ho proceduto così” […]. “Perché l’hai fatto?”. Risposta “Mi sono detto che…”. In molti casi il motivo è solo ciò che rispondiamo alla domanda» (LC, trad. it., p. 84-85). La motivazione è al contempo inflazionistica (in quanto
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coinvolta in una moltiplicazione paratattica di esempi e analogie) e tautologica, non potendo rispondere altro che “ho proceduto così”. Accettare o meno una motivazione vuol dire in effetti esserne persuasi, soddisfatti: «È come se tu avessi bisogno di un qualche criterio, ossia di quel clic, per sapere che è occorsa la cosa giusta. […] Potresti definire “suono giusto” la tua soddisfazione» (Ivi, p. 80). La motivazione è valida se “suona”, se da un punto di vista estetico pare appropriata ovvero coincidente con se stessa, felicemente riuscita come un tema musicale.
La struttura tautologica dell’esperienza etica, caratterizzata dalla modalità di visione sub specie aeterni, ci consegna dunque l’esistenza del mondo come un lapalissiano motto di spirito, la cui motivazione – intesa anche e soprattutto in senso musicale – mette capo a una soddisfazione che non chiede nessun contenuto ulteriore, nessun riempimento di “paglia” al vuoto che la modalità estetica, innescata dal vedere come, dischiude allo sguardo. Visto sub specie aeterni, il mondo appare come una forma perfetta, «conclusa e compiuta in sé»; non a caso nella Conferenza sull’etica Wittgenstein evoca l’espressione religiosa secondo cui Dio ha creato il mondo: questo infatti si dà a vedere come l’opera di un artista, come la riuscita di un’azione creativa. Nell’esperienza etica il mondo appare dunque come un tema musicale, tautologico, sì, ma sorprendente ed espressivo. Nella seconda parte del nostro lavoro vedremo come sia possibile pensare una siffatta immanenza dell’espressione o, come si è soliti dire nell’estetica analitica, un’espressività intransitiva.
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