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La tecnica del confronto

5.2 La logica familiare del confronto

Per illuminare la logica del confronto, così come inteso da Wittgenstein, sarà utile compiere un passo indietro. Nel paragrafo delle Ricerche filosofiche dedicato al paragone tra comprensione musicale e comprensione linguistica – il terzo passaggio che abbiamo esaminato su questo tema, dopo quelli del BT e del BrB – possiamo leggere:

Il comprendere una proposizione del linguaggio è molto più affine [verwandter] al comprendere un tema musicale di quanto forse non si creda […] (PU, §527).

Come nota Goyet (2012, p. 156), l’aggettivo utilizzato da Wittgenstein per indicare l’affinità è verwandt, termine che fa esplicitamente riferimento ai legami familiari. La somiglianza tra comprendere una proposizione del linguaggio e comprendere un tema musicale è ben più che una generica affinità: è una somiglianza di famiglia. Proposizione e tema musicale sono dunque più “imparentati” di quanto forse non si creda.

La specificazione linguistica suggerita mette al centro dell’attenzione la celebre diade wittgensteiniana composta da giochi linguistici e somiglianze di famiglia: per capire la logica che regge il confronto tra comprensione musicale e comprensione linguistica è necessario rileggere i paragrafi delle Ricerche

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attività di cui è intessuto» (PU, §7) e «le varie somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia [che] si sovrappongono e s’incrociano» (Ivi, §67)72

. Dando per scontata la conoscenza del tema e l’approfondimento del rapporto sussistente tra giochi linguistici e somiglianze di famiglia73, ciò che qui interessa è la logica del confronto che sorregge la coppia:

Qui ci imbattiamo in una grossa questione, che sta dietro a tutte queste considerazioni. – Infatti mi si potrebbe obiettare: «Te la fai facile! Parli di ogni sorta di giochi linguistici, ma non hai ancora detto che cosa sia l’essenziale del giuoco linguistico, e quindi del linguaggio; che cosa sia comune a tutti questi processi, e ne faccia un linguaggio o parte di un linguaggio. Così ti esoneri proprio da quella parte della ricerca, che a suo tempo ti ha dato i maggiori grattacapi: cioè quella riguardante la forma

logica generale della proposizione e del linguaggio».

E questo è vero. – Invece di mostrare quello che è comune a tutto ciò che chiamiamo linguaggio, io dico che questi fenomeni non hanno affatto in comune qualcosa, in base al quale impieghiamo per tutti la stessa parola, – ma che sono imparentati [verwandt] l’uno con l’altro in molti modi differenti. E grazie a questa parentela, o a queste parentele, li chiamiamo tutti “linguaggi”. Voglio tentare di chiarire questo punto (Ivi, §65).

Con il paragrafo 65 inizia una lunga sezione critica in cui Wittgenstein mette a punto il suo nuovo metodo di indagine, contrapponendo il binomio giochi linguistici-somiglianze di famiglia all’impianto logico essenzialista del Tractatus. La ricerca di un tratto comune e costante che unisca i diversi appartenenti a una famiglia viene interrotta da un ammonimento: «Non pensare, ma osserva!» (Ivi, §66), non presupporre che ci debba essere un’essenza dietro i diversi esempi, o nelle profondità sublimi che ci sono precluse74. Una simile essenza, infatti, non

72 La coppia giochi linguistici-somiglianze di famiglia ha avuto un interessante utilizzo nel campo

dell’ontologia dell’opera d’arte. Si veda a tal proposito WARBURTON 2003, cap. 3.

73 Cfr. HINTIKKA 1986; SLUGA e STERN 1996; MC GINN 1997; VOLTOLINI 1998;

SPINICCI 2002; PIANA 2002; MAZZEO 2013.

