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Etica e responsabilità del servizio pubblico

Il prefetto, le istituzioni e la legalità

4.6 Etica e responsabilità del servizio pubblico

L’impianto costituzionale riporta i principi dello Stato moderno, quali il riconoscimento dei capaci e meritevoli (art.34); il diritto di tutti i cittadini di accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza (art.51); l’obbligo di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore (art.54); l’accesso agli impieghi pubblici mediante concorso (art.97); l’imparzialità dell’amministrazione (art.97); l’obbligo per gli impiegati pubblici di agire al servizio esclusivo della Nazione (art.98). La storia della formazione di questi principi, per accertare se essi siano ancora funzionali ai poteri pubblici e meritino tuttora rispetto e il dibattito costituente sulle

19 Prefazione di Luigi Ciotti in Il piacere della legalità, J. Garuti, G.L.Falabrino, M.G. Mazzocchi (a cura di ),

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norme relative alla pubblica amministrazione fanno da apripista al tema dell’etica e della responsabilità.

Tosato sostenne che “affinché potesse essere garantito il rispetto del principio di

eguaglianza di tutti i cittadini, per la parte della Costituzione relativa al pubblico impiego, sarebbe necessario adottare una norma costituzionale, in cui fosse affermato che ai pubblici uffici non si può accedere che per concorso, salvo i casi in cui la legge non disponga diversamente”.

Mortati, invece, sostenne che una delle esigenze di includere nella Costituzione alcune norme sulla pubblica amministrazione era “quella di assicurare ai funzionari alcune garanzie

per sottrarli alle influenze dei partiti politici. Lo sforzo di una Costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti”20.

La scelta costituzionale sarà così efficacemente riassunta da Esposito: “Non da rapporti

di personale fiducia dei capi o del popolo, ma da esame obiettivo e spersonalizzato delle capacità, deve essere determinato l’accesso ai pubblici impieghi”21.

Separazione tra interesse privato e interesse pubblico, distinzione tra politica e amministrazione, scelta del personale in base a criteri obiettivi fondati sul merito, stabilità nelle funzioni e nell’impiego si articolano secondo criteri analitici, governati da regole predeterminate per far valere il principio dell’imparzialità nel pubblico impiego. Il riconoscimento del merito nell’accesso e nella carriera e la stabilità nella funzione sono strumenti essenziali per assicurare efficienza all’amministrazione, eguaglianza ai cittadini, equilibrio tra i poteri. Soprattutto alla luce della realtà complessa senza precedenti quale quella odierna, si richiede oggi la concreta consapevolezza di quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche. Ciò vale per i pubblici funzionari e, in modo particolare per i funzionari del corpo prefettizio, chiamati ad incarnare sul territorio l’unità della Repubblica, a rappresentare lo Stato e il Governo, ad essere garanti dell’esercizio delle libertà civili e sociali in un ambito di uguaglianza e di solidarietà, in un quadro di relazioni orizzontali in cui le regioni, le province,

20 I due interventi sono tratti dalla seduta del 14 gennaio 1947 della Seconda Commissione per la Costituzione,

Prima sezione.

21 C. Esposito, Riforma dell’amministrazione e diritti costituzionali dei cittadini, in La Costituzione italiana.

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gli stessi comuni, ciascuno nel rispetto delle proprie competenze, hanno pari dignità come luoghi di decisione democratica al servizio dei cittadini.

