Comprendere un tema musicale
4.1 Dalla logica alla grammatica
Le Lezioni 1930-1932 rappresentano un prezioso documento dell’evoluzione che porta dalla teoria rappresentativa del Tractatus ai giochi linguistici della “seconda” filosofia wittgensteiniana. In questa fase, caratterizzata dall’insegnamento presso il Trinity College di Cambridge, si può assistere a un progressivo ripensamento delle principali categorie del Tractatus:
Il linguaggio rappresenta in due modi:
(1) Le sue proposizioni rappresentano uno stato di cose e sono vere o false. (2) Ma affinché le proposizioni possano essere semplicemente in grado di
rappresentare vi è bisogno di qualcos’altro che sia al tempo stesso nel linguaggio e nella realtà. Per esempio, un’immagine può rappresentare una scena in modo giusto o sbagliato; ma sia nell’immagine, sia nella scena raffigurata vi saranno colore, luce e ombra (LC 30-32, trad. it. p. 25).
Al verificazionismo, implicato dalla corrispondenza tra fatto e proposizione affermata nel Tractatus, si aggiunge un’esigenza strutturale di organizzazione delle possibilità (tanto della rappresentazione quanto del rappresentato), ciò che Wittgenstein definisce grammatica:
Il pensiero deve avere la forma logica della realtà per poter semplicemente essere pensiero.
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La grammatica non è l’espressione di ciò che accade, bensì di ciò che è possibile. C’è un senso quindi in cui la possibilità è forma logica (Ivi, p. 26).
In questo passo si assiste alla graduale transizione dalla forma logica alla grammatica: se la prima indicava la struttura comune al fatto e alla proposizione, la seconda individua una rete di relazioni data dalla molteplicità possibile degli usi di una certa parola, corrispondenti alla molteplicità dei fatti possibili: «La grammatica ci consente con il linguaggio di fare alcune cose e non altre; essa fissa il grado di libertà» (Ivi, p. 21). In questa fase di transizione è interessante osservare come la compresenza di categorie legate alla teoria rappresentazionale del linguaggio e di concetti che anticipano la filosofia matura di Wittgenstein; nuove e vecchie idee sono mobilitate per tematizzare, da un nuovo punto di osservazione, questioni logiche già affrontate nel Tractatus. In numerosi passi si può già vedere in controluce la rielaborazione critica che caratterizzerà le
Ricerche filosofiche; si legga a tal proposito:
Le proposizioni vere descrivono la realtà. La grammatica è uno specchio della realtà. La grammatica ci mette in grado di esprimere proposizioni vere e false; e che essa faccia questo ci dice qualcosa sul mondo. Quello che può essere espresso dalla grammatica circa il mondo è, infatti, che ciò che esso è non può essere espresso in una proposizione. Poiché questa proposizione presupporrebbe la propria verità, cioè presupporrebbe la grammatica (Ibidem).
Come nel Tractatus, l’obiettivo polemico di Wittgenstein è Russell: questa volta però non viene contestata la teoria dei tipi ma il regresso all’infinito che caratterizza la dottrina degli atti intenzionali esposta in Analysis of Mind (1921).
Sia Ogden e Richards e Russell ritengono che la relazione fra la proposizione e il fatto sia una relazione esterna; questo non è corretto […]. Secondo il punto di vista di Russell occorre un tertium quid oltre all’aspettativa e al fatto che la soddisfa; così se aspetto x e x accade, vi è bisogno di qualcos’altro, per
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esempio di qualcosa che accade nella mia testa, per connettere aspettativa e soddisfacimento. Ma come faccio a sapere che si tratta del tertium quid giusto? Ho bisogno, in base al medesimo principio, di un quarto qualcosa? (Ivi, p. 24).
