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3. Le Br a Genova Dal sequestro Sossi all’omicidio Coco

3.2. Il primo omicidio politico pianificato.

Il sequestro Sossi è stato organizzato e gestito direttamente dai dirigenti delle Brigate Rosse, ma con l’aiuto di fiancheggiatori presenti in loco; circa sei mesi dopo l’azione, una colonna vera e propria sarà fondata a Genova, dove già l’organizzazione poteva contare su una rete di simpatizzanti. L’omicidio Coco sarà nuovamente deciso ed effettuato dai vertici dell’organizzazione, benché nel 1976 la colonna genovese esista già e fornisca un importante contributo.

Il primo dei nove omicidi compiuti a Genova delle Br ha quindi una storia che non riguarda propriamente l’organizzazione cittadina, ma è invece legata strettamente al rapimento di Mario Sossi e, costituisce, n un certo senso, il terzo e ultimo atto della vicenda cominciata con il processo al gruppo XXII ottobre.

Francesco Coco è un personaggio piuttosto controverso e impopolare. Nato a Terralba, in provincia di Oristano, nel 1908, entra nella magistratura molto giovane, dopo la guerra, diventa sostituto procuratore a Cagliari e da qui viene trasferito a Roma, nel 1964, dove fa parte della prima sezione penale della Corte di Cassazione; un anno dopo è a Genova come procuratore capo e qui, tra la fine

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degli anni Sessanta e il decennio successivo, diventa l’accusatore tenace in numerosi processi contro i soggetti della contestazione. Inoltre il magistrato sardo è al centro di una dura polemica coi “pretori d’assalto” che, nei primi anni Settanta, svolgono inchieste agguerrite contro abusi e privilegi consuetudinari; Coco si oppone alla politica dei suoi giovani colleghi ai quali sottrae più volte inchieste scottanti. Il suo nome viene alla ribalta durante il sequestro del sostituto procuratore Sossi, sia per la decisione con cui perseguì la linea della fermezza, esponendosi in prima persona al fine di bloccare le trattative coi rapitori, sia per essere stato nominato in quasi tutti i comunicati delle Brigate Rosse che lo indicavano come il nemico per eccellenza. Più volte nei documenti dell’organizzazione si indica Coco come il vero responsabile dei fatti per cui Sossi era sotto processo. Leggiamo nel comunicato n.° 4: “[…] Mario Sossi ha puntato il dito contro chi, protetto dalla grande ombra del potere, lo ha pilotato in questa miserabile avventura: Francesco Coco […]”146. Firmando l’impugnazione della sentenza che concedeva la libertà provvisoria ai membri del XXII ottobre, il procuratore si trasforma nel più ovvio bersaglio dei brigatisti.

Nei due anni trascorsi tra questi avvenimenti e il giugno del 1976, le Brigate rosse sono molto cambiate. Innanzitutto, hanno subito moltissime perdite, tra arresti e morti in conflitti a fuoco con le forze dell’ordine, il così detto nucleo storico è stato sgominato; tra i superstiti c’è Mario Moretti, divenuto capo dell’organizzazione, il quale imporrà la sua linea politica e militare senza trovare opposizione fino a dopo il sequestro Moro. Usciti ormai definitivamente dalla logica propagandista, del gesto dimostrativo che ha lo scopo di allargare la schiera dei simpatizzanti, le azioni sono ora vere azioni militari, quelle di un esercito che combatte una guerra contro quello che avverte come un altro esercito a lui contrapposto. In questo ordine di idee, l’omicidio non è più un tabù, e quello di Coco inaugurerà la serie degli omicidi pianificati; ma questo delitto è anche una prova di forza delle Br che vogliono dimostrare la loro vitalità e pericolosità a dispetto delle perdite subite; inoltre, ha un valore intimidatorio nei confronti dei giudici torinesi che stanno per celebrare il primo processo al nucleo storico e infine ha il significato di una rappresaglia, dal momento che i brigatisti hanno cominciato a veder morire alcuni compagni, tra cui Margherita Cagol, “Mara”, una fondatrice e dirigente del gruppo, uccisa dai carabinieri durante una sparatoria nel cortile della cascina Spiotta, la base che l’organizzazione aveva ad Arzello, vicino ad Acqui Terme in provincia di Alessandria.

