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Per una critica del concetto di atmosfera

7.4 Atmosfera come espressione musicale del linguaggio

Come abbiamo ricordato, già dagli anni ’30 Wittgenstein sottopone l’idea di accompagnamento a una critica serrata; in particolare, l’elemento ulteriore che pare affiancare le nostre parole risulta essere una sostanzializzazione dello specifico modo espressivo che caratterizza i nostri discorsi. Il termine “atmosfera” – rifiutato da Wittgenstein come un’immagine fuorviante dei nostri processi interni e in particolare della comprensione linguistica – occupa il posto che in realtà potremmo assegnare ai mezzi prosodici caratteristici del nostro linguaggio. Rifiutato nelle due precedenti accezioni, il termine “atmosfera” non deve dunque suggerire la consistenza autonoma di un alone intorno alla parola ma può essere utilizzato per indicare l’intrinseca espressività del discorso umano:

[…] E se questa proposizione ha un’atmosfera definita, come devo separare l’atmosfera dalla proposizione? Non mi sarebbe mai venuto in mente che la proposizione avesse una tale atmosfera se, nel frattempo, non avessi anche pensato a come la si potesse pronunciare anche in un modo diverso – come una citazione, per scherzo, come esercizio di conversazione e così via […] L’immagine di quella atmosfera mi si era imposta; la vedo chiaramente davanti a me […] (Ivi, §607).

L’atmosfera di una proposizione – così come il sentimento di familiarità – emerge solamente in alcune occasioni: quando riusciamo a immaginare modi diversi, differenti intonazioni, possibilità espressive alternative, allora l’inconfondibile tonalità di una frase emerge come una realtà quasi palpabile, che tocca la nostra sensibilità. L’atmosfera, intesa come fisionomia espressiva di una proposizione, pare strettamente connessa ai diversi giochi linguistici che costituiscono il nostro repertorio di parlanti. La citazione, lo scherzo, l’esercizio di conversazione hanno tutti un diverso profilo melodico: le loro rispettive qualità musicali emergono con nettezza come timbri musicali differenti. Come scrive Aldo Gargani, «fisionomia, musicalità, ritmo, familiarità e gestualità costituiscono

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quei tratti che contribuiscono a formare l’atmosfera della parola» (GARGANI 2008, p. 3).

Riconoscere un’atmosfera non vuol dire dunque arrestarsi con espressione estatica di fronte a un fenomeno effusivo; al contrario, tale riconoscimento dà il via a diversi giochi linguistici tra i quali emerge quello della descrizione. Il ricorso all’atmosfera, secondo Wittgenstein, non ci immerge immediatamente nella realtà dell’esperienza preverbale – non ci esime cioè dallo sforzo linguistico, riconsegnandoci all’ineffabile – ma al contrario innesca ulteriori tentativi di descrizione:

La descrizione di un’atmosfera è una speciale applicazione del linguaggio, per scopi speciali. ((Interpretare il 'comprendere' come atmosfera; come atto mentale. Si può costruire un’atmosfera e attaccarla a tutto. 'Un carattere indescrivibile'.)) (PU, §609).

Nel passo appena citato troviamo fianco a fianco le due soluzioni antitetiche al problema rappresentato dal concetto di atmosfera: da una parte abbiamo la versione psicologista secondo cui atmosferica è la comprensione, intesa come stato mentale; dall’altra parte abbiamo la soluzione propriamente wittgensteiniana che vede nell’atmosfera «una speciale applicazione del linguaggio, per scopi speciali». Senza divaricazioni tra esperienza e linguaggio, tra mentale e grammaticale, Wittgenstein ci invita a pensare l’atmosfera come un nuovo terreno espressivo su cui esercitare i nostri sforzi di descrizione:

Descrivi l’aroma del caffè! – Perché non si riesce? Ci mancano le parole? E per che cosa ci mancano? – Ma da dove viene l’idea che una descrizione siffatta debba essere possibile? Non hai mai sentito la mancanza di una descrizione del genere? Hai cercato di descrivere l’aroma del caffè senza riuscirci?

((Vorrei dire: “Queste note dicono qualcosa di grandioso, ma non so che cosa”. Queste note sono un forte gesto, ma non posso affiancar loro nulla che le spieghi. Un grave cenno del capo. James: “Ci mancano le parole”. Perché

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allora non le introduciamo? Che cosa dovrebbe accadere perché potessimo introdurle?)) (Ivi, §610).

Il «mito dell’indescrivibilità» (Cfr. CHAUVIRÉ 2003) si ricongiunge direttamente alla disputa sull’Ineffabile cha prende le mosse dai contributi degli autori del New Wittgenstein125: le nostre abitudini linguistiche ci portano a supporre che esistano alcune possibilità espressive che ci sono precluse; il nostro desiderio di dire l’Ineffabile – o, come nel caso dell’aroma del caffè, di descrivere l’indescrivibile – è causa di frustrazione e di sfiducia nei confronti del nostro stesso linguaggio. Ma a ben vedere, si domanda Wittgenstein, quando mai non siamo stati in grado di descrivere l’aroma del caffè? La descrizione di un’atmosfera, ricordiamo, è una speciale applicazione del linguaggio: in essa si trovano associati due termini incommensurabili126, non completamente traducibili l’uno nell’altro, sempre divisi da uno scarto ma proprio grazie a questo scarto stabilmente congiunti, imparentati.

