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3. Le Brigate rosse in Veneto.

3.1. Storia di un’anomalia: la Brigata Ferretto

In questa prima fase le Br tentano di percorrere in Veneto una strada inedita con la creazione, nel 1970, di un gruppo misto, formato da brigatisti e militanti di gruppi diversi, in particolare di Potere operaio, che verrà intitolata a un protagonista della resistenza veneziana, Erminio Ferretto. Secondo la deposizione rilasciata dal brigatista pentito Michele Galati, questo gruppo sarebbe una creazione di Giorgio Semeria che decide di dare vita a una formazione su base locale, sul modello delle

349 Il discorso di Neri Serneri si riferisce in realtà all’intera area della sinistra radicale, non in specifico a quella

dell’Autonomia operaia.

350 S Neri Serneri, Contesti e strategie della violenza e della militarizzazione nella sinistra radicale, in S. Neri Serneri

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colonne brigatiste coinvolgendo esponenti del Collettivo politico veronese (una sorta di Cpm veneto) e del movimento padovano, veronese e veneziano351. Questa formazione è ascrivibile all’allora ampio fronte dell’antifascismo militante, come suggerisce lo stesso nome che si richiama alla resistenza. Martino Serafino, membro del gruppo, ha raccontato che la Ferretto si forma dall’unione di due piccoli gruppi, uno veronese e uno padovano, accomunati appunto

dall’individuare nell’antifascismo il loro interesse prioritario352. Entrambi questi gruppi avevano al loro attivo una sola azione ciascuno, iscrivibile in questo ambito e la scelta dell’obiettivo dell’unica azione portata a termine dalla Ferretto va nella stessa direzione, si tratta dell’irruzione nella sede della Cisnal, che ha come obiettivo specifico la sottrazione di documenti e carte che possano servire a dimostrare il coinvolgimento dello stato e dei neofascisti nelle trame golpiste e negli episodi stragisti in atto nel paese. Il 25 maggio del 1973 Martino Serafino, ideatore del colpo, Carlo Picchiura e Susanna Ronconi irrompono nella sede di Mestre e sottraggono parte della

documentazione353. Anche l’obiettivo di un’altra azione progettata dalla banda e mai realizzata, indica la stessa direzione: si tratta infatti di Amos Spiazzi, indagato per la partecipazione al gruppo eversivo di estrema destra Rosa dei venti.

Si ha conoscenza di un unico documento teorico, prodotto sicuramente dalla Brigata Ferretto, ovvero il volantino di rivendicazione dell’unica azione realizzata, l’attacco alla Cisnal.

Nell’analizzarlo e confrontarlo con quello stilato dalle Br nell’analoga azione condotta ai danni dello stesso obiettivo, due anni dopo, si rileva ancora una volta la modestia di questa organizzazione che redige un documento di appena nove righe in cui vengono enunciati niente più che insulti e minacce, dalla truculenza grottesca (“i padroni e i fascisti di oggi saranno le braciole di domani”), laddove il volantino brigatista contiene un’analisi più articolata che muovendo dall’antifascismo armato, individua i nuovi nemici nelle classi imprenditoriali e nella loro espressione politica, anticipando così la nuova prospettiva brigatista di attacco al cuore dello Stato354.

L’esperienza della Ferretto rappresenta insieme il culmine e il fallimento dell’ipotesi movimentista delle Brigate Rosse venete: la forte presenza di Autonomia, la figura carismatica di Negri e la forte influenza che lui e il suo gruppo esercitavano nell’ambito della sinistra rivoluzionaria padovana e non solo erano fattori da cui non si poteva prescindere nel momento in cui si intraprendeva il progetto di importare il modello brigatista nella regione.

Si tratta di un’espressione della fase iniziale delle Br, quando ancora era aperto il dialogo con le frange radicali del movimento, esisteva il fenomeno della doppia militanza e la situazione era

351 TPVe, Sentenza della Corte d’Assise contro Alunni e altri, 20.07.1985.

352 TPPd, b. 140/87, Curcio e altri, Verbale di interrogatorio reso da Martino Serafino il 13.05.1986.

353 Questi i responsabili secondo TPVe. Legione CC Padova alla PR del 10.04.86 n. 137/31 – oggetto: PP 753/74 RG 354 TPVe, Sentenza della Corte d’Assise del 20 luglio 1985, pp. 210-211.

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ancora abbastanza fluida da permettere contaminazioni tra Br e area autonoma, tanto che vi erano brigatisti irregolari inseriti anche in strutture formali o informali dell’area di Autonomia.

