7. La colonna e la città 1.Il mito della Resistenza
7.2. Pci e fabbriche: così lontani così vicini.
Legato al mito resistenziale è quello delle fabbriche ed entrambi pongono il problema del rapporto con il Pci: a Genova l’aristocrazia operaia, protagonista prima della resistenza a poi delle lotte sindacali, estremamente politicizzata è una componente forte della classe operaia con cui le Br non possono non confrontarsi.
267 Intervista a Marina Nobile, rilasciata all’a. il 05.08.2003. 268 Intervista a Sandro Rosignoli, rilasciata all’a. il 09.08.2003.
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Le Brigate Rosse, infatti, hanno sempre avuto, soprattutto a Genova, un interesse particolare per la fabbrica e uno degli obiettivi principali è proprio il radicamento tra gli operai e la realizzazione dell’intervento nei processi di cambiamento in atto nell’industria, un ambito in cui, una città come quella ligure con un Pci molto forte e una classe operaia estremamente sindacalizzata, significava andare allo scontro con le istituzioni del movimento operaio: l’apparentemente impossibile spiegazione dell’uccisione di Guido Rossa, operaio comunista, risiede in questo nodo che caratterizza fortemente le Brigate Rosse genovesi.
Le Br non riescono a raggiungere questo agognato obiettivo, rimanendo sostanzialmente al di fuori delle fabbriche e le simpatie di cui godono presso una parte dei lavoratori vanno scemando col passare del tempo, soprattutto con l’introduzione della pratica degli omicidi e dei ferimenti, a Genova molto numerosi e con il conseguente clima di intimidazione e di paura generato dalle azioni terroriste e dalla misure prese per la loro repressione, l’attitudine degli operai verso l’organizzazione vira verso la repulsione, fino ad arrivare con l’omicidio di Guido Rossa ad un rapporto di decisa contrapposizione. E tuttavia non è neanche corretto affermare che le fabbriche restino impenetrabili: dai documenti prodotti dalla sezione problemi dello Stato della Federazione provinciale del Pci risulta che la simpatia e il consenso di cui godevano i brigatisti presso gli operai genovesi risulta in alcuni momenti preoccupante per il partito. Del resto la stessa enfasi con cui si è affermato da più parti che l’assassinio di Guido Rossa segna l’inequivocabile distacco tra le Brigate rosse e la classe operaia, presuppone che qualche tipo di vicinanza – parziale, ambigua, controversa, fraintesa – ci sia stata269. Inoltre, l’interesse delle Brigate Rosse genovesi per la fabbrica non si esaurisce nella propaganda presso i lavoratori, ma comporta anche l’impegno di studiarne le dinamiche, i problemi, le prospettive, i meccanismi e le probabili evoluzioni; da qui la profonda conoscenza delle realtà industriali locali dovuta in gran parte dal contributo dei molti operai che in essa militavano.
Nelle testimonianze di molti brigatisti attivi in realtà industriali o provenienti da famiglie o città operaie, ricorre il riferimento constante alla fabbrica, cui si accompagna quello ad un legame con il Pci che segna le vite, nonostante si trasformi, nel corso degli anni Settanta, in un’ostilità sempre più aspra. Naturalmente anche in questo caso le variabili territoriali, generazionali e cronologiche giocano un ruolo non secondario: le leve più giovani di brigatisti, le colonne installate in realtà diverse dalle grandi metropoli industriali e le Br dei primi anni Ottanta avranno un rapporto con il partito comunista assai meno intenso e complesso di quello, rispettivamente, dei militanti più anziani, delle colonne del triangolo industriale e delle Br della prima metà dei Settanta.
269 Si vedano ad esempio le già citate dichiarazioni degli operai dell’Italsider dopo l’omicidio di Rossa nel
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Si pensi al gruppo di Reggio Emilia, costituito in gran parte di fuoriusciti dal partito comunista che a questa prima militanza faranno constante riferimento nel definire la propria identità politica270 che si richiamano in particolare a quel filone del Pci a cui appartenevano Secchia e gruppi come la Volante rossa, che volevano trasformare la resistenza in uno scontro di classe con l’obiettivo ultimo della rivoluzione socialista.
Alfredo Buonavita, militante nelle prime Brigate rosse, di origine piemontese attivo soprattutto a Torino racconterà a Luisa Passerini che “a livello emotivo, il partito era il partito e è rimasto sempre quello, questo anche quando poi sono entrato nelle Br, c’è sempre rimasto questo legame di tipo..sì, diciamo emotivo nel senso totale però all’epoca […] il partito era talmente limitativo e lo vivevi come una cosa che cercava di limitarti in ogni modo rispetto invece a questa esplosione che poi è avvenuta”271.
Tornando a Genova, si è già detto come persino i membri di un gruppo ripetutamente tacciato di confusione ideologica dal Pci, avessero avuto, nella stragrande maggioranza dei casi, una prima militanza comunista nella Fgci. Per Marina Nobile, figlia di un funzionario del Pci, il partito è ovviamente il principale punto di riferimento formativo e di socializzazione nell’infanzia e nella giovinezza, ma anche l’obiettivo polemico contro cui scagliarsi con maggiore accanimento, in un intreccio, in questo caso, drammaticamente legato alla propria biografia.
“Come punto di riferimento c’era innanzitutto la Fgci e la sezione del Pci. […] A otto anni sono andata in Germania dell’Est coi pionieri del pci, andavo a vendere l’Unità. […] Il Pci nega che le Br appartengano alla storia del comunismo perché non vuole assumersi le responsabilità storiche e culturali e così si è trasformato nel peggiore persecutore”272.
In ogni caso, al di là delle sensibilità e dei vissuti individuali, a Genova, il rapporto tra
l’organizzazione brigatista e le istituzioni del movimento operaio è fondamentalmente improntato allo scontro per l’egemonia nelle fabbriche. Il 60% degli obiettivi di azioni di ferimento e 42% delle vittime di tutte le azioni di fuoco compiute dalla colonna genovese sono dirigenti industriali o comunque figure rappresentative del mondo della fabbrica, mentre le forze dell’ordine
rappresentano il 24% e gli esponenti della Dc il 29% del totale delle vittime. Il Fronte delle Fabbriche è quello che svolge il lavoro teorico e di studio più approfondito e produce il maggior numero di documenti.
In conclusione, anche nei confronti del Pci, le Br hanno in generale, e quelle genovesi in particolari, un’attitudine simile a quella verso la resistenza: la contrapposizione, l’insofferenza, persino l’aperto
270 Cfr. P. Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, Bompiani, Milano, 2008
e A. Franceschi, Mara, Renato e io, op. cit.
271 Archivio Parri, Fondo Dota, Intervista a Alfredo Buonavita di Luisa Passerini, 1985. 272 Intervista rilasciata da Marina Nobile all’a. il 04.08.2003.
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conflitto, non eliminano mai completamente, dal punto di vista soggettivo di molti militanti, una sorta di legame primigenio, di imprimatur politico; nonostante la scelta eversiva e delle armi li porti poi molto lontano da questa partenza, talvolta ideale, talvolta molto concreta e addirittura iscritta nella vita biologica dei brigatisti.
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Capitolo 3 - Il Veneto.
Tra gli attori di un dramma storico (grande o meno grande che esso sia) non esistono, né possono esistere memorie condivise. Proporlo è un’illusione. […] Esistono soltanto memorie separate, fondate sulle esperienze contrapposte vissute in modo contrapposto. Severino Galante273
1. Il contesto