Per una critica del concetto di atmosfera
7.2 Atmosfera come processo interno
Nella seconda filosofia di Wittgenstein è presente una critica del concetto di atmosfera. La nettezza di quest’affermazione si basa su criteri, per così dire, quantitativi e qualitativi: le numerose occorrenze del termine “atmosfera” rintracciabili nelle Ricerche filosofiche, nelle Osservazioni sulla filosofia della
psicologia, in Zettel e negli Ultimi scritti di filosofia della psicologia non hanno
semplicemente un valore statistico ma rivelano uno snodo centrale del pensiero wittgensteiniano. L’analisi del concetto di atmosfera infatti mette in relazione la filosofia dei giochi linguistici con il pensiero di quello che Danièle Moyal- Sharrock ha chiamato “il terzo Wittgenstein” (MOYAL-SHARROCK 2004), conducendo direttamente all’analisi dei concetti psicologici e, di qui, al problema della credenza e dell’accordo dei parlanti nel linguaggio.
Il termine “atmosfera” viene usato da Wittgenstein per indicare fenomeni differenti, benché imparentati; in via preliminare distingueremo fra tre usi della parola tedesca Atmosphäre: 1) con essa ci si riferisce a processi interni come stati mentali, sentimenti o esperienze vissute; 2) tra le diverse esperienze vissute, un posto di rilievo spetta all’esperienza della comprensione, in cui ci si impone un’immagine dell’atmosfera intesa come accompagnamento di una parola; infine 3) il termine condensa in sé tutti gli aspetti musicali ed espressivi del linguaggio, le risorse prosodiche del discorso come l’intonazione e la fisionomia delle nostre parole.
Anticipiamo la conclusione: la critica wittgensteiniana, tutt’altro che liquidatoria nei confronti di una categoria apparentemente così debole e precaria come quella di atmosfera, rifiuta nettamente le prime due accezioni del termine, denunciando la seduzione esercitata da immagini che sono frutto delle nostre
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abitudini linguistiche, e valorizza invece il terzo significato del concetto di atmosfera, riallacciando grazie a esso i fili di quel paradigma musicale che, come abbiamo visto, non smette di lavorare lungo l’intero percorso del filosofo. Procediamo ora a un’analisi del primo significato del termine.
La parola “atmosfera” è abitualmente associata alle idee di “esperienza vissuta” e di “sentimento”. Gli esempi proposti da Wittgenstein intendono mettere in luce l’alone di mistero e insieme di familiarità che pare avvolgere attività semplici come, nel passo che riportiamo di seguito, lo scrivere seguendo una tabella:
Ma ora mi chiedo: Che cosa fai? – Guardi ogni segno, fai questa faccia, scrivi le lettere meditatamente (e cose del genere). – Qui vorrei dire: “No, non è questa; è qualcosa di più intimo, di più essenziale”. – È come se tutti questi processi, più o meno inessenziali, fossero dapprima avvolti in una particolare atmosfera che, quando la guardo attentamente, si dilegua (PU, I, §173).
Per dire che stiamo seguendo scrupolosamente una tabella pare che non basti vedere le azioni che compiamo né i gesti e le espressioni che accompagnano l’esecuzione, seppure accurata, del compito che ci siamo dati. Sembra infatti che i criteri per decidere in merito all’effettivo “scrivere seguendo una tabella” non possano essere limitati a un’osservazione esterna dei nostri comportamenti: secondo la ricostruzione di Stanley Cavell (1979), Wittgenstein si trova a fronteggiare la tendenza scettica che porta a nutrire dei dubbi sui criteri esterni forniti dai comportamenti osservabili. Tale tendenza, connaturata all’uomo, pretenderebbe invece di spiegare i processi e gli stati mentali facendo riferimento a «qualcosa di più intimo, più essenziale», a un’atmosfera psicologica che, tuttavia, pare dileguarsi non appena ci si concentri su di essa. Un esempio analogo riguarda la capacità di completare un motivo ornamentale (possiamo immaginare un fregio, un arabesco continuo e regolare) o la capacità di proseguire una sequenza numerica:
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“Ma ovviamente questa sezione iniziale della successione poteva essere interpretata in diversi modi (per esempio per mezzo di espressioni algebriche), e tu dovevi aver già scelto una di tali interpretazioni” – Niente affatto! In certe circostanze un dubbio era possibile. Ma questo non significa che io abbia dubitato, o anche soltanto che potessi dubitare. (In relazione con ciò sta quello che ci sarebbe da dire sull’ “atmosfera” psicologica di un processo) (Ivi, §213).
