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Un caso di studio: Siracusa

6.1 La provincia “babba”

Siracusa costituisce un banco di prova importante per la sperimentazione delle tematiche in esame, un caso di studio in un’area periferica del sud del Paese. E’ soprattutto il rapporto tra l’Ufficio Territoriale di Governo e alcune Amministrazioni Pubbliche sui problemi della legalità uno degli aspetti forse più interessanti realizzati a Siracusa che mostra come tra prefetto e Comuni il rapporto è circolare.

Uno dei passaggi della ricerca si è concentrato sull’analisi di alcuni percorsi e progetti concreti intrapresi d’intesa tra le amministrazioni su indicate al fine di evidenziare il passaggio da una figura piramidale a quella di un cerchio, con un continuo scambio di informazioni e feedback. Esperienze dove ogni soggetto è equiordinato rispetto agli altri, alimentando una corrente di fiducia tra i diversi livelli di governo del territorio e assumendo una parte di responsabilità nella risoluzione delle questioni sul tappeto. In questa direzione sono arrivati segnali positivi: dalle normative regionali all’impegno di prefetture, che hanno raccolto le sollecitazioni di associazioni innescando processi virtuosi di coinvolgimento dei cittadini, dai Protocolli d’Intesa e dalle Carte degli Impegni alla costituzione di cooperative che lavorano sui beni confiscati e che hanno visto l’accompagnamento attivo da parte dell’UTG.

L’analisi delle azioni messe in campo dalla prefettura di Siracusa nel contrasto al crimine organizzato, sin dalla sua nascita in città, costituisce un caso di studio dal quale è possibile rilevare prassi istituzionali e consolidare l’accezione del prefetto come garante della legalità sul territorio. Pertanto, il lavoro di ricerca non può prescindere da un’indagine approfondita della realtà siracusana dal punto di vista del consolidamento della mafia.

Siracusa costituisce un’area d’insediamento non tradizionale della mafia, denominata, negli anni ’80, dal collaboratore di giustizia, Tommaso Buscetta, ascoltato in audizione in Commissione Parlamentare Antimafia, la provincia “babba”. La geografia della mafia e lo spessore dei fenomeni criminali nella provincia aretusea sono tutt’altro che trascurabili. Il fenomeno mafioso in città diviene evidente negli anni settanta, sebbene in passato Siracusa

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abbia sofferto altre tipologie criminali. E’ difficile individuare l’esatto momento dal quale si può parlare di mafia ma è certo che la provincia di Siracusa ha stabilito un primato, in negativo, a livello nazionale e, alla fine degli anni ’80, è una delle province con il maggior numero di morti ammazzati dell’intera meridione d’Italia in rapporto alla densità abitativa. Le operazioni giudiziarie confermano la varietà delle azioni criminose, che vanno dagli omicidi alle estorsioni, in un conflitto aperto per il controllo del territorio, fra vecchi boss e clan emergenti.

“La provincia siracusana, un tempo relativamente estranea alla presenza della

criminalità organizzata, da molti anni vede ormai attivi nel suo territorio diverse cosche mafiose che tuttavia mantengono una sostanziale reciproca non interferenza geografica, operando ciascuna in subaree distinte della provincia. Essenzialmente tali gruppi vengono ricondotti ai boss Nardo, Aparo, Attanasio e Trigilia, rispettivamente operanti nell’area Lentini-Carlentini-Francofonte, Floridia-Solarino, Siracusa e Avola-Noto. Rapporti di subalterna alleanza con i clan catanesi, in particolare con il gruppo di Santapaola, sono stati accertati nel corso delle numerose inchieste giudiziarie e dei vari processi celebratisi”23. Tutti

i suddetti capifamiglia sono attualmente agli arresti, in alcuni casi con condanne passate in giudicato, e l’attività delle forze dell’ordine e della magistratura ha pesantemente colpito anche numerosi affiliati ed esponenti dei rispettivi clan. Questi continuano tuttavia ad essere attivi, sia nei centri urbani che nelle campagne, ed anzi, la mancanza di episodi criminali particolarmente gravi, di fatti di sangue fra cosche, è la conferma di un’attività illegale che continua a svolgersi grazie ad un sostanziale accordo fra di esse che, quindi, assicura loro, complessivamente, maggiori incisività e pericolosità.

L’attività repressiva ha recentemente mostrato come taluni esercizi commerciali ed attività economiche, apparentemente “puliti” erano di proprietà o direttamente gestiti da personaggi malavitosi di spicco ed è plausibile ritenere che altre attività economiche e commerciali, recentemente insediatesi in territorio siracusano, possano presentare analoghi profili di illegalità. Le estorsioni, effettuate anche attraverso l’imposizione delle macchinette dei videopoker negli esercizi commerciali, si rivelano la principale fonte di controllo del territorio; altresì esse, con l’acquisito carattere del “porta a porta”, con il sistema del “pagare meno ma pagare tutti”, costituiscono una considerevole fonte di guadagno ed un danno crescente per l’economia.

23 Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari,

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Diverse le operazioni antimafia, tra le quali “Tauro”, “Ducezio”, “Gorgia”, “Terra Bruciata”, “Agamennone”, “Nemesi”, “Sant’Alfio”, “Conte Alaimo” disposte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, che hanno portato a decine di arresti azzerando interi clan mafiosi locali, a fronte delle quali corrisponde un esiguo numero di commercianti che si è recato dalle forze dell’ordine per denunciare i propri aguzzini. La colpa è anche delle istituzioni che non si costituiscono parte civile nei processi di mafia, lasciando, di fatto, soli gli imprenditori.

E’ interessante anche notare come, alla fine degli anni ’70, appartenenti a Cosa Nostra e al gruppo noto col nome di “banda della Magliana”, tentarono di mettere le mani sui lavori per il centro storico di Ortigia e il porto di Siracusa. Un’operazione speculativa che, a differenza di quelle avviate in Sardegna e altrove, non ebbe esito, ma che può dimostrare gli intrecci tra politica, urbanistica e criminalità a Siracusa.

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