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Sub specie aetern

2.1 La musica come metalinguaggio?

Nei Quaderni 1914-1916 Wittgenstein propone un’analogia tra tautologia e tema musicale: tratto comune delle due formulazioni è quello di essere «conclus[e] e compiut[e] in sé» (NB 4.3.15). Come nota Alessandro Arbo, il testo tedesco utilizza l’espressione in sich selbst abgeschlossen, resa nella traduzione francese con «renfermée sur soi», «expression que l’on porrai peut-être rendre par “achevée en elle-même» (ARBO 2012, p. 38). Tale proposta di traduzione sottolinea l’autonomia e, potremmo dire, la riuscita musicale della tautologia/melodia, valida per sé senza bisogno di altro riferimento, concentrata esclusivamente su se stessa in un’espressività riflessiva22

. Il legame tra logica e musica, articolato anche grazie all’analogia tra tautologia e tema musicale, trova espressione in un altro passo dei Quaderni:

29.5.15.

Ma è il linguaggio l’unico linguaggio?

Perché non vi dev’essere un modo d’espressione con il quale io possa parlare

sopra il linguaggio, così che questo mi possa apparire in coordinazione con

qualcos’altro?

Supponiamo che la musica fosse quel modo d’espressione: allora è ad ogni modo caratteristico della scienza che non v’occorrano temi musicali.

Io stesso scrivo qui solo proposizioni. E perché?

Come il linguaggio è unico?

Come è stato ricordato, secondo Wittgenstein «la logica deve curarsi da sé» (TLP 5.473), il che significa che per rendere conto dell’uso del nostro linguaggio non disponiamo di nessun metalinguaggio (tesi sostenuta invece da Russell nell’introduzione al Tractatus). Come è noto, il significato di una variabile deve mostrarsi nell’uso (3.326) ed è impossibile cercare di vedere dal di fuori la sua forma logica; tuttavia l’annotazione appena citata propone di immaginare la possibilità di un metalinguaggio. Non a caso tale ruolo viene assegnato alla

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musica, intesa come modalità espressiva non compromessa con alcun meccanismo di riferimento al mondo tipico del linguaggio ordinario. Si noterà la coerenza tra questo passo e l’analogia tra tautologia e melodia: in entrambi i casi Wittgenstein propone un analogon musicale per spiegare la natura delle proposizioni logiche; nell’annotazione del 29.5.15, tuttavia, la somiglianza viene applicata per offrire un esempio di metalinguaggio, abbracciando dunque per un momento una concezione apertamente rifiutata altrove. Se la musica potesse parlare del linguaggio da un punto di vista privilegiato, esterno, il suo “parlare” non potrebbe appartenere all’ambito della scienza, nel quale non apparirebbero dunque temi musicali. Per chiarire questo passo è opportuno ricordare la distinzione tra proposizioni metafisiche e proposizioni della scienza naturale proposta nel

Tractatus:

6.53 Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni della scienza naturale - dunque, qualcosa che con la filosofia nulla ha da fare –, e poi, ogni volta che altri voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno. Questo metodo sarebbe insoddisfacente per l’altro – egli non avrebbe il senso che gli insegniamo filosofia –, eppure esso sarebbe l’unico rigorosamente corretto.

Se la musica fosse il metalinguaggio con il quale possiamo parlare del nostro linguaggio ordinario, le sue proposizioni sarebbero estromesse dal campo della scienza, vale a dire apparterrebbero a quelle della metafisica. Come sappiamo Wittgenstein rifiuta esplicitamente tale concezione della logica: la supposizione proposta nei Quaderni vale dunque come un ragionamento per assurdo. Non è possibile che la logica possa venire espressa da un metalinguaggio; se si prende tuttavia per buono che la musica – quanto di più vicino al sich selbst

abgeschlossen delle proposizioni della logica – possa esprimere un punto di vista

sul linguaggio dall’esterno, si ricade nel terreno proprio della metafisica, la quale è estromessa dal campo della scienza ovvero dall’unico ambito di senso riconosciuto nel Tractatus.

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L’impossibilità di un metalinguaggio come qualcosa di positivo (si è detto che solamente le proposizioni scientifiche esprimono positivamente un senso determinato) confina tale tentativo in un ambito puramente metafisico, riconosciuto come Unsinn. Viene dunque ribadito il ruolo liminare della logica e della musica: la tautologia/melodia non può cercare di dire nulla di positivo sul linguaggio, pena il suo perdersi nel campo metafisico. Al contrario, la logica deve curarsi da sé, mostrarsi da sé; già normalmente in vista nelle proposizioni

sinnvollen, essa viene alla luce con maggiore chiarezza nel caso estremo della

tautologia, nella quale l’autonomia della riuscita, per così dire, musicale si dà a vedere in maniera particolarmente evidente. La tautologia occupa un preciso posto

nel simbolismo, dentro al linguaggio, non andando al di là ma arrestandosi sul

limite che essa stessa costituisce; se tentasse, come un metalinguaggio, di dire la forma logica, si avrebbe la condizione insensatamente metafisica prospettata nella proposizione 4.12 del Tractatus e ribadita in un’annotazione, precedentemente citata, del 193123. Bisogna dunque pensare il limite come interno e non come uscita nel campo esterno al senso, secondo quanto suggerito da S. Laugier:

L’activité philosophique du Tractatus et son traitement des “problèmes philosophiques” semble consister en une délimitation de l’expression de pensée: mais c’est à une limitation interne que veut nous éduquer Wittgenstein et qui constitue la thérapeutique du Tractatus (LAUGIER 2010, pp. 252-53).