74 Scrive Wittgenstein: «[…] In che senso la logica è qualcosa di sublime? Sembra, infatti, che ad

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sarebbe che «un puro intermediario fra i segni proposizionali e i fatti» (Ivi, §94), eterna riedizione del terzo uomo che, come si è visto nel capitolo precedente, non fa che innescare un regresso all’infinito. Anche in questo caso, l’elemento intermedio è più un ostacolo che una soluzione. Ciò che ci spinge alla ricerca di un ordine logico di tipo essenzialista è l’illusione di poter «afferrare l’essenza incomparabile del linguaggio» (Ivi, §97) mentre, all’inverso, la logica dispiegata dalle somiglianze di famiglia è esattamente una logica della comparazione:

I giuochi linguistici sono piuttosto termini di paragone, intesi a gettar luce, attraverso somiglianze e dissimiglianze, sullo stato del nostro linguaggio (Ivi, §130).

Nelle pagine delle Ricerche filosofiche si fronteggiano due paradigmi alternativi: da una parte la logica del Tractatus, la ricerca di una forma generale della proposizione, la petitio principii che vorrebbe trovare un tratto comune laddove si presuppone che esso debba trovarsi; dall’altra parte, il regime del confronto, l’ordine aperto e in divenire dei giochi linguistici, la comparazione tra ciò che è imparentato, verwandt – come la comprensione musicale e la comprensione linguistica; come il tema e la parola. La logica del confronto non giunge a nessun fondamento, non fornisce nessuna spiegazione ultima poiché rifiuta di ordinare gerarchicamente i fenomeni, come se fosse possibile individuarne univocamente l’origine. Al contrario, «ogni spiegazione dev’essere messa al bando, e soltanto la descrizione deve prendere il suo posto» (Ivi, §109). Cambia così il compito stesso della filosofia:

La filosofia non può in nessun modo intaccare l’uso effettivo del linguaggio; può, in definitiva, soltanto descriverlo. Non può nemmeno fondarlo. Lascia tutto com’è […] (Ivi, §124).

– a fondamento di tutte le scienze. – Perché la ricerca logica indaga l’essenza di tutte le cose […]» (PU, §89). Sulla sublimazione operata dalla logica si vedano anche PU, §§92, 94.

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Il passaggio dalla spiegazione alla descrizione prevede uno spostamento da un asse verticale (l’asse genealogico delle cause) a un piano orizzontale, quello della semplice autoevidenza:

La filosofia si limita, appunto, a metterci tutto davanti, e non spiega e non deduce nulla. – Poiché tutto è lì in mostra, non c’è neanche nulla da spiegare. Ciò che è nascosto non ci interessa […] (Ivi, §126).

La logica familiare del confronto si svolge su questo piano orizzontale, costituito dallo stesso disporsi dei fenomeni non intorno a un polo ma in relazioni variabili tra di loro. Come scrive Soulez,

[…] la comparaison loin de nous ramener à une polarité unique, comme à un centre de gravité, nous écarte toujours davantage d’un centre, d’un point de résolution unique. […] Le schéma arborescent des filiations laisse alors place à des figures de réseaux ouvertes et sans ancêtre au sommet (SOULEZ 2012a, p. 19).

Ciò che più interessa in questo cambio di paradigma – dallo “schema arborescente delle filiazioni” alle “figure di reti aperte e senza antenati” – è la perdita di un centro univoco, di un’essenza già data, della postulazione di un tratto comune da riconoscere nei diversi termini. Le somiglianze di famiglia non servono ad alleggerire le definizioni o a rendere più “liquidi” i confini dei concetti che da esse proverrebbero; esse non sono causa ma effetto del confronto, frutto del paragone istituito a partire dai diversi termini in gioco. Di nuovo, Soulez immortala in poche righe la sovversione a cui conduce l’idea delle somiglianze di famiglia:

Les analogies n’existent pas avant elle, de même, les traits qu’elle produit n’étaient pas là avant la comparaison. La comparaison est donc une poïèse en acte. […] L’application est l’acte premier de la comparaison. Les airs de famille s’ensuivent (Ivi, p. 28).