Il delitto avviene con alcuni giorni di ritardo, rispetto alla data stabilita che doveva appunto essere il 4 di giugno, esattamente un anno dopo l’uccisione della Cagol. L’8 giugno, intorno alle tredici e trenta, il Procuratore scende dalla Fiat 132 di servizio di Stato, guidata dall’appuntato Antioco Deiana e si avvia verso salita Santa Brigida in compagnia della sua guardia del corpo, l’ufficiale di Polizia Giuseppe Saponara. Prima di affrontare la scalinata, si volta verso la Giulia militare dei Carabinieri

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che lo seguiva e fa segno di tornare in caserma; l’auto civile, invece, si allontana di una settantina di metri e si ferma in uno slargo di via Balbi ad attendere il ritorno dell’ufficiale. Salita Santa Brigida è una scalinata di mattoni che collega la centrale via Balbi al labirinto di ripide salite e scalinate, che portano verso quartieri residenziali e periferici. A metà della via c’è un archivolto, proprio alla sua altezza, Coco e Saponara incrociano due uomini che stanno scendendo; da dietro l’arco ne sbuca un terzo e tutti e tre cominciano a sparare, uccidendo le vittime con venti colpi alla schiena; dopodiché si danno alla fuga su per la salita.

Intanto altri due brigatisti si avvicinano all’auto che nel frattempo aveva raggiunto il posteggio, uno di loro si avvicina al finestrino dell’autista, con la mano sinistra regge una borsa di pelle nera, mentre con la destra, infilata dentro la borsa, impugna una pistola e improvvisamente scarica l’arma contro il torace del carabiniere; Subito dopo si danno alla fuga attraverso via Balbi, verso la stazione Principe, inseguiti per un breve tratto da un testimone, “Tony lo slavo”, subito fermato dalla polizia che lo ritiene coinvolto nel delitto147.

Una telefonata delle Br a «Il Secolo XIX » preannuncia la diffusione di un comunicsto che verrà divulgato il giorno seguente. La prima parte del documento consiste in una sorta di elenco delle “colpe”, di cui Coco si sarebbe macchiato148 e per le quali le Brigate Rosse hanno decretato la sua condanna a morte, tra questi spicca il ruolo avuto dal magistrato prima nel processo contro il XXII ottobre, definito come “l’avanguardia dell’attacco controrivoluzionario sferrato dalla borghesia contro le avanguardie comuniste”, poi nel rapimento di Sossi. In seguito si passa ad analizzare la congiuntura politica del momento, concludendo con l’affermare l’impraticabilità di ogni ipotesi democratica, elettorale e riformista e l’inevitabilità della scelta della lotta armata.

“Martedì 8 giugno un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato il procuratore generale della Repubblica Francesco Coco. La scorta armata che lo proteggeva è stata annientata. Vale la pena ricordare alcune tappe che hanno costellato la lunga carriera di questo feroce nemico del proletariato e della sua avanguardia armata.[…] Magistratura, polizia e carabinieri, carceri, costituiscono ormai un blocco unico, sono le articolazioni cardine di uno stesso fronte militare che lo stato delle multinazionali schiera contro il proletariato. Questo è il progetto della borghesia che, caduta ogni possibilità di uscire dalla crisi in maniera indolore, vuole imporre il suo ordine nell’unica maniera che gli è possibile: con le armi […] Chi ritiene oggi che per via elettorale si potranno determinare equilibri favorevoli al proletariato o addirittura creare un’alternativa di potere, non solo opera una

147 Sulla ricostruzione della dinamica cfr. M. Moretti, Brigate rosse, op. cit. e

148 In particolare viene accusato di aver insabbiato l’indagine relativa al crollo di una palazzina che aveva provocato

diversi morti e feriti e di aver archiviato le denunce di alcuni detenuti del carcere di Marassi riguardo a pestaggi da parte delle guardie.

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meschina mistificazione, ma indica una linea avventuristica e suicida. L’unica alternativa di potere è: la lotta armata per il comunismo”149.

Dopo poche ore la strage viene rivendicata dagli imputati del maxi processo di Torino: durante il dibattimento, Prospere Gallinari prende la parola e comincia a leggere un documento redatto con gli altri coimputati, in cui si precisa che l’azione contro Coco non è una rappresaglia esemplare, ma è il primo di una serie di attacchi allo Stato in generale e alla magistratura in particolare; si rivendica anche l’uccisione degli uomini della scorta, definiti “sgherri della controrivolzuione”; il proclama si chiude con un’esplicita minaccia alla Corte torinese. L’imputato viene subito interrotto dal Presidente della Corte e i carabinieri sequestrano il documento che viene in seguito ricostruito, dopo il ritrovamento in una camera di sicurezza della parte mancante.

