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Educazione della legalità come prassi di partecipazione democratica

Il prefetto, le istituzioni e la legalità

4.4 Educazione della legalità come prassi di partecipazione democratica

Di educazione alla legalità si comincia a parlare soltanto agli inizi degli anni ’90, con una singolare convergenza tra laici e cattolici, segnata da una Conferenza organizzata dal ministero dell’Interno, nell’estate del 1991, e dal documento della CEI del 4 ottobre 1991 “Educare alla

legalità”, che partiva dalla constatazione di una “caduta del senso della moralità e della legalità nelle coscienze e nei comportamenti di molti italiani”, una vera e propria eclissi della

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legalità che poneva l’esigenza di un suo recupero. I vescovi fanno sentire la loro voce denunciando, tra gli altri, l’esplosione della criminalità dei colletti bianchi, le confuse e deboli risposte istituzionali, considerando la legalità il fulcro della lotta alla corruzione e contro le mafie. Siamo agli inizi di Tangentopoli.

Negli anni precedenti, l’educazione alla legalità si era diffusa sotto altri nomi. Il 4 giugno 1980, a pochi mesi dall’assassinio di Piersanti Mattarella, la Regione Sicilia emana una legge dal titolo Provvedimenti alle scuole siciliane per contribuire allo sviluppo di una coscienza

civile contro la criminalità mafiosa. Analoghe leggi venivano emanate dalle Regioni

Campania, nell’85, Calabria, nell’86, Toscana, nel ’94, Liguria e Marche, nel ’95. La scuola diventa un’istituzione essenziale per implementare la legalità perché è la sede nella quale si trasmettono i valori tra le generazioni, si forma la coscienza dei cittadini, si comunicano i saperi costitutivi della identità nazionale. L’educazione alla legalità assume una dimensione trasversale all’interno del percorso formativo e diviene parte organica delle attività curricolari, pervadendo l’impianto delle discipline di studio che costituiscono lo specifico del costume democratico. Una configurazione ampia e articolata quella dell’educazione alla legalità, non riducibile alla pura dimensione conoscitiva, che avvia una vera rivoluzione e “si pone non

soltanto come premessa culturale indispensabile ma anche come sostegno operativo quotidiano, poiché soltanto se l’azione di lotta sarà radicata saldamente nelle coscienze e nella cultura dei giovani, essa potrà acquisire caratteristiche di duratura efficienza, di programmata risposta all’incalzare temibile del fenomeno criminale”. Alle mafie bisogna

rispondere con “un’azione altrettanto organica e continuativa”. E’ quanto riporta la Circolare n. 302 sull’Educazione alla legalità, emanata dal ministero della Pubblica Istruzione, il 25 ottobre 1993.

Sono gli anni successivi al periodo stragista di Cosa Nostra, in cui cadono magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, sacerdoti. Attentati dinamitardi si registrano nel 1993 a Roma, Firenze e Milano. Questa ondata di violenza sconvolge l’intero Paese, paura e sconforto si diffondono ovunque. “Cosa Nostra assiste soddisfatta all’assoluto sbandamento dello Stato.

Dinanzi a quei corpi ridotti a tizzoni, non si sa da dove incominciare”18.

Segue la fase del riscatto nella quale il nostro Paese riesce ad opporsi, gettando le basi di una grande mobilitazione che, se dapprima sfocia in una vera e propria ribellione di popolo,

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dopo si darà contenuti, metodo, continuità e progettualità politica, con interventi mirati al contrasto alle mafie. Le istituzioni trovano un momento di formidabile unità, capiscono che sulla mafia non ci si può dividere, trattandosi di una minaccia per la sopravvivenza stessa delle istituzioni. Da questa compattezza scaturiranno nuovi efficaci strumenti di contrasto. La convinzione che la lotta alla mafia per essere efficace deve coinvolgere tutta la società civile impegnata a diffondere quella cultura della legalità che si pone come principale anticorpo alle mafie diventa, quindi, patrimonio collettivo. Si moltiplicano gli interventi in linea con questa tesi.

Nel ’93 e nel ’94 la Commissione Parlamentare Antimafia approva due importanti relazioni, Mafia e politica e Insediamenti e infiltrazioni di soggetti e organizzazioni di tipo

mafioso in aree non tradizionali.

Nel ’95 nasce “Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, che costituirà uno degli esempi di continuità nell’attenta lettura dei fenomeni criminali e nell’impostazione di un programma di lavoro antimafia che, in vari ambiti d’intervento, raccorda piccole e grandi realtà, dal nord al sud della Penisola, unite contro le mafie, a sottolineare che il contrasto alla criminalità ha carattere nazionale. L’impegno dell’associazione sul tema del riutilizzo dei beni confiscati ai mafiosi coincide con la sua stessa nascita. Un’imponente petizione popolare attraversa tutta Italia, dalla fine del ’94 a