Il punto su cui si concentra la critica di Wittgenstein è lo stesso procedimento regressivo e inflazionista che caratterizzava la teoria dei tipi: l’idea che ci sia bisogno di una mediazione laddove, invece, è la logica (o la grammatica) che scrive di suo pugno, mostrando ciò che non può essere ulteriormente detto (pena il nonsenso). Ciò che viene rifiutato è il processo di duplicazione che ci spinge a cercare un terzo elemento, un’ombra tra proposizione e fatto come tra aspettativa e soddisfacimento. La critica contro la fallacia filosofica del terzo uomo, già affrontata da un punto di vista logico ai tempi del Tractatus, a questo punto del percorso di Wittgenstein riguarda in particolare il comprendere una proposizione:
Ci sembra che la proposizione non sia soltanto se stessa, ma che indichi al di là di sé e contenga una specie di ombra del suo soddisfacimento, che non è né la proposizione, né il soddisfacimento, ma qualcosa di intermedio […]. Sembra che il senso della proposizione/ordine, in quanto opposto all’enunciato che la/lo esprime, sia un’ombra che sta tra la proposizione/ordine e il suo soddisfacimento (Ivi, p. 49).
Interporre un’ombra tra la proposizione e il fatto, dice Wittgenstein, non diminuisce il nostro imbarazzo poiché ci costringe, in un secondo momento, a trovare un’ulteriore mediazione tra l’ombra e il fatto – e così via. Davanti a questo risultato siamo costretti a invertire la direzione della nostra ricerca: da un elemento esterno, ulteriore, a un aspetto interno, già contenuto nell’espressione utilizzata.
Ciò che è «in comune» fra pensiero e realtà dev’essere già espresso nell’espressione del pensiero. Non lo si può esprimere in una proposizione supplementare, ed è ingannevole tentare di farlo. L’“armonia” tra pensiero e
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realtà, di cui i filosofi parlano come di qualcosa di “fondamentale”, è qualcosa di cui non possiamo parlare, e così non è affatto un’armonia nel senso ordinario del termine, dal momento che non possiamo descriverla. […] Un simbolo non può essere per se stesso un simbolo; ciò che ne fa un simbolo è la sua appartenenza ad un sistema di simboli. Una proposizione non è una proposizione a meno che non occorra entro un sistema grammaticale. Se uso un simbolo io devo impegnare me stesso […]. Io mi impegno rispetto ad un uso futuro. (Ivi, pp. 56-57).
Pare qui di leggere alcune proposizioni del Tractatus relative alla forma logica, tratto comune tra linguaggio e mondo; eppure la saldatura tra proposizione e sistema grammaticale comporta un significativo cambiamento di prospettiva, legato all’orizzonte dell’uso e dei possibili usi futuri, ordinati in base a regole. Come nel Tractatus, l’analogia utilizzata per spiegare tale rapporto è quello della partitura e dell’esecuzione, intese rispettivamente come insieme di istruzioni e proiezione effettiva: così come le note sul pentagramma ci guidano alla realizzazione di un brano, la correlazione tra parole e fatti risulta significante nella misura in cui essa è contrassegnata da un impegno nell’utilizzo ordinato in casi futuri. L’analogia con il processo proiettivo che lega partitura ed esecuzione diventa l’occasione per tematizzare il concetto di regola, notoriamente uno dei capisaldi della “seconda” filosofia di Wittgenstein.
Comprendere un pensiero significa essere in grado di tradurlo in accordo a una regola generale. Per esempio, suonare un pianoforte leggendo una partitura. Ma la partitura non è la causa del fatto che ci fa suonare nel modo in cui lo facciamo; se lo fosse non vi sarebbe un modo giusto e un modo sbagliato di suonare […] (Ivi, p. 64)
Ma come nel caso del Tractatus non era stata questa analogia a offrire le più interessanti riflessioni sul rapporto tra musica e linguaggio, così nelle Lezioni
1930-1932 e negli scritti successivi sarà un'altra constatazione a sviluppare la
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musicale e tautologia. Si legga a tal proposito il passo immediatamente precedente:
«Comprendere» significa afferrare il simbolo, non il fatto; e la comprensione è ciò che è trasmesso da una spiegazione (non da una droga o da un agente esterno). La spiegazione completa il simbolo, ci dà una maggiore presa su di esso. In un certo senso il simbolo è contenuto in se stesso; lo si afferra come un tutto. Esso non indica qualcosa al di fuori di se stesso, non anticipa qualcos’altro come se fosse un’ombra (Ibidem).
