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Attentati, attività delittuose collaterali e reazioni istituzional

Un caso di studio: Siracusa

6.5 Attentati, attività delittuose collaterali e reazioni istituzional

La guerra di mafia non si limita all'eliminazione di coloro che ne sono protagonisti o di chi si fosse opposto alla loro ascesa, ma riguarda altre attività delittuose che, seppur meno eclatanti, risultano significative per inquadrare complessivamente la questione e ricostruire la storia criminale a Siracusa.

Si registrano due attentati incendiari, il 27 ottobre 1983 e l'8 novembre 1983, ai danni dell'autovettura di Breve Angela, moglie di Urso Agostino. E' la prima volta che viene perpetrata una inequivocabile azione mafiosa nei confronti di una donna e, per l'appunto, della compagna di un elemento del calibro di Urso Agostino. Il codice mafioso tradizionale non contemplava azioni criminose rivolte verso donne e bambini, cosa diversa, invece, si rileva a Siracusa. E' il periodo in cui anche nella nostra città si insedia il fenomeno criminale, contemporaneamente a quanto accade in altre provincie della Sicilia orientale, come Messina e Ragusa, smentendo la deposizione di Buscetta del 1984 che denominava le province su indicate con l'appellativo di “babbe”. Anche noi abbiamo adottato le stesse metodologie criminali della mafia antica della Sicilia occidentale, e lo stesso fenomeno sta espandendosi

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anche in Calabria ed in Campania. Gli attentati incendiari a Siracusa si verificano nel momento in cui prende il sopravvento Schiavone Salvatore, che si lamenta della mancata spartizione dei proventi delle bische clandestine, senza così fornire il supporto economico a sua moglie mentre esso si trova in stato di detenzione; da qui il gesto simbolico di colpire l'auto della moglie di Urso.

Altri fatti delittuosi si registrano nei confronti delle istituzioni e dei loro rappresentanti attivi nel contrasto alla criminalità.

La sottovalutazione generalizzata del fenomeno conferma che la città aretusea viene colta indifesa dinanzi all'attentato dinamitardo perpetrato nei confronti del Palazzo di Giustizia avvenuto poco prima della metà di febbraio del 1980. La “mala” siracusana avrebbe dato l'ennesima dimostrazione della sua efficienza. Nessuno in città, in testa magistrati e forze di polizia, si aspettava la mossa criminosa in questione. L'attentato sorprese tutti, poiché soltanto in pochi sapevano che si sarebbe svolta un'assemblea dei magistrati del Tribunale siracusano per esternare la solidarietà ad un collega che, nei giorni precedenti, era stato bersaglio di un attentato dinamitardo a scopo intimidatorio. Eppure quelli della malavita lo sapevano agendo con premeditazione e facendo esplodere l'ordigno proprio nell'ora in cui la riunione sarebbe finita ed i giudici avrebbero abbandonato il Palazzo. Poteva verificarsi una strage. L'episodio delinquenziale, dal sapore della sfida, può considerarsi la risposta ai provvedimenti decisi dalla Procura, con i quali erano stati trasferiti in altre carceri siciliane alcuni detenuti ritenuti, a ragione o meno, direttamente interessati ad azioni criminali verificatesi in precedenza. Sprovvisto di un servizio di sorveglianza, il Palazzo di Giustizia anche in altre occasioni era stato bersaglio di furti ed attentati intimidatori, ma i campanelli d'allarme non erano stati recepiti da nessuno. Nemmeno da coloro che avevano la responsabilità del Palazzo stesso. Sorprende, pertanto, l'ultimo episodio in senso cronologico, appunto perché era da prevedere. Magari qualcuno avrebbe preso le opportune iniziative, ma solo dopo il morto di turno, peraltro abitudine tutta italiana ed in linea anche con la legislazione emergenziale contro la mafia. Anche qualche giovane giornalista locale aveva colto il senso di un impegno inadeguato da parte delle istituzioni nel combattere la malavita siracusana. Non bastavano più le perquisizioni domiciliari, i controlli periodici, le denunce per guida senza patente. Occorrevano sistemi nuovi, più preventivi che repressivi, un incremento di investigatori, più pattuglie che presidiassero il territorio e più giudici inquirenti. La malavita siracusana sembrava prendere il sopravvento a discapito del quieto vivere, rendendo l'immagine di una città indifesa dalla legge.