“[…] Questa azione realizza i seguenti obiettivi: dà corpo alla linea strategica dell’attacco al cuore dello stato, evidenziando al movimento rivoluzionario che la contraddizione principale di questa fase è quella che oppone il proletariato allo stato in tutte le sue articolazioni coercitive e le sue appendici politiche apparentemente in conflitto, dai fascisti di Saccucci ai riformisti e ai revisionisti. […] sviluppa, certamente non conclude, l’operazione Sossi, il cui scopo era evidenziare dietro la maschera democratica il contenuto ferocemente controrivoluzionario dello stato imperialista delle multinazionali. […] Ma giustiziare Coco non è stata una rappresaglia “esemplare”. Con questa azione si apre una nuova fase della guerra di classe che punta a disarticolare l’apparato dello stato colpendo gli uomini che ne impersonano e dirigono la sua iniziativa controrivoluzionaria. […]”150

A Genova i sindacati organizzano uno sciopero generale di tre ore, la partecipazione dei lavoratori questa volta è ancora più massiccia che quella del 1974; la condanna dell’operato delle Brigate Rosse ora assai più diffusa: all’Italsider e all’Italcantieri la mobilitazione è completa, tutti gli operai in turno hanno partecipato al corteo, nelle altre fabbriche è più limitata, ma sempre molto forte; gran parte del movimento operaio e della sinistra si sente anche minacciati dal pretesto che le Br offrono a chi preme per una svolta autoritaria, per la militarizzazione del Paese e a quei settori, ancora più numerosi, che invocano una linea esasperatamente giustizialista, anche a scapito dei diritti e delle garanzie democratiche dei cittadini. Lo sciopero, pertanto, è approvato anche da gruppi e movimenti che avevano criticato quello dei tempi del rapimento di Sossi. Per esempio Lotta Continua, che aveva parlato di ambiguità in relazione a quella manifestazione, oggi manifesta la sua adesione:

“Le nostre affermazioni di ieri sono state confermate oggi dalla Genova proletaria e antifascista.

149 Volantino di rivendicazione delle Brigate Rosse citato in Vincenzo Tessandori, BR: imputazione banda armata., op.

cit., p. 15 e sg.

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[...] Un abisso incolmabile separa chi- come le BR - agisce nell'isolamento più totale sulla china di un pendio senza ritorno dalla vita, dalle esperienze, dalle battaglie delle masse proletarie.

[...] Un risultato sicuramente raggiunto dallo sciopero e dai cortei di oggi è stato quello di stroncare ogni possibilità di gestione di destra dell'attentato. Ciò non esclude affatto la continuazione di manovre di ricatto contro il movimento di classe, né le provocazioni. Ma oggi il numero altissimo di operai in corteo ha strappato dalle mani della DC la gestione di una campagna d'ordine- che starebbe una nuova isterica crociata antiproletaria- e ha fatto capire che c'è solo un ordine possibile: quello stabilito dalla classe operaia”151.

Tutta la sinistra crede di scorgere un legame tra la strage di via Balbi e le elezioni che si

svolgeranno il venti di giugno; la tesi dell’intimidazione in vista di una consultazione elettorale è la più diffusa; se la sinistra radicale vede il vantaggio tratto dalle destre come un’eterogenesi dei fini brigatisti, gonfiato ad arte dai settori reazionari della stampa e delle istituzioni, ma non mette in discussione la natura politica delle Br152, la sinistra istituzionale continua, in gran parte, a sostenere ufficialmente la tesi della provocazione fascista153. Per esempio, sul comunicato stampa della Federazione provinciale dei sindacati, dopo l’espressione delle proprie condoglianze ai famigliari delle vittime, è scritto: “denuncia quest'atto come un altro gravissimo episodio che s'inserisce nella logica della provocazione fascista rivolta a stravolgere l'ordinato svolgersi della campagna elettorale in corso e a sostituire il confronto democratico e civile col delitto e la violenza, riprovati oggi e sempre dalla classe lavoratrice, dai partiti costituzionali e da tutte le forze democratiche. Il massacro di Coco e della scorta è quindi uno dei tanti nuovi episodi eversivi contro cui la federazione

genovese ancora una volta esprime la sua più ferma e chiara esecrazione”154.