L’attenzione di Wittgenstein si è spostata dalla relazione tra fatto e proposizione alla questione della comprensione linguistica; essa non implica alcuna verificazione, non necessita di alcun confronto con la realtà54 ma ha come obiettivo il coglimento del simbolo, «contenuto in se stesso», che va «afferrato come un tutto». Il passo citato non può non riportare alla memoria un’annotazione dei Quaderni 1914-1916 citata nel precedente capitolo:
La melodia è una specie di tautologia, è conclusa e compiuta in sé; basta a se stessa (TB, 4.3.15).
La sorprendente consonanza tra le due citazioni apre una nuova pista alla ricerca relativa al rapporto tra musica e linguaggio nel pensiero di Wittgenstein. Data l’importanza attribuita dal filosofo alla questione del comprendere una proposizione, il carattere tautologico (ma potremmo dire musicale) del simbolo indica una direzione per lo studio della filosofia del linguaggio elaborata nell’arco di tempo che va dai primi anni di insegnamento a Cambridge (1930-38) fino alla
54 Illuminante, a tal proposito, è la lettura della sez. 43 del Big Typescript: «“La
relazione/connessione/ tra il linguaggio e la realtà” è instaurata dalle definizioni nominali, che a loro volta rientrano nell’insegnamento del linguaggio. Cosicché il linguaggio resta chiuso in sé, autonomo. Concordanza di pensiero e realtà. Come tutto ciò che è metafisico, l’armonia (prestabilita) tra il pensiero e la realtà va rintracciata nella grammatica del linguaggio» (BT, V, 43; trad. it. p. 195).
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stesura (tra il 1941 ed il 1945) della prima parte delle Ricerche filosofiche55. Ancora una volta il grimaldello filosofico utilizzato da Wittgenstein per entrare nel vivo delle questioni teoriche più spinose è da cercare nel retroterra culturale che influenzò la sua formazione: la familiarità con la musica costituisce anche negli anni della maturità un prezioso strumento concettuale capace di mettere in moto il lavoro filosofico.
Nelle pagine che seguono si assumerà come ipotesi di lavoro che l’analogia tra musica e linguaggio venga sempre sviluppata da Wittgenstein in una direzione precisa: da ciò che è conosciuto per esperienza (diretta, familiare, culturale) a ciò che costituisce il vero oggetto di indagine filosofica (la natura della comprensione linguistica). In breve, dalla musica al linguaggio. Come vedremo, tale ipotesi andrà rimodulata, corretta e riformulata per mettere in luce pienamente la rilevanza filosofica di quanto elaborato da Wittgenstein; se dunque tale direzione mostrerà nel corso della trattazione la sua parzialità (fino a una sostanziale revisione), essa può tuttavia essere accettata in maniera provvisoria, escludendo invece con decisione il percorso opposto – dal linguaggio alla musica – che, come già detto, non ha mai rappresentato per il filosofo un interesse di ricerca specifico. Sebbene Wittgenstein non abbia mai sviluppato un’estetica sistematica (e tanto meno un’estetica musicale), non si può negare che i risultati della sua ricerca filosofica abbiano esercitato una notevole influenza su generazioni di studiosi, filosofi e musicologi; pertanto non mancherà un confronto tra i prodotti (seppur indiretti) delle riflessioni wittgensteiniane e le proposte contemporanee che esplicitamente si rifanno alla prospettiva aperta dal filosofo austriaco.
55 Per una ricostruzione dei rapporti tra Wittgenstein e il vivace ambiente culturale di Cambridge,
si vedano le lettere e i documenti riportati in McGUINNESS 2008. Si racconta che negli anni del suo insegnamento presso il Trinity College, Wittgenstein girasse abitualmente per il campus universitario con una grande quantità di partiture; non era difficile incontrarlo insieme al suo clarinetto, curiosamente infilato in un calzino a mo’ di custodia (cfr. NEDO 2012, p. 208).
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