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In risposta al mancato attentato al Tribunale, avvenuto l'11 febbraio 1980, giunge un documento votato dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e dei Procuratori Legali di Siracusa di solidarietà al giudice oggetto del bersaglio e di condanna del vile atto. Sicuramente gli autori volevano misurare la loro forza contro le istituzioni dello Stato, dando dimostrazione della loro potenza.

Un altro ordigno è fatto esplodere in città in data 8 maggio 1980 nell'abitazione del deputato regionale Santi Nicita, ex assessore alla Presidenza e personaggio politico di primo piano. La fortissima esplosione fu avvertita in tutta la città. Nessun ferito, soltanto grande panico. Gli ignoti attentatori avevano collocato la bomba ad alto potenziale sul balcone al primo piano dell'appartamento. L'indagine si preannunciò complessa, Nicita, era stato recentemente eletto segretario provinciale della Democrazia Cristiana ed aveva grande influenza su moltissimi enti della provincia28.

Il 5 maggio 1981 viene portato a segno da ignoti criminali un grave attentato incendiario contro le segreterie politiche degli On. Luigi Foti e Santi Nicita. Attorno a questa oscura vicenda alla quale non si riuscì immediatamente a dare una matrice ben precisa, ci furono tanti “no comment” da parte delle vittime e altrettante ipotesi avanzate dagli investigatori. Si pensò a terrorismo, violenza politica o vendetta, certo è che si trattava di professionisti del crimine che avrebbero potuto causare, con la loro azione delittuosa, delle vittime 29.

Il 26 maggio 1985, un ordigno esplode nella bottega di falegnameria il cui titolare è Modica Giovanni, padre di Fabrizio, poliziotto della Squadra Mobile di Siracusa. L'ordigno non provoca eccessivi danni, ma è chiara l'intimidazione all'agente impegnato in attività investigative.

Il 29 e il 30 maggio 1985, l'agente Scordino Antonio della Squadra Mobile rinviene accanto alla sua auto uno spezzone di miccia. Il giorno successivo un ordigno esplode danneggiando la parte anteriore della sua autovettura. Lo stesso 30 maggio l'agente Fabrizio Modica denuncia il furto della propria autovettura, che era parcheggiata sotto l'abitazione. Per i su detti fatti verranno acquisite prove certe. Modica Fabrizio e Scordino Antonio hanno dato un contributo determinante all'indagine a cui è seguito l'ordine di cattura a carico di Schiavone Salvatore ed altri appartenenti al suo gruppo, responsabili di associazione a delinquere di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti ed altri reati.

28 Da La Sicilia, 9 maggio 1980.

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Il 17 luglio 1987, ignoti, nella notte, lanciano un ordigno all'interno del recinto della casa circondariale che, solamente per un caso fortuito, non esplode. Il 24 settembre 1987 un altro attentato viene compiuto nella notte ad opera di ignoti che fanno esplodere un ordigno al largo dei pescatori, accanto al muro di cinta della casa circondariale. L'esplosione manda in frantumi alcune finestre di uno stabile. I due attentati sono da attribuire a Belfiore Salvatore. Tali attentati costituiscono un atto intimidatorio all'istituzione carceraria, in particolare agli operatori del carcere stesso per non aver acconsentito alle richieste dei detenuti circa l'assegnazione delle celle ai loro affiliati.

