Comprendere un tema musicale
4.4 Ricerche filosofiche: la comprensione come confronto.
Il paragone tra comprensione musicale e comprensione linguistica viene proposto anche nelle Ricerche filosofiche. Circa un decennio dopo la prima versione del confronto presentata nel Big Typescript, la rielaborazione del tema rivela la centralità e la costanza del nucleo teorico intorno al quale Wittgenstein costruisce l’analogia tra musica e linguaggio:
Il comprendere una proposizione del linguaggio è molto più affine al comprendere un tema musicale di quanto forse non si creda. Ma io la intendo così: che il comprendere la proposizione del linguaggio è più vicino di quanto non si pensi a ciò che di solito si chiama comprendere il tema musicale. Perché il colorito e il tempo devono muoversi proprio secondo questa linea? Si vorrebbe dire: «Perché io so che cosa voglia dire tutto questo». Ma che cosa vuol dire? Non saprei dirlo. Per darne una 'spiegazione' potrei paragonare il tema con qualcos’altro che ha lo stesso ritmo (vorrei dire, la stessa linea). (Si dice «Non vedi? Qui è come se si fosse tratta una conclusione» oppure: «Questo è come una parentesi», ecc. Come si giustificano questi paragoni? – Qui ci sono giustificazioni di generi molto diversi.) (PU, I, § 527).
Se nel Libro marrone, come abbiamo visto, il confronto tendeva a mettere in crisi un’idea implicita e consolidata di ciò che abitualmente si ritiene essere la comprensione linguistica, nel passo delle Ricerche filosofiche l’accento va sul particolare tipo di “spiegazioni” che si tenta di dare per rendere conto della propria comprensione. I due corni del problema, presenti entrambi nel Big
Typescript, si trovano sviluppati separatamente nei due brani: da una parte
l’incidenza interna della comprensione, il coglimento del contenuto
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tendenza a confrontare il tema (o l’enunciato) con ulteriori formulazioni isomorfiche, con qualcosa di esterno.
I tre brani presentano una notevole uniformità di tono, seppur nelle diverse specificazioni; in particolare, le Ricerche non sembrano che ripetere quanto già detto nel Big Typescript. A ben vedere, tuttavia, alcune differenze inappariscenti ma sostanziali ci permettono di distinguere i due brani. «Perché lo fischietto proprio così? […] Vorrei dire: “Perché so che cosa significa tutto ciò.” – Ma allora che cosa significa?» (BT, IV, 36, 9). Nel testo degli anni ’30, Wittgenstein risponde a tale domanda ipotizzando «una traduzione in un processo che abbia lo stesso ritmo»; negli anni ’40 l’idea di «traduzione» lascia spazio a un particolare tipo di spiegazione: «Per darne una 'spiegazione' potrei paragonare il tema con qualcos’altro che ha lo stesso ritmo (vorrei dire, la stessa linea)» (PU, I, § 527). L’idea di traduzione è piuttosto scivolosa: si potrebbe avere l’impressione di una intercambiabilità tra le formulazioni, fatta salva la permanenza di un senso che rimarrebbe – astratto e disincarnato – come significato comune alle diverse espressioni isomorfiche. Tale eventualità è smentita nelle Ricerche, pochi paragrafi dopo il confronto tra comprensione linguistica e comprensione musicale:
Noi parliamo del comprendere una proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra. (Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro) […]. (Ivi, §531).
Esistono due modi di intendere la comprensione: come sostituibilità o insostituibilità. Questo secondo caratterizza secondo Wittgenstein la comprensione musicale e dunque – appoggiandoci sul confronto appena istituito – la comprensione linguistica. Se ne deduce che, come nel Libro marrone, la comprensione non implica un’uscita dal tema o dall’enunciato; al contrario, comprende l’enunciato chi ne coglie l’espressività insostituibile. Come scrive Wittgenstein poco righe prima:
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«L’immagine mi dice se stessa» – vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e colori. (Che significato avrebbe il dire: “Il tema musicale mi dice se stesso”?) (Ivi, §523).