Sono proprio i tempi difficili ad esigere la forza e il coraggio di una cultura dei valori capace di sostenere le sfide della società di oggi e più ancora di quella di domani, ad esigere una presa di coscienza dell’urgenza di vivere un’etica nei suoi fondamenti costitutivi. Da qualche tempo si avverte in maniera evidente la complessità dei cambiamenti istituzionali fondati su una nuova visione di governance come governo orizzontale dei bisogni e delle risposte da dare ai bisogni. La cultura dell’amministrazione dell’Interno ha cominciato a pensare e a chiedersi se fosse stata adeguatamente sviluppata una riflessione sull’etica, sui suoi valori in grado di accelerare i processi di consapevolezza della necessità di riscoprire un patrimonio antico fatto di certezze, sulle quali ricostruire in chiave attuale, con la duttilità che ha sempre contraddistinto il corpo prefettizio, fedele ad una missione inconfondibile, gli orientamenti comportamentali. Non si è trattato di ritrovare i cardini di un’etica generale, ma di capire, sentire, riscoprire e vivere i sentimenti di un’antica etica professionale tracciata in oltre duecento anni di esperienza amministrativa, riaffermando l’idea di una deontologia superiore come complesso di doveri ispirati e attraversati da una serie di valori precisi, tipici di un corpo di funzionari; di valori che riconoscono un’identità, un modo di essere senza cui non è possibile un fare e un modo di fare; di valori riconoscibili e riconosciuti per scelta e non per imposizione, da rispettare secondo le regole dell’onore, da far rispettare con rigorosa disciplina. Sui valori e sull’identità del corpo prefettizio, chiamato progressivamente a compiti sempre impegnativi, a fare amministrazione generale, cioè amministrazione di sintesi, di rete, di raccordo istituzionale delle varie componenti, di cuore intelligente, si innerva tutto il territorio al quale dà impulsi e dal quale riceve impulsi. I risultati di una ricerca condotta dal Censis, nel settembre del ’96, evidenziano la capacità del ministero e dei prefetti come essenziale nel garantire la coesione, risorsa indispensabile per affrontare i problemi complessi della società, i quali possono essere risolti se vi è un impegno alla sicurezza comune ma, soprattutto, se cresce e si mantiene nelle comunità locali la possibilità di fare integrazione, piena cittadinanza, corretta dinamica dei bisogni e dei diritti collettivi. Fu in quegli anni che la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno diventò un laboratorio di pensiero per teorizzare un’idea nuova dell’amministrazione, rispettosa della tradizione ma proiettata verso il futuro, un futuro che ha visto e vedrà la funzione di amministrazione generale diventare l’asse sempre più essenziale della funzione di governo del Paese, perché in grado di monitorare, nella frammentazione del tessuto istituzionale, gli interessi pubblici generali, sollecitandone la cura e

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pretendendo dalle varie istanze territoriali il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

E’ di quegli anni la prima riflessione sul bisogno di essere all’altezza delle tradizioni di fronte alla riscoperta del prefetto, di fronte all’esaltazione della specifica identità prefettizia, di fronte a quanto si era chiamati a fare in un’amministrazione che si confermava e pretendeva di essere amministrazione di garanzia dell’esercizio dei diritti di libertà e “nuovo motore” della coesione istituzionale, giuridico-ordinamentale, territoriale e sociale. Il segreto del funzionamento corretto dei grandi Corpi e delle grandi istituzioni pubbliche stia proprio nell’etica, scienza e scelta di valori che motiva e rafforza, che genera vigore e responsabilità.

Il metodo etico disciplina i punti nodali del percorso da intraprendere per vivere quel tipo di identità, per sentirsi con buona ragione parte integrante di un corpo di funzionari cui è affidata la funzione di amministrazione generale, il che significa anche attuare le politiche della sicurezza, della difesa e della protezione civile, della tutela del funzionamento della democrazia, del sostegno e del supporto di ogni autonomia territoriale e funzionale, coordinando, raccordando, indirizzando, armonizzando, informando, comunicando, semplificando e articolando, ma, nel contempo, salvaguardando l’unità dell’ordinamento repubblicano. Compaiono quindi, in questa sistematica valoriale costruita per l’identità e la funzione prefettizia, l’etica del bene comune, l’etica della legalità, l’etica della libertà uguale e solidale, l’etica della coesione, l’etica della responsabilità.

La responsabilità sta nel farsi carico delle conseguenze del proprio agire che è ispirato dai valori e deve produrre esiti positivi nel pubblico interesse. L’etica del bene comune rappresenta la sostanza della missione essenziale del corpo prefettizio, quella della cura dell’interesse generale, condizione necessaria per comprendere quale sia la vera legittimazione alla presenza nella società e nelle istituzioni dei prefetti. Il significato di bene comune si fa risalire addirittura a Platone, il quale affidò ai “guardiani” la funzione del comando, perché solo loro sapevano quale fosse il bene della Città. E così anche Aristotele, che pose nel massimo rilievo l’importanza del bene comune per la teoria del diritto e dello Stato. San Tommaso d’Aquino affermò che la nozione stessa del diritto

postula quella del bene comune, perché ogni legge deve o dovrebbe avere quello come obiettivo. Ed Hobbes elencò il bene comune tra i requisiti per giudicare la bontà delle leggi.