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Nel Tractatus Wittgenstein era alla ricerca della forma generale della proposizione: «È così e così»75. La completezza e autoreferenzialità di tale forma non poteva essere detta ma poteva essere mostrata; in particolare, essa si dava a vedere nella tautologia, conclusa e compiuta in se stessa come una melodia. Nelle

Ricerche filosofiche, invece, la comprensione musicale viene confrontata con la

comprensione linguistica: da questo atto di comparazione emergono somiglianze di famiglia che non presuppongono nessuna essenza comune ma che sono esse stesse risultato del confronto. Se nel Tractatus “comprendere” una proposizione significava conoscere la situazione da essa rappresentata76 – e dunque individuare la forma comune alla proposizione e al fatto possibile – nelle Ricerche filosofiche “comprendere” significa primariamente essere in grado di confrontare. Ciò che prima era il metro da applicare alla realtà77 ora non è più il paradigma già dato ma uno dei diversi termini di paragone in gioco:

Soltanto così, infatti, possiamo evitare l’illegittimità o la vacuità nelle nostre asserzioni: prendendo il modello per ciò che è: termine di paragone, –si potrebbe dire per un regolo – e non idea preconcetta, cui la realtà debba corrispondere. (Il dogmatismo in cui si cade così facilmente facendo filosofia) (PU, §131).

Se prima comprendere era individuare una forma comune, ora significa invece riuscire a passare da una forma a un’altra, come per esempio da un tema a una proposizione, individuando a posteriori delle somiglianze, producendo (e non scoprendo) delle affinità. Si noti, tra l’altro, come Wittgenstein, nel momento in cui intende render conto di ciò che significa “comprendere”, istituisca un confronto tra musica e linguaggio. Non che l’uno possa essere ricondotto

75 PU, §114

76 Cfr. TLP 4.021: « La proposizione è un’immagine della realtà: Infatti io conosco la situazione

da essa rappresentata se comprendo la proposizione. E la proposizione la comprendo senza che me ne sia spiegato il senso».

77Cfr. TLP 2.1511- 2.1512: «L’immagine è così collegata con la realtà; giunge fino a essa. Essa è

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univocamente all’altro: dal momento che l’atto del confronto istituisce la somiglianza, non ha più senso investigarne la direzione di sviluppo78. Un ulteriore elemento che può arricchire la comprensione di ciò che significa “comprendere” proviene da un interessante paragrafo delle Ricerche filosofiche già citato nel precedente paragrafo:

La grammatica della parola “sapere” è, come si vede facilmente, strettamente imparentata alla grammatica delle parole “potere” ed “essere in grado”. Ma è anche strettamente imparentata [verwandt] quella della parola “comprendere”. (“Padroneggiare” una tecnica) (PU, §150).

Fedele alla logica del confronto, Wittgenstein non solo mostra come comprendere voglia dire proporre paragoni, ma – lungi dal risolvere il problema della comprensione in quello della comparazione (mossa che ristabilirebbe una logica definitoria ed essenzialista, anche se questa volta su un piano diverso) – accosta la grammatica di “comprendere” a quella di “sapere” e a quella di “potere”. Ciò che comprendiamo è preso in una rete di relazioni di somiglianza di famiglia ma lo stesso “comprendere” è un’attività imparentata – verwandt – con altre attività, come il “sapere” ed il “potere”. Da ciò emerge il carattere tecnico- pratico del confronto: comprendere è saper utilizzare, è padroneggiare una tecnica.

Il riferimento alle somiglianze di famiglia permette dunque di escludere un ordine univoco e gerarchico secondo il quale organizzare il confronto; al contrario, ciò che è verwandt viene posto non come punto di partenza – paradigma o essenza già data – ma come frutto della stessa attività del confrontare. Ciò avviene senza mai presupporre un principio che renda conto dei fenomeni di livello inferiore: i molteplici giochi linguistici sono legati da affinità eterogenee; la comprensione musicale e la comprensione linguistica vengono poste come

78 Si legga a tal proposito ciò che scrive B. Goyet: «Lorsque Wittgenstein veut formuler le

problème central à ses yeux, celui de la compréhension de la signification, il le fait non pas de façon didactique, mais en tissant ou en enchevêtrand un réseau d’analogies» (GOYET 2011, p. 139).

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attività imparentate; la comprensione stessa è grammaticalmente affine al padroneggiare una tecnica79.