Pur non essendo possibile situarsi fuori del mondo, il Tractatus evoca esplicitamente la possibilità di retrocedere fino a un punto di vista da cui vedere il mondo come una totalità delimitata; tale posizione non sarà dunque totalmente esterna – come la posizione da cui viene applicato un metalinguaggio – ma si presenterà come liminare:

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6.45 L’intuizione del mondo sub specie aeterni è la sua intuizione quale tutto limitato. Il sentimento del mondo quale tutto limitato è il mistico.

Commentando questa proposizione, Pierre Hadot individua tre tratti caratteristici del mistico: esso coincide con il sentimento dell’esistenza del mondo, suscita la visione di un tutto delimitato e costituisce un contatto con l’inesprimibile. Nell’interpretazione dello studioso francese la distinzione tra

come e che, proposta da Wittgenstein in 6.44 («Non come il mondo è, è il mistico,

ma che esso è») viene utilizzata per mettere a fuoco il sentimento dell’esistenza del mondo, il fatto che esso sia; il mistico ha dunque come corrispettivo una forma di estasi, riconducibile alla tradizione della teologia negativa che va da Damascio ad Angelus Silesius:

Il “mistico” di cui parla Wittgenstein sembra proprio corrispondere a un’estasi nella quale “vediamo” un al di là del mondo e del linguaggio, il suo senso, il suo significato, il fatto della sua esistenza. […] Credo che per Wittgenstein l’estasi mistica corrisponda a questa uscita dai limiti del mondo e del linguaggio in virtù della quale il mondo e il linguaggio appaiono come dei non-sensi (HADOT 2004, trad. it., p. 69).

Come nel caso del metalinguaggio, il sentimento del mondo come tutto limitato appare qui come un’uscita dal dominio del senso, uno sconfinamento nell’inesprimibile al di là del linguaggio. La lettura di Hadot, legando la visione

sub specie aeterni al dominio dell’Unsinn, finisce dunque per confinare il mistico

nell’ambito della metafisica, la stessa metafisica espressamente condannata da Wittgenstein. Pur non indicando nessun contenuto positivo, tale lettura pare ammettere che vi sia qualcosa oltre i limiti del linguaggio, ricadendo in tal modo nel numero delle interpretazioni che abbiamo chiamato “ineffabiliste”; tuttavia le critiche mosse a tali posizioni da parte di lettori “austeri” come Conant e Diamond paiono escludere la possibilità di qualsiasi uscita dall’ambito del senso, negando così al Tractatus ogni possibilità di espressività metafisica. Come si è già ricordato, le critiche degli autori del New Wittgenstein si dirigono verso quelle

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interpretazioni standard che pretendono di distinguere tra nonsenso sostanziale e mero nonsenso, riservando al primo la possibilità di veicolare particolari significati ineffabili muovendosi nel registro del mostrare. Fra gli autori più rappresentativi di questo orientamento possiamo riconoscere E. Anscombe la quale, per prima fra i commentatori di Wittgenstein, ha avuto il merito di esplicitare la distinzione tra ciò che può essere detto e ciò che può essere mostrato:

But an important part is played in the Tractatus by the things which, though they cannot be 'said', are yet 'shewn' or 'displayed'. That is to say: it would be right to call them 'true' if, perimpossibile they could be said; in fact they cannot be called true, since they cannot be said, but 'can be shewn', or 'are exhibited', in the propositions saying the various things that can be said. Now the things that would be true if they could (ANSCOMBE 1959, p. 162).

La critica di Diamond ad Anscombe pare tuttavia viziata da una contraddizione, notata da P. M. S. Hacker24 e ribadita da M. Marion:

Wittgenstein aurait déconstruit sa propre entreprise et montré (?) par-là que l’entreprise de Frege et celle de Russell – et à leur suite, ajouterions-nous, toute la philosophie analytique – sont vouées à ne produire que ce genre de non-sens (MARION 2004, pp. 123-124).

Contro un’interpretazione “decostruzionista” o “post-modernista”25

del pensiero di Wittgenstein, si può dunque ammettere che «vi è dell’indicibile» (TLP 6.522), benché esso non possa essere additato come un contenuto nascosto, come qualcosa che ci sfugge ma che potrebbe in qualche modo essere svelato: «L’inexprimable n’est certes pas de l’ordre du sens que l’on puisse dire clairment

24 Per una critica della concezione austera del non-senso di Diamond e Conant, cfr. HACKER

2000, pp. 353-88.

25

Contro la lettura decostruzionista o post-modernista del Tractatus logico-philosophicus proposta dagli autori del New Wittgenstein, cfr. HACKER 2000, COMETTI 2001, pp. 31-35, SCHMEZER 2011, pp. 219-20.

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dans le langage […], mais il existe bel et bien; telle est la nature, par exemple de l’etonnement devant l’existence du monde» (MARION 2004, p. 124). Si noti come d’altra parte anche Anscombe, per quanto frequentemente indicata come interprete “irresoluta”, mantenga una posizione rigorosa di fronte all’ineffabile:

Thus when the Tractatus tells us that 'Logic is transcendental', it does not mean that the propositions of logic state transcendental truths; it means that they, like all other propositions, shew something that pervades everything sayable and is itself unsayable. If it were sayable, then failure to accord with it would have to be expressible too, and thus would be a possibility. (ANSCOMBE 1959, p. 170).

Negando dunque la possibilità di qualunque “nonsenso sostanziale”, procederemo a un esame approfondito di ciò che Wittgenstein intende per “visione sub specie aeterni”, convinti che tale intuizione non indichi necessariamente uno sconfinamento nel nonsenso metafisico ma metta in luce la struttura logica del mondo. Per fare ciò, nel prossimo paragrafo proporremo una breve ricostruzione dell’origine schopenhaueriana dell’espressione latina, illustrando successivamente l’originalità della modulazione wittgensteiniana.