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Etica e responsabilità rappresentano un binomio essenziale cui ispirare i comportamenti, i pensieri, il modo di essere nell’amministrazione dell’Interno e nella Repubblica. La cultura dei valori è così il primo degli elementi del sistema prefettorale, un elemento da approfondire e da conoscere, con riguardo proprio ai valori che esso deve esprimere e a cui occorre ispirarsi. Si tratta di una cultura che pone alla sua base l’etica intesa come una morale laica. Una cultura basata sui comportamenti distintivi, ispirati a valorizzare la propria vita nell’interesse degli altri, dei cittadini.

Tale definizione consente di riconoscere una identità, quella del funzionario di governo e di amministrazione generale. La capacità di attivare una rete tra i vari ruoli presenti nella moderna società, indispensabili per tenere insieme il tessuto sociale e la coesione sociale. Coesione sociale alla cui tutela è chiamato in primis proprio il prefetto e con lui tutta la schiera di funzionari della carriera prefettizia o della carriera di governo e di amministrazione generale. Adempire convenientemente a questa missione di presidio della coesione sociale da parte del corpo prefettizio significa sviluppare un’attitudine alla conoscenza e all’analisi previsionale, a quella che viene definita l’intelligence prefettorale, cioè la capacità di leggere la realtà nelle sue varie espressioni, rafforzando quella funzione di ascolto dei cittadini e di comprensione del territorio in cui si opera, ponendosi come soggetti capaci di riferire al Governo centrale i bisogni, i problemi e le possibili soluzioni. I rapporti dei prefetti dovrebbero servire essenzialmente a questo. Si viene così a definire, in maniera compiuta, la funzione di rappresentanza generale, cioè di rappresentanza degli interessi generali. Una rappresentanza, non solo dello Stato-apparato, ma anche dello Stato-comunità, il che nobilita e mobilita il sistema prefettorale per accompagnare la crescita dei tanti soggetti presenti sul territorio.

Proprio a questa visione di etica dei valori e, nel caso specifico dei presupposti fondanti della vita dei funzionari della carriera prefettizia, viene ricondotta la responsabilità come elemento che consegue all’accettazione di un impegno assunto e di una scelta effettuata di servire le istituzioni democratiche. Ciò implica necessariamente la consapevolezza del proprio agire, dei propri comportamenti, nel senso di sentirsi chiamati a rispondere davanti alle stesse istituzioni e agli stessi cittadini, del rispetto di quei valori che vengono assunti come fondanti.

I primi due elementi valoriali di questa eticità del funzionario della carriera prefettizia a cui ispirare in primis il proprio agire di servizio sono l’interesse generale e la terzietà. L’interesse generale può essere agevolmente individuato sapendo che esso è il contrario dell’interesse particolare, che esso coincide con il bene pubblico ben diverso da quello privato, che esso

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rappresenta il bene comune differente da quello individuale. La terzietà è strettamente legata all’interesse generale. Essa è significativa dell’essere al di sopra delle parti, di non essere né di apparire parte.

A ciò si aggiungono altri due elementi valoriali che sono una diretta conseguenza del canone della responsabilità: il senso del dovere e della disciplina, espressione concreta di ciò che colleghiamo al senso dello Stato, garante dell’interesse generale cui deve ispirarsi l’eticità di ogni pubblico funzionario, e in particolare quella del funzionario del corpo prefettizio. Senso dello Stato, da cui derivano i valori della fedeltà e della lealtà nei confronti delle istituzioni democratiche e dei propri rappresentanti, dove fedeltà sta per costanza di azione e di principi, mantenimento di una promessa, di un giuramento e di devozione a questo giuramento, e dove lealtà, invece, sta per schiettezza, onestà intellettuale, trasparenza, rispetto di regole speciali, fatte proprie dalle élite. Regole speciali che vigono per i grandi Corpi amministrativi come il corpo prefettizio.