Il 2 maggio 1988, nel corso della notte, ignoti fanno esplodere un ordigno che sventra la saracinesca del deposito auto della Questura, danneggiando un'autovettura della Squadra Mobile. Tale atto costituisce una vendetta ed un’intimidazione nei confronti della Squadra Mobile colpevole di aver colpito duramente il gruppo di Urso Agostino con la cattura di Genovese Salvatore, elemento di spicco del clan ed amico di Urso, e responsabile di arresti di alcuni personaggi dello stesso gruppo, per i reati di estorsione continuata in pregiudizio alle prostitute operanti nel capoluogo. A seguito di tali operazioni di polizia al gruppo Urso viene a mancare la base logistica ed i proventi economici.

Fermezza, incredulità ma anche sbigottimento, così la città ha reagì alla sfida della mala. Smarrita, la città si svegliò frastornata dalla violenta esplosione che nella notte mandò in frantumi una delle saracinesche laterali dell’edificio della Questura. Le reazioni nel mondo politico e sindacale, non si fecero attendere. Prima tra tutte, quella del Sindaco, Fausto Spagna, che manifestò alle forze dell’ordine la solidarietà dell’Amministrazione Comunale, esprimendosi così: “La Polizia darà la giusta risposta. Non c’è dubbio che si tratti di un

attentato alla sicurezza della città, testimone anche dell’aggressività con cui opera ormai la nuova delinquenza locale. L’attentato di ieri notte conferma purtroppo le preoccupanti previsioni e le ipotesi formulate in tempi assai recenti”. Ma anche da parte delle altre forze

politiche, non mancarono le reazioni e le decise prese di posizione. A nome del Partito Comunista Italiano, il neo segretario provinciale, Salvo Baio, espresse “solidarietà al Questore

ed a tutti i dirigenti ed i lavoratori per l’inquietante attentato. Ritengo che l’episodio di ieri notte si inquadri nell’escalation della criminalità organizzata che ha ormai superato il livello di guardia, una situazione questa che necessita di una efficace mobilitazione generale”. Più di

una perplessità espresse il coordinatore provinciale della Democrazia Cristiana, Concetto Lo Bello: “Questo attentato fa comunque crollare nell’opinione pubblica la convinzione che

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le forze politiche e sindacali debbano stringersi attorno alle istituzioni soprattutto per assumere iniziative concrete che possano contribuire a porre fine a quanto sta avvenendo”.

Anche il mondo sindacale fu profondamente scosso. Il segretario provinciale della CGIL siracusana, Salvatore Raiti, sottolineò che “La virulenza dell’atto conferma che avevamo visto

giusto quando chiedemmo la presenza della Commissione Antimafia a Siracusa per dare sostegno all’azione intrapresa dal nuovo Questore, Dr. Cipolla, e dalle forze dell’ordine. Di fronte ad un atto come questo diventa quanto mai necessario uno scatto di unità tra le forze politiche e sociali per fronteggiare la penetrazione di fenomeni mafiosi nella nostra provincia”. In sintonia con il pensiero di Raiti anche Salvatore Ricciardini, segretario

provinciale della UIL, condannò “L’attentato che ha purtroppo confermato che la criminalità

organizzata anche nella nostra provincia ha alzato il tiro”.

La costante opera di prevenzione contro la malavita organizzata fu anche sottolineata dal prefetto dell’epoca, Dr. Cassisi, che elogiò, a tal proposito la Squadra Mobile di Siracusa. Nel corso della sua visita in Questura, il prefetto di Siracusa dimostrò di apprezzare il lavoro incessante dei dirigenti dell'Ufficio in questione al servizio dei cittadini e delle istituzioni democratiche. In particolare, ribadì il prestigio per la Squadra Mobile, e per la cosiddetta squadra “speciale” composta da un gruppo esiguo di uomini che si occupavano di attività investigativa sulla criminalità organizzata, per le recenti imprese portate a segno nel combattere il crimine e nel riuscire ad infliggere duri colpi alla malavita locale.