Per quanto riguarda l’organizzazione, secondo la testimonianza di Michele Galati, il gruppo era compartimentato e diviso in tre distinti livelli: uno politico, uno militare e uno informativo355; la sua distribuzione sul territorio, prevedeva la focalizzazione dell’intervento nel polo industriale di

Mestre-Marghera utilizzando le città di Verona e Padova come retrovie di supporto logistico356, secondo uno schema che vedremo riproporre dalle Brigate Rosse. Dalle deposizioni dei militanti di questa formazione emerge come le assemblee di fabbrica di Porto Marghera fossero luoghi di incontro tra i militanti delle diverse anime della sinistra: sindacalisti, esponenti del Pci, militanti e dirigenti del Potere Operaio padovano; di conseguenza si intrecciavano progetti, visioni e strategie anche molto lontane tra loro. Secondo Serafino, i militanti della Ferretto, che mantenevano al centro della loro prospettiva l’antifascismo militante, si riconoscono soprattutto nelle Brigate rosse357. Le azioni compiute da questa banda sono di modesta entità: oltre all’irruzione di cui si è detto e a qualche lancio di molotov, incendiano l’auto di un capocantiere, programmano due rapine e l’intrusione in casa di Amos Spiazzi, tutti progetti falliti.

Secondo il pentito Bozzano sarebbe da attribuire a questa banda anche il duplice omicidio di via Zabarella; anzi sarebbe stato proprio l’esito cruento dell’operazione a determinare la crisi

dell’organizzazione, la fine della Ferretto e l’allontanamento di molti militanti358. In realtà, come si vedrà più avanti, questa spedizione dal tragico esito è ascrivibile alla prima fase di vita della

colonna veneta.

Secondo il giudice Papalia, la Brigata Ferretto non può essere considerata una banda armata, perché non è dimostrato che avessero le armi, visto che le azioni progettate non vengono mai portate a compimento oppure vengono effettuate da militanti brigatisti che potrebbero avere armi in quanto appartenenti alle Brigate rosse. Il dubbio sul fatto che questi militanti fossero realmente armati è rafforzato da un’affermazione di Martino Serafino durante l’interrogatorio in cui ammette di aver partecipato all’aione di via Zabarella secondo cui era nervoso il giorno dell’azione perché gli diedero una pistola e lui non aveva alcuna dimestichezza con le armi359. Fu dunque associazione sovversiva e non banda armata per il giudice che in appello conferma l’assoluzione di tutti gli imputati360; quello che più interessa in questa sede, tuttavia, non è la fattispecie di reato in cui è

355 Sentenza della Corte d’Assise di Roma citata in A. Naccarato, Violenza, eversione e terrorismo del partito armato a

Padova, op. cit., p. 33.

356 TPVe, Sentenza della Corte d’Assise del 20 luglio 1985, p. 467

357 TPPd, b. 140/87, Curcio e altri, Verbale di interrogatorio reso da Martino Serafino il 13.05.1986.

358 Dichiarazioni rese da Bozzano al GI Mastelloni il 28.5.82 presso caserma CC a Delo in TPVe, Busta B, fascicolo

Bozzano

359 TPPd, b. 140/87, Curcio e altri, Verbale di interrogatorio reso da Martino Serafino il 13.05.1986. 360TPVe, Sentenza Corte d’Assise d’Appello di Venezia del 16.7.86,

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inscrivibile l’attività della banda, quanto il suo progetto e la sua natura: la mancanza di armi e la modestia delle azioni compiuti non portano necessariamente ad escludere che il gruppo ambisse a strutturarsi e ad agire come una formazione armata ed eversiva sul modello delle Brigate Rosse, soprattutto in considerazione del fatto che teorizzava un programma del tutto simile a quello dell’organizzazione maggiore: propagandare la possibilità di lotta armata presso i settori operai più avanzati sul terreno della lotta. Del resto, nella parte motiva della sentenza Corte d’Assise di Venezia del 20 luglio 1985, nel ricostruire la storia di questa anomala associazione, si afferma: “Non appare credibile che fosse un gruppo con finalità difensive da involuzioni golpiste, è invece un gruppo offensivo di attacco antipadronale e aggressione al nemico politico, come le Br. Vi è un principio di compartimentazione tra Verona e Mestre come nelle Br”361.

Tuttavia, la brevità e l’esiguità dell’esperienza rendono ardua una categorizzazione precisa della banda che, sempre in sede processuale, viene definita come un “gruppo eversivo creato da Semeria e egemonizzato dalla Br per la presenza di molti e qualificati membri”362. In realtà si tratta per lo più di futuri brigatisti che al momento non hanno ancora intrapreso la militanza nell’organizzazione, mentre l’egemonia delle Brigate rosse si esplica nella figura del capo, Giorgio Semeria, clandestino esperto, e nell’impostazione organizzativa e strategica da esse desunta. In definitiva, la definizione sembra quella data dallo stesso Papalia di una sorta di scuola quadri per aspiranti brigatisti, ma il cui passaggio al livello superiore non è pacifico e automatico: non tutti i militanti della Ferretto

diventano infatti membri delle Br363.

In ogni caso, il progetto del gruppo misto si rivela un fallimento e la Ferretto si trasforma in qualcos’altro, ovvero in un’articolazione delle Br; a questo punto i componenti della Ferretto che sono disposti a entrare nelle Brigate rosse vengono assorbiti nell’organizzazione, mentre chi non intende intraprendere questo percorso abbandona il gruppo che alla fine del 1974 esaurisce la sua parabola. Questo passaggio avviene tramite l’invio in Veneto di clandestini esperti, come Micaletto e Ognibene, da parte della dirigenza con il compito di formare una regolare colonna brigatista.