Fedeltà e lealtà che poi incarnano nel modo migliore l’onore e l’orgoglio di appartenenza, quel sentirsi, cioè, parte di un gruppo dirigente del Paese a cui è stata affidata la missione di curare l’interesse generale e di proteggere la coesione sociale. Una missione che per la sua importanza presuppone ed esige quella che definiamo una “professionalità” costante, necessaria dall’inizio alla fine del percorso di carriera, una professionalità fatta di competenze, cioè di capacità di misurare attentamente l’esercizio delle funzioni connesse al ruolo da svolgere nell’amministrazione e nella società.

Per un funzionario di governo e di amministrazione generale, professionalità è ancora qualcosa di più impegnativo, perché è capacità di essere agenti di cambiamento, così come avviene da duecento anni. I prefetti sono chiamati a trasmettere il nuovo, a facilitare il cambiamento, per rinnovare in maniera democratica la vita delle istituzioni che non possono, in una democrazia moderna, stare ferme, ma devono costantemente adeguarsi alle esigenze dei cittadini. Obiettivi che possono essere tutti ricompresi nella espressione che vede l’amministrazione garante dei diritti civili e sociali costituzionalmente tutelati. Ciò significa affermare la supremazia dei valori della Costituzione repubblicana, valori di dignità e di rispetto della persona umana, valori di libertà e di democrazia, valori di partecipazione e di condivisione. Del resto l’amministrazione dell’Interno è il dicastero degli affari interni dei “cives”.

L’etica evidenzia, soprattutto, il profilo dei doveri e degli stili di comportamento. L’etica pubblica, quella professionale, quella di un corpo di funzionari, l’etica cioè del corpo

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prefettizio. Quando si individua questa morale laica e questa serie di comportamenti che sono assunti come identificativi dell’appartenenza ad un certo gruppo di persone e ad un certo tipo di società, si afferma la cultura dei valori. L’etica si contraddistingue così per il suo profilo valoriale e gli stili di comportamento devono essere ispirati da valori condivisi. Un’etica professionale valoriale è, dunque, un’etica di professionisti che fondano la loro identità e il loro modo di agire e di essere su ciò che vale. Questa etica e questo modo di essere riguardano tutti coloro che vivono, ai vari livelli, nelle diverse funzioni dell’amministrazione dell’Interno, così come delle amministrazioni pubbliche dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni. L’etica pubblica è allora un modo di essere e di comportarsi, ispirato dall’interesse pubblico e generale, dall’interesse per il pubblico, il che non significa che l’interesse privato o quello particolare non possono o non debbono avere un loro valore personale.

Criterio ispiratore dell’azione del funzionario pubblico deve, quindi, essere il perseguimento dell’interesse pubblico generale e l’etica professionale è ispirata dal servizio alla Comunità nazionale.

L’etica del servizio pubblico è basata sulla mediazione, sulla conciliazione, sulla sintesi per garantire quel quadro di unitarietà non solo dell’ordinamento, ma del territorio e di coloro che vivono sul territorio. In un sistema che si avvia ad essere ispirato dal modello federalista, il prefetto è così soprattutto il garante della coesione territoriale, sociale e dell’ordinamento in generale.

Il professor Veca, allo scopo di comprendere quali fossero i valori fondanti dell’essere funzionari dell’amministrazione e i suoi valori di riferimento, parte dal convincimento di riscoprire una serie di insegnamenti antichi che hanno ispirato i primi duecento anni di vita di questo Corpo e dell’amministrazione dell’Interno e hanno consentito di legare le vicende storiche di questa amministrazione a quelle del Paese.

Un’espressione del professore Sabino Cassese afferma che il prefetto, tutto il corpo di funzionari che è intorno a lui, comprendendovi anche i funzionari della carriera di ragioneria e gli altri impiegati che lavorano sia sul territorio nelle prefetture che al centro negli uffici ministeriali, deve essere un risolutore di problemi della gente. Cassese adopera una frase molto significativa, parla di “problems shuther”, cioè di qualcuno che riesce a rendersi conto che i problemi non vanno affrontati ponendo altri problemi ma cercando di mettersi nell’ottica della risoluzione di essi. Questa è etica di servizio. Mettersi in condizione di risolvere i problemi della gente vuol dire servire la Comunità, non essere serviti da essa. Ciò non è teoria dell’etica

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ma è pratica dell’etica. Significa saper affrontare i problemi e saper predisporre ogni risorsa in questo senso. Ritorna così l’antica vocazione del funzionario dell’amministrazione civile dell’Interno: servire nell’interesse generale.