Per rendere conto del rapporto di connessione e incommensurabilità tra linguaggio e atmosfera Wittgenstein ricorre, come è sua abitudine, a un paragone musicale: la presunta incapacità di descrivere un’atmosfera pare simile all’imbarazzo che proviamo quando vogliamo spiegare il significato di una brano. Non ripeteremo le osservazioni riguardanti il rapporto tra comprensione musicale e comprensione linguistica127; ciò che qui interessa è che alla musica, come all’atmosfera, non possiamo affiancare nessuna spiegazione esauriente – ma ciò non significa che l’unica alternativa praticabile sia un’estatica contemplazione dell’Ineffabile. Nel Big Typescript, così come nel Libro marrone e nella prima parte delle Ricerche filosofiche, la comprensione linguistica si trovava coinvolta insieme alla comprensione musicale in una pratica di confronto retta da una logica anti-platonica dell’esempio in cui le diverse formulazioni, imparentate in vario

125 Cfr. par. 1.5.

126 L’incommensurabilità tra linguaggio e atmosfera va pensata, matematicamente, come

mancanza di un multiplo comune. Incommensurabile non vuol dire, pertanto, inesprimibile ma esprimibile come resto: a ogni approssimazione della misura si presenta un nuovo margine, una nuova potenzialità da esprimere (cfr. MAZZEO 2013).

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modo, non mettevano capo a un senso ultimo disincarnato ma, grazie alla stessa tecnica comparativa, tessevano la trama di una comprensione sempre aperta a ulteriori sviluppi. Allo stesso modo l’atmosfera, intesa come fisionomia espressiva della proposizione, non impone uno scavo nelle esperienze vissute o nelle rappresentazioni psicologiche dei parlanti ma invita sempre di nuovo a un tentativo di descrizione. La funzione di stimolo a ulteriori esperimenti linguistici rivela la sua natura propriamente musicale: come delle note che paiono dirci qualcosa di incomprensibile, come una frase musicale che pare «un forte gesto», così l’atmosfera suscita nuovi confronti linguistici che ampliano la nostra comprensione del fenomeno, creando connessioni inattese. La proposizione “ci mancano le parole” è solo la premessa a un nuovo tentativo di introdurre una descrizione appropriata, sebbene non definitiva.

L’atmosfera porta con sé una strutturale ambiguità: essa pare coincidere con un carattere indescrivibile che tuttavia invita sempre a un tentativo di descrizione. Il carattere enigmatico dell’atmosfera, come si è visto, richiama la specifica tonalità del nostro discorso, l’elemento musicale del linguaggio: nel paragrafo §610 delle

Ricerche filosofiche essa viene accostata al “non so che” espresso dal gesto

musicale. Atmosfera e musica condividono una certa opacità, un’intraducibilità che tuttavia non è alternativa al regime linguistico: al contrario, entrambe si fondano sulla nostra dimestichezza con i giochi linguistici e ne rappresentano un’estensione. Il termine atmosfera va dunque vagliato ma non rifiutato in toto: da esso non bisogna aspettarsi nessuna riabilitazione di ineffabili esperienze private o di arcani stati interni, ma l’introduzione di nuovi caratteri espressivi e di ulteriori possibilità del nostro linguaggio.

Se dunque per atmosfera non bisogna intendere «il significato» in quanto «esperienza vissuta che accompagna l’udire una parola o il pronunciarla» (PU, II, VI: trad. it. p. 239), ciò che rimane è lo specifico carattere espressivo delle nostre parole: «si direbbe che ogni parola può bensì avere un carattere differente in differenti contesti, ma che tuttavia essa ha sempre un carattere – una fisionomia»

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(Ivi, p. 240). È questo il caso, ad esempio, del “sentimento del se”128 , la particolare “esperienza vissuta” associata alla parola che introduce un’ipotesi. Scrive Wittgenstein a tale proposito:

Il sentimento del se non è un sentimento che accompagna la parola “se”. Il sentimento del se dovrebbe essere paragonato al particolare 'sentimento' che una frase musicale fa nascere in noi […]

Ma non si può scindere questo sentimento dalla frase? E tuttavia esso non è la frase stessa; infatti uno può udire la frase senza provare questo sentimento. È simile in questo all’ “espressione” con la quale si suona la frase? […] L’esperienza vissuta è questo passaggio, suonato in questo modo (così, come lo sto suonando; una descrizione potrebbe darmi qualche indicazione). L’atmosfera che non può separarsi dalla cosa, – dunque non è un’atmosfera129

(Ivi, II, VI: trad. it. pp. 240-241).

Il ragionamento di Wittgenstein suona così: l’atmosfera, intesa come sentimento caratteristico che accompagna la comprensione di una parola, può essere paragonata al sentimento suscitato da una frase musicale; tale esempio mostra in maniera chiara come l’atmosfera coincida con l’espressione, con lo specifico modo in cui suoniamo una melodia. In questo senso, il sentimento/atmosfera è identico e allo stesso tempo non è identico alla frase: potremmo dire che esso è l’esperienza vissuta della frase, se con ciò intendiamo la frase stessa suonata con espressione. La separabilità dell’atmosfera rappresenta l’experimentum crucis per decidere della stessa consistenza di tale concetto: se è possibile separare il sentimento dalla frase, esso avrà una qualche autonomia e uno statuto proprio; in caso contrario, il ricorso all’atmosfera non sarà altro che un inganno linguistico. Ora, l’atmosfera è separabile e non separabile nel senso che può non essere avvertita da un ascoltatore non recettivo130 (e dunque non è necessariamente connessa alla frase) ma allo stesso tempo essa si dà – quando si dà – sempre nella frase, come sua fisionomia inseparabile, come sua espressione

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A proposito del “sentimento del se” si veda anche RPP, §335.

129 Cfr. RPP, § 337.

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specifica131. Un’atmosfera non è come un’anima che vaga senza corpo ma come l’anima che vivifica un corpo – quando esso è vivo132. In definitiva, l’atmosfera

che Wittgenstein ammette coincide con l’espressività musicale del nostro linguaggio, con il tono, il carattere, la fisionomia familiare che certe parole hanno acquisito.