Sul fronte delle indagini, il primo a occuparsi del triplice omicidio è Antonio Esposito, ma ben presto l’istruttoria, seguendo l’iter ordinario, viene spostata a Torino, dove se ne incaricano i magistrati Violante, Caselli, Witzel, Carassi e Griffei. Si seguono le piste più varie, vengono effettuate centinaia di perquisizioni soprattutto nel centro storico e nelle abitazioni di extraparlamentari, tredici autonomi vengono arrestati dopo che nella loro sede, situata nella zona del Carmine, sono stati rinvenuti documenti propagandistici delle Br, e rimessi in libertà dopo pochi giorni. Il Consiglio di Fabbrica dell’Ansaldo diffonde un comunicato in cui condanna aspramente i metodi degli inquirenti.

151 Le Br rivendicano l’attentato, in «Lotta Continua», 10.06.1976, p. 2

152 Si veda per esempio questo titolo di «Lotta Continua», del 12 giugno: Cossiga, Santillo e il questore di Genova

alimentano il terrorismo elettorale.

153 Si vedano i materiali allegati a Comunicazione di Prefettura a Ministero degli Interni in. ACS, MI, Gabinetto, affari

generali, ordine pubblico/incidenti, 1976/80 b. 28.

154 Archivio Centro Ligure di Storia Sociale di Genova, Fondo Sindacale, 1976-1979, b.2, Federazione provinciale

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La stampa dichiara che due persone sono ricercate e ne pubblica anche le foto: Rocco Micaletto, che faceva effettivamente parte del commando e Giuliano Naria. In realtà il secondo è indagato per il rapimento di Casabona, un industriale rapito a Genova l’anno prima (accusa da cui sarà prosciolto in istruttoria), ma viene presentato all’opinione pubblica come uno degli autori della strage, «ll Corriere Mercantile» arriva a titolare l’articolo, accompagnato dalla foto di Naria, “Ecco il volto della belva”155. Giuliano Naria è un personaggio noto negli ambienti dell’estrema sinistra genovese; di famiglia comunista, esce presto dalla Fgci per avvicinarsi prima al gruppo marxista-leninista, poi a Lotta Continua, come membro della segreteria genovese. Nel 1970 entra all’Ansaldo dove diventa presto una delle figure più carismatiche della lotta operaia. Secondo alcuni suoi compagni è per questo motivo, oltre che per essere stato protagonista di diversi episodi di insubordinazione, che viene licenziato per assenteismo. È molto probabile che abbia avuto rapporti con le Brigate Rosse genovesi, come afferma anche Mario Moretti156, ma la sua estraneità alla strage di via Balbi è oggi accertata in sede giudiziaria e, d’altronde, la sua personalità politica spiccatamente libertaria è in netto contrasto con lo spirito dell’organizzazione brigatista. Ha ventinove anni quando viene arrestato il 27 di luglio 1976, a Gaby in Val d’Aosta, dove si trovava con la sua compagna; con sé ha una pistola e documenti falsi e si dichiara prigioniero politico. Pochi giorni dopo l’arresto, viene spiccato un mandato di cattura contro di lui per l’omicidio di Coco, ma gli elementi a suo carico sono assolutamente inconsistenti, lo accusano due testimoni, Zoran Grbelja, vero nome di Tony lo slavo, e Elio Leopardi, due malavitosi confidenti delle forze dell’ordine. I verbali degli interrogatori dei due testimoni presentano contraddizioni importanti, le modalità delle loro deposizioni suscitano l’incredulità dello stesso giudice istruttore. Intanto gli anni passano e Naria è sempre detenuto in attesa di giudizio. Nel 1980, viene condannato a cinque anni per partecipazione a banda armata dal Tribunale di Aosta, mentre il processo istruito a Torino per accertare le sue responsabilità in ordine all’omicidio Coco viene sospeso per acquisire i verbali delle confessioni di Patrizio Peci, il primo pentito illustre delle Brigate Rosse. In questo stesso anno scoppia la rivolta nel carcere di Trani dove egli è detenuto e viene incriminato anche per questa vicenda. Nel 1983, viene assolto a Torino dall’accusa di omicidio, l’anno seguente il Tribunale di Trani lo condanna a diciassette anni per il suo presunto ruolo nella rivolta, nel novembre del 1985 è assolto dalle accuse relative alla rivolta di Trani e nel 1991 è assolto anche dall’imputazione di partecipazione a banda armata. Muore nel 1997, ucciso da un cancro alla bocca che lo aveva colpito nel 1995. Giuliano Naria ha trascorso in carcere nove anni e sedici giorni, di cui molti in carceri speciali come l’Asinara o in isolamento; a nulla è valsa la mobilitazione di