Un’altra differenza rilevante tra il Big Typescript e le Ricerche filosofiche sta nello specifico carattere linguistico dei confronti cui viene sottoposto il tema: se prima la «traduzione» di un’espressione musicale metteva in campo processi caratterizzati da un medesimo ritmo, ora viene specificato che tali processi possono essere derivati da determinati atti linguistici, come tirare una conclusione o mettere tra parentesi. Ci potremmo domandare: «Che cosa accade quando impariamo a percepire la conclusione di un modo ecclesiastico come conclusione?» (Ivi, §535). In una simile esperienza, percezione e linguaggio si intersecano (cosa dobbiamo intendere qui per percepire?) in modo tale che ciò che viene udito mobilita le nostre competenze relative a specifici giochi linguistici: è così che, per esempio, la cadenza conclusiva di un brano in cui l’accordo di tonica viene preceduto da un accordo di sottodominante (cadenza plagale) ci può trasmettere la sensazione di una chiusura solenne, di un compimento pacificante. Ma per sentire tutto ciò nelle note, per avvertire una conclusione (e il suo specifico carattere) in una semplice sequenza di accordi, per orientarsi sensatamente in un flusso di materiale sonoro bisogna avere dimestichezza con le nostre pratiche linguistiche.
Per fare un po’ d’ordine: il confronto tra comprensione musicale e comprensione linguistica esclude un qualunque ricorso alla realtà esterna. L’immagine, il tema, l’enunciato “dicono se stessi”: comprendere significa dunque afferrare il contenuto nell’espressione insostituibile che abbiamo di fronte. Ciò esclude l’esistenza di un senso mentale, nascosto – disincarnato – l’acquisizione del quale ci permetterebbe “realmente” di comprendere la formulazione: per questo motivo non è appropriato cercare una traduzione finale (né è possibile: ogni traduzione evocherebbe altre possibili traduzioni). D’altra parte le diverse espressioni non sono ermeticamente chiuse e autoreferenziali ma sono prese in una rete di relazioni, in particolare con le nostre pratiche
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linguistiche. Aggiungendo un ulteriore elemento, come leggiamo in Zettel, tali pratiche sono a loro volte musicalmente connotate:
Non si potrebbe immaginare un tizio, che non ha mai conosciuto la musica, arrivi a casa nostra e senta qualcuno suonare un meditabondo pezzo di Chopin, e si convinca che è una lingua, soltanto che gliene vogliono tenere segreto il senso?
Nel linguaggio delle parole è presente un forte elemento musicale. (Un sospiro, il tono della domanda, dell’annuncio, del desiderio, e tutti gli innumerevoli gesti del tono della voce.) (Z, §161).
Gli innumerevoli gesti della voce sono musicalmente caratterizzati: motivo in più per rendersi conto del mutuo condizionamento che vede la comprensione musicale spiegare la comprensione linguistica e, viceversa, la familiarità con le nostre pratiche linguistiche motivare il riconoscimento di particolari gesti
musicali. Il tema, dunque, dice se stesso ma lo può fare perché è preso nella rete
delle nostre pratiche discorsive: dice se stesso perché noi siamo abituati a dire, a parlare:
Il tema non indica qualcosa al di là di se stesso? Oh sì! Ma questo vuol dire: – l’impressione che mi fa dipende da certe cose nel suo ambiente. – Per esempio dal nostro linguaggio e dalla sua intonazione, e dunque dall’intiero campo dei nostri giuochi linguistici.
Se dico, per esempio: È come se qui si fosse tratta una conclusione, o come se qui si fosse confermato qualcosa, oppure come se questo fosse una risposta a quello che si è detto prima, – la mia comprensione presuppone appunto la famigliarità con inferenze, conferme, risposte (Ivi, §175).
Escludendo l’idea di una traduzione, Wittgenstein ci porta a vedere quanto più fecondo sia il filone di ricerca relativo al confronto tra diverse espressioni; esso non toglie nulla all’autonomia del tema o della proposizione, non viola l’immanenza del senso all’espressione, ma arricchisce la nostra comprensione
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permettendoci di affiancare al gesto musicale altri gesti. Questi non ci portano a liquidare l’unicità dell’espressione poiché non necessariamente bisogna assegnare la preminenza alle somiglianze: come avrebbe voluto scrivere in esergo alle
Ricerche, Wittgenstein ci vuole insegnare le differenze59 che, emergendo dal confronto, ci fanno apprezzare lo specifico timbro, il tono indimenticabile, il carattere inconfondibile di un’espressione. La pratica del confronto non revoca dunque l’unicità del tema o dell’enunciato; esso appare anzi come un nuovo gesto incorporato nel nostro linguaggio:
Se un tema, una frase ti dice improvvisamente qualcosa, non è necessario che tu sia in grado di spiegartelo. Semplicemente, tutto d’un tratto ti è diventato accessibile anche questo gesto (Ivi, §158).