In questo quadro vi sono alcuni pilastri da solidificare e da proteggere che fanno riferimento alla coesione territoriale, sociale, giuridico-ordinamentale e istituzionale. Ai prefetti compete un’attenta azione di vigilanza, promozione, collaborazione affinché si attui la governance fra tutti i soggetti preposti ai vari livelli di governo del territorio, affinché vengano rispettati ruoli e competenze per evitare confusioni di attribuzioni, servendosi anche delle Conferenze Permanenti, queste ultime possono considerarsi architravi del sistema di relazioni, risorse per fare rete, organi capaci di far crescere nelle stesse comunità territoriali i valori. Al corpo prefettizio è richiesta una forza persuasiva che discende spesso dall’abilità di uno stile di primazia cooperativa in grado di manovrare la tessitura istituzionale senza espropriare le competenze di ogni soggetto coinvolto.

Resta fermo che la diversità e le autonomie sono una ricchezza. Occorre però che questa frammentazione venga ricondotta ad unità. Ecco perché in questa complessità, v’è l’esigenza di un filo conduttore che è quello della fedeltà al significato storico della presenza dell’amministrazione dell’Interno. L’amministrazione è ispirata da un filo storico valoriale, è un’amministrazione di garanzia dei diritti civili, cioè dei diritti dei cives, ma pure dei diritti sociali, il che consente di abbracciare libertà ed uguaglianza nel senso di rendere la libertà “uguale” e “solidale”.

In questa costruzione valoriale si innesta così l’etica della legalità e del suo rispetto. E’ un tema delicato perché investe le fondamenta dello Stato di diritto e di una democrazia moderna, esso ripropone la questione della fiducia nelle pubbliche amministrazioni e nei suoi rappresentanti che, spesso negli ultimi decenni, si sono trovati al centro di polemiche. La legalità non è osservanza delle forme ma della sostanza costituita dagli interessi pubblici generali garantiti dalla legge. L’etica della legalità diventa così l’anima di un’azione amministrativa rispettosa del principio di democraticità proclamato dalla Costituzione repubblicana. Al corpo prefettizio spetta il compito di farsi carico della difficile lettura della complessità senza rinunciare al valore della legalità, che è un valore costituzionale unitamente al coltivare la filosofia delle reti che è fatta di dialogo paziente, di leale collaborazione e di saggezza istituzionale.

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4.7 I Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica

L’attenzione ai nuovi problemi di sicurezza delle città e alle nuove politiche di sicurezza urbana è, in Italia, assai recente e risale al 1992-1993. Uno dei primi strumenti di integrazione delle politiche di sicurezza è stato il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Questo Comitato, costituito per effetto della legge di riforma della Polizia n. 121 del 1° aprile 1981, è organo ausiliario di consulenza del prefetto, che lo presiede, per l’esercizio delle sue attribuzioni di autorità provinciale di pubblica sicurezza ed era originariamente composto dal questore e dai comandanti provinciali dell’Arma dei Carabinieri e del corpo della Guardia di Finanza. Si trattava in pratica dello strumento attraverso il quale il prefetto avrebbe dovuto coordinare l’attività delle forze nazionali di polizia sul territorio. La stessa legge faceva poi cenno alla possibilità per il prefetto di

“convocare i responsabili delle amministrazioni dello Stato e degli enti locali”, il che

rendeva del tutto evidente la posizione subordinata e marginale degli enti locali nelle politiche di sicurezza.

Le modifiche intervenute nei primi anni ’90 nella domanda di sicurezza da parte dei cittadini, spinge sempre più spesso prefetti e sindaci a consultarsi sulla consistenza dei problemi e sulle misure da adottare, con la conseguenza che in molte città la presenza dei sindaci dei capoluoghi diventa, da sporadica, a regolare. E’ così che il Comitato, oltre che essere il luogo di coordinamento delle forze di polizia, diventa anche il luogo del confronto, se non della concertazione, fra prefetto e sindaco.

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