155 Ecco il volto della belva che ha compiuto il massacro, in «Il Corriere mercantile», 10.06.1976. 156 M. Moretti, Brigate Rosse, op. cit., pag. 64.

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Soccorso Rosso, del Partito Radicale, di parlamentari di diversi schieramenti politici, e l’interessamento partecipe e personale di Sandro Pertini e Enzo Tortora157.

La reale composizione del commando responsabile dell’agguato dell’8 giugno 1976, resta tutt’oggi non accertata; si trattava per lo più di brigatisti del gruppo centrale, la partecipazione di Riccardo Dura viene ricordata da molti pentiti e dissociati durante i processi, ma non è impossibile che questi ex brigatisti addossino la responsabilità a un compagno morto per non incriminarne uno vivo e passabile di una condanna all’ergastolo.

L’intera azione è organizzata e attuata dal Comitato Esecutivo e Micaletto vi prese parte nella sua qualità di dirigente nazionale, ma ovviamente la colonna locale offrì appoggio, strumenti logistici e uomini; la collaborazione di alcuni irregolari locali e la presunta presenza di un genovese nel commando mostrano che Genova aveva raggiunto ormai un livello di preparazione militare e di organizzazione logistica di alto livello. In ogni caso, alla struttura locale difficilmente sarebbe stata delegata un’azione di tale importanza, in ragione del carattere di svolta che ha questo episodio e che, pertanto, non poteva che essere deciso e diretto a livello nazionale. Nella storia dell’organizzazione questo non è l’unico caso di operazione decisa e gestita direttamente dall’esecutivo; a Genova ciò avverrà anche per il rapimento a scopo di estorsione di Piero Costa.

Le tre morti che chiudono la partita aperta col rapimento del giudice Sossi, sconvolgono il Paese e alienano alle Brigate Rosse molte delle simpatie e dei consensi che l’epilogo incruento e destabilizzante del sequestro avevano suscitato. Va rilevata la non casualità del fatto che le tre “prime volte” avvengano nel medesimo contesto territoriale, non si tratta infatti come di episodi indipendenti, ma di tre tappe della lotta armata e questa concatenazione conferma l’importanza che la banda XXII ottobre ha avuto per la storia della lotta armata in Italia. La prima è il processo d’appello al XXII ottobre che chiude la vicenda di una delle prima formazioni armate di sinistra in Italia; la seconda è segnata da un’importante svolta nella storia delle Brigate Rosse: l’abbandono della logica strettamente legata alla realtà e ai problemi della fabbrica per portare l’attacco al cuore dello Stato, rappresentato, nella prima azione di questo nuovo percorso, da un Sostituto Procuratore particolarmente inviso all’estrema sinistra. Questo particolare, come si è visto, fa pensare che l’organizzazione agisse ancora all’interno di una logica propagandistica, attenta a suscitare consensi e approvazioni all’interno dei movimenti e della sinistra rivoluzionaria. Infine la terza e ultima tappa, il primo omicidio politico pianificato che segna una seconda importante svolta nella storia dell’organizzazione: il ricorso all’assassinio esemplare, come strumento di lotta politica. Questa

157 Sul caso di Giuliano Naria sono stati scritti molti articoli sulla stampa dell’epoca. Si veda inoltre Il caso Coco:

processo a Giuliano Naria, Collettivo Editoriale Librirossi, Milano, 1978; M. Galfrè, La guerra è finita, op. cit.; D.

Serafino, La lotta armata a Genova, op. cit.; G. Naria, In attesa di reato, Spirali, Milano, 1991; I. Farè (a cura di),

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strategia, che negli anni successivi si affermerà definitivamente, provocando una lunga scia di morti, determina il progressivo scollamento tra le Brigate Rosse e la sinistra rivoluzionaria, isolando progressivamente l’organizzazione.

Siamo di fronte a un passaggio fondamentale nella storia delle Brigate rosse che condiziona quella