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2. Laboratorio della violenza politica.

2.1. La destra radicale

Racconta Susanna Ronconi che per lei la strage di Piazza Fontana non fu uno svelamento della minaccia fascista, proprio perché questa, nel contesto locale in cui lei viveva, era sempre stata presente: “Mi riferisco tanto all’esistenza di figure come Ventura, Facchini, Freda (la sua libreria brucerà decine di volte), quanto alla dimensione più quotidiana, legata sia all’università […], sia alle lotte operaie, specie nella provincia, in cui i picchetti antisindacali e antioperai erano fatti da fascisti ingaggiati come picchiatori direttamente dai vari padroni e padroncini. Con il nascere di una conflittualità aperta e diffusa nelle scuole e nell’università, con il crearsi di luoghi – le piazze, le zone, i bar – divenuti “territorio” dei compagni, aumentano a dismisura le occasioni di scontro fisico, spesso vera e propria contesa di territori”310. Sergio Tonin, militante di primo piano del Msi padovano, ricorda che alla fine degli anni Sessanta i giovani missini padovani erano particolarmente attivi nel suscitare disordini all’università311.

Come abbiamo già visto, gli anni tra il 1974 e il 1976 sono caratterizzati dallo scontro quasi quotidiani tra giovani estremisti di destra e di sinistra e tra questi e le forze dell’ordine, anch’esse spesso rappresentate da poliziotti e carabinieri in giovane età. Quella neofascista, in questo scontro durissimo che impegna le nuove leve assestate su opposti schieramenti, costituisce a Padova una componente di primo piano, non tanto per la consistenza numerica, quanto per l’aggressività e l’attivismo nelle azioni violente che sono in costante aumento per tutto il triennio, per poi calare bruscamente a causa della repressione operata dalle forze di sicurezza e dalla magistratura, in particolare grazie all’opera del giudice Pietro Calogero312.

Il panorama della destra radicale in Veneto, e soprattutto a Padova che costituisce il centro più vivace da questo punto di vista, non si esaurisce nella presenza di qualche giovane scalmanato

309 P. Calogero, C. Fumian, M. Sartori, Terrore rosso, Bari-Roma, Laterza, 2010, p.5.

310 TPPd, b. 2/87, Procura della Repubblica di Torino, Deposizione di Susanna Ronconi, 05.12.1986. 311 TPPd, b. 316/86, Procura della Repubblica di Padova, Interrogatorio di Sergio Tonin da parte del sostituto

procuratore Pietro Calogero, 01.11.1980.

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disponibile allo scontro fisico con gli avversari, ma presenta anche realtà più strutturate e

inquietanti. Tra queste una delle più note è la formazione chiamata Rosa dei Venti, un gruppo di cospiratori che organizzano un fallimentare progetto di colpo di Stato, territorialmente collocato tra il Veneto e la Liguria – in quanto i veneti si occupano del reclutamento e i liguri del finanziamento dell’impresa; tra i suoi affiliati figura il colonnello Amos Spiazzi, responsabile di un servizio di sicurezza militare che, perseguito penalmente, ricostruirà in sede processuale il progetto in cui era inserita la Rosa dei Venti che, secondo il militare, era fondamentalmente un piano speciale

anticomunismo, pensato in previsione di un eventuale invasione da est, molto simile, quindi, alle strutture stay behind come Gladio313.

Proprio a Padova, inoltre, tra il 18 e il 19 aprile del 1969, si era tenuta una riunione in cui era stata messa a punto una strategia volta a favorire una stretta autoritaria nel paese, attraverso l’attuazione di una serie di attentati terroristici da far attribuire a gruppi di estrema sinistra; un piano che non può non far pensare alla strage di piazza Fontana, avvenuta nel dicembre successivo, sebbene non sia stato provato nessun collegamento diretto tra i due eventi.

Nel 1974, le indagini successive al duplice omicidio perpetrato dalle Brigate rosse ai danni di due militanti missini nella sede provinciale padovana del Msi, portano in luce alcuni episodi e comportamenti che possono fare pensare ad attività illecite, non a livello di coinvolgimento dell’intera sezione, ma di alcuni suoi appartenenti. Il figlio di Giuseppe Mazzola, una delle vittime, riferisce, infatti, ai magistrati di episodi e circostanze di cui suo padre era stato testimone: il rinvenimento di armi improprie nella sede (molotov, spranghe e biglie di acciaio), comportamenti minacciosi, ambigui o violenti di alcuni iscritti, tanto da indurlo a rassegnare le dimissioni da contabile della sezione, riferimenti che possono far sospettare conoscenze dirette di fatti e persone implicati nelle stragi dei primi anni Settanta; emerge in particolare la figura di Gianni Swich: collega e conoscente di Giovanni Ventura, appartenente all’ala estremista del Msi, viene accusato da alcuni esponenti dell’ala moderata di essere coinvolto in azioni eversive e violente e di tenere comportamenti loschi e atteggiamenti aggressivi314. Il Movimento sociale padovano era, infatti, diviso in due componenti, quella moderata raccolta intorno all’avvocato Sergio Tonin e quella estremista che annovera oltre al citato Gianni Swich anche un personaggio come Massimiliano Facchini, che professa posizioni neonaziste, raccoglie intorno a sé militanti del disciolto Ordine Nuovo, verrà indagato per vari episodi criminosi e condannato come uno degli esecutori della strage di Bologna ed è in rapporti di amicizia e vicinanza politica con la figura forse più nota dell’estrema destra eversiva italiana, Franco Freda. Quest’ultimo