Completare una decorazione, così come proseguire una sequenza matematica, non significa scegliere un’interpretazione dei dati di partenza ma eseguire un compito a cui siamo stati addestrati senza nutrire dubbi, sebbene in linea di principio in qualunque situazione possa sorgere una perplessità. La tendenza scettica porta invece a immaginare uno stato iniziale di incertezza cui segue, per mezzo di un’interpretazione, una scelta fra diverse soluzioni possibili. Ma come si può superare un simile dubbio preliminare? Forse con un’intuizione, seguendo cioè una «voce interna» (Ibidem)? Il ricorso a tale voce118 non riuscirebbe in realtà a risolvere il nostro dubbio, perché potremmo sempre essere indotti in errore: l’intuizione, scrive Wittgenstein, è una scappatoia superflua. Una volta interpretate le nostre attività più comuni in termini di processi interni o stati mentali, il problema del seguire una regola non viene risolto ma anzi si ripropone a ogni nuovo passo. Il termine atmosfera viene dunque utilizzato per mettere in evidenza l’inconsistenza e la vacuità di un certo modo di intendere le nostre azioni come processi o stati psicologici: in questo caso, il carattere atmosferico del fenomeno si contrappone a un presunto meccanicismo dei gesti, intesi come mero involucro esteriore di un’intenzione interna, celata nel soggetto. Più in generale, per atmosfera (in questa prima accezione) si può dunque intendere il sentimento che accompagna le nostre azioni: la sicurezza con cui si legge una pagina scritta, la fluidità del tratto del decoratore, la familiarità con il risultato di un’operazione.
118 In ambito francese si è molto insistito sulla pluralità di voci che caratterizza le Ricerche
filosofiche: alla voce scettica si contrappone la voce del senso comune, la voce del bambino, la
voce del filosofo. Particolarmente indicativa in questo senso è il titolo francese del volume di Cavell: “Les voix de la raison”. Su voce e soggettività nelle Ricerche filosofiche si veda inoltre LAUGIER 2000.
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Il termine atmosfera compare nuovamente proprio in relazione al sentimento di familiarità:
Il sentimento della 'familiarità' e della 'naturalezza'. È più facile trovare un sentimento dell’estraneità e dell’innaturalezza. Oppure: sentimenti […] Ci sono sentimenti di antica confidenza; talvolta si manifestano con un’occhiata, o con le parole: “La mia vecchia stanza!” (che ho abitato molti anni fa e che ora ritrovo immutata). Allo stesso modo ci sono sentimenti di estraneità: Esito; guardo l’uomo o l’oggetto con aria interrogativa e sospettosa; dico: “Mi è assolutamente estraneo”. – Ma, per il fatto che esiste questo sentimento di estraneità, non si può dire: ogni oggetto, che ben conosciamo e che ora non ci appare estraneo, ci dà un sentimento di familiarità. – Pensiamo, per così dire, che il posto prima tenuto dal sentimento di estraneità debba essere occupato in qualche modo. Il posto per questa atmosfera c’è, e se non l’occupa l’uno allora l’occupa l’altro (Ivi, §596).
Non solo quando parliamo delle nostre prestazioni cognitive e dei nostri stati mentali, ma anche quando ci riferiamo ai nostri vissuti e ai sentimenti che li caratterizzano siamo portati a pensare in termini atmosferici119. La tendenza del nostro linguaggio a sostanzializzare alcuni termini fa sì che la parola “atmosfera” indichi una sorta di aura, una realtà fluida; l’uso di tale vocabolo ha l’effetto paradossale di evocare un corpo etereo ma esteso, che occupa un certo spazio. In questo modo pare che il sentimento di familiarità e il sentimento di estraneità debbano rifluire, come in un gioco di vasi comunicanti, occupando l’uno il posto lasciato libero dall’altro. Ovviamente Wittgenstein denuncia l’allucinazione causata da questa abitudine linguistica: prova dell’assurdità di tale immagine atmosferica – intesa come sostanza impalpabile – è il fatto che non tutto ciò che non trasmette un sentimento di estraneità è pervaso da un alone di familiarità. La maggior parte delle volte, ciò che è familiare passa inosservato e non siamo propensi ad attribuirgli alcuna atmosfera.
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Gli esempi proposti da Wittgenstein – scrivere seguendo una tabella, continuare una successione numerica, riconoscere un sentimento di estraneità – invitano a pensare l’atmosfera come qualcosa di ulteriore rispetto ai semplici gesti compiuti nelle diverse occasioni: pare che per rendere conto di fenomeni esterni sia necessario un surplus psicologico, un alone che riunisca e avvolga l’intero processo. Nello scarto tra criteri esterni e presunti processi interni si crea un vuoto: l’atmosfera, sorta di medium allo stato gassoso, pare colmare la discontinuità creata dalla stessa contrapposizione esterno/interno. Il tipo di spiegazione messo in campo dal ricorso all’atmosfera mostra tutta la sua ambiguità quando si voglia rendere conto di un particolare tipo di processo: la comprensione linguistica.