Con l’operazione di polizia, che, il 2 luglio 1988, condusse all’arresto di quattro noti imprenditori siracusani, prese corpo il convincimento del giudice Pennisi sulla penetrazione della delinquenza organizzata nelle attività imprenditoriali. “A Siracusa certi affari si

concludono e i lavori vengono eseguiti perché lo vuole la malavita organizzata. Noi certe cose le abbiamo da tempo sostenute e non abbiamo fatto altro che prendere atto di una certa realtà – continua il dott. Pennisi - siamo in ritardo a causa di precise volontà politiche che volevano si dicesse che a Siracusa la mafia non esiste”30. Lo stesso sostituto procuratore

Pennisi, il 2 maggio 1989, sosteneva che “nel capoluogo aretuseo si era in presenza di

una mentalità in forza della quale qualunque soggetto di rilievo che intende operare a livello politico o economico non può prescindere, per scelta o necessità, dalla instaurazione di rapporti con la delinquenza organizzata, la quale è in questa città in condizioni di fornire voti ai politici e protezione agli imprenditori. E questa è mafia”31.

30 Da La Sicilia, 2 luglio 1988.

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Le affermazioni del magistrato sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti suscitarono scalpore e, pronti, giunsero i commenti da più parti. “Si tratta di

fenomeni che fanno riflettere sul grado d’inquinamento e che danno la prova delle metastasi formatesi nel settore produttivo. La penetrazione nel tessuto sociale è più profonda di quel che si possa pensare. Il livello d’allarme è elevatissimo”32 aggiunse il sostituto procuratore Dolcino Favi che, nel marzo del 1983, invece, sosteneva che la mafia non sarebbe potuta arrivare a Siracusa in mancanza di una cultura mafiosa. A ciò si aggiunsero le dichiarazioni del giudice a latere in Corte d’Assise, Onofrio Lo Re, “Non

c’è da stupirsi se si scopre che anche a Siracusa vi sono propaggini del fenomeno mafioso, anche perché più volte, nelle nostre sentenze, è stato accertato l’accentuarsi del traffico della droga, l’esistenza di racket estorsivi, connubi tra gruppi malavitosi siracusani ed esponenti della malavita catanese, palermitana e messinese.”33.

Le relazioni tra i gruppi aretusei e la cosca dei Santapaola-Mangion trova riscontro nell’operazione condotta per diversi mesi dalla Squadra Mobile di Siracusa, in collaborazione con la Mobile di Catania e la Criminalpol, che sgominò, nel dicembre del 1988, un’organizzazione dedita al racket sui derivati della macellazione facente capo al noto boss catanese Giuseppe Ferrera, inteso “cavadduzzu”, personaggio di spicco della malavita siciliana, indicato quale braccio destro del boss latitante Nitto Santapaola. Vennero coinvolti anche insospettabili imprenditori etnei e siracusani. Si estorceva la pelle dell’animale appena macellato per poche centinaia di lire che veniva rivenduta alle concerie per migliaia di lire. Ciò avrebbe fruttato, nel corso degli anni, un grossissimo movimento di denaro non quantificabile, anche perché, oltre alla provincia siracusana, nel racket delle pelli da macellazione, erano coinvolte altre province dell’Isola.

Vennero così smentite le supposizioni del senatore siracusano Corallo, già componente di alcune Commissioni parlamentari d’inchiesta sul fenomeno mafioso, secondo il quale la mafia non avrebbe potuto attecchire nella città aretusea in assenza della cultura dell’omertà. La smentita arrivò puntuale anche dal ministro dell’Interno, Restivo, che, nel tracciare la geografia mafiosa della Sicilia, vi inserì a pieno titolo la provincia di Siracusa, indicandone anche i capi bastone e, in estorsioni e droga, le relative “specializzazioni”.

32 Da La Sicilia, 3 luglio 1988.

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