313 S. Zavoli, La notte della Repubblica, op. cit., pp. 148 e sg.; V. Satta, I nemici della repubblica, Milano, Rizzoli,

2016; G. De Luttis, I servizi segreti in Italia, Sperling & Kupfer, Milano, 2010, pp. 124 e sg.; M. Franzinellli, La sottile linea nera, Rizzoli, Milano, p. 234

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aveva aperto a Padova con Giovanni Ventura, come lui militante di Ordine nuovo e come lui indagato o condannato per diversi episodi di terrorismo e di stragismo, la libreria Ezzelino che costituiva un punto di riferimento per i militanti dell’estrema destra, ma già dagli anni Sessanta Freda, ammiratore e conoscitore di Julius Evola e saggista, è uno dei principali animatori della scena politica e culturale della Padova neofascista con la fondazione del gruppo e della casa editrice chiamati Ar. Nella seconda metà degli anni Settanta abbraccerà la strategia dello spontaneismo che vede come l’unica praticabile. Le caratteristiche comuni con lo spontaneismo di sinistra sono l’assenza di un progetto politico coerente e articolato, il rifiuto dell’ideologia, la centralità dell’azione come valore in sé, la distruzione come momento privilegiato, l’insofferenza per le gerarchie, il nichilismo, la predilezione per l’azione spontanea dei singoli e dei gruppi che hanno, infatti, natura fluida, costituendosi e sfaldandosi per riformarsi con altri nomi; lo spontaneismo di destra è, però, ispirato da una concezione filosofica mutuata da un’interpretazione anarchica del pensiero dell’ultimo Evola, per cui il rivoluzionario combatte una battaglia individuale, testimoniando con la sua stessa esistenza la possibilità di valori diversi da quelli su cui si basa il mondo moderno e non più perseguibili attraverso un’azione positiva; resta allora l’azione violenta, distruttiva, negativa e la condizione esistenziale di combattente o, meglio, di «legionario» come unica possibilità di vita e di lotta: di qui il distacco e la critica non solo al Msi, ma anche a tutta la tradizione della destra radicale315. Freda e il suo gruppo cercheranno un contatto, sulla base della comune strategia spontaneista, con l’estrema sinistra padovana per unire le forze contro il comune nemico, lo stato democratico, ma il progetto non avrà successo: anche tra le frange più radicali dell’Autonomia operaia, ossessivamente concentrate contro i “riformisti” e i “berlingueriani”, la pregiudiziale antifascista è troppo forte perché una simile ipotesi possa essere accolta. Secondo Mauro Paesotto, ex militante di Autonomia operaia, nei primi mesi del 1979 il collettivo Attivo organizzò varie riunioni in cui si discusse l’opportunità di effettuare azioni contro proprietà e beni degli esponenti del NAR che andavano riorganizzandosi a livello nazionale e anche a Padova dove avevano organizzato attentati; questa campagna antifascista doveva essere la risposta alle proposte di alleanza che i fascisti avanzavano nei confronti della sinistra, ma era di difficile realizzazione per la penuria di armi che affliggeva l’organizzazione316.

Se il progetto di convergenza con l’area autonoma fallisce, tuttavia lo spontaneismo di destra conosce una certa fortuna in Veneto che sarà teatro della cruenta conclusione della parabola del rappresentante più noto di questo movimento di estrema destra, Valerio Fioravanti. La sera del 5 febbraio del 1981, in seguito ad una segnalazione, una pattuglia di carabinieri sorprende presso il Lungargine dello Scaricatore, a Padova, un gruppo di persone nell’atto di recuperare un ingente quantitativo di armi

315 F. Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Feltrinelli, Milano, 1984, p. 81.

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dal canale; ne segue uno scontro a fuoco in cui restano uccisi l’appuntato Enea Condotto e il carabiniere Luigi Maronese e viene gravemente ferito Fioravanti che, costretto a ricoverarsi in ospedale, viene immediatamente identificato e tratto in arresto. Le indagini successive portano alla luce la rete su cui può dispone il gruppo dei fratelli Fioravanti a partire dalla fine di novembre del 1980, nel capoluogo padovano, dove possono contare su basi logistiche e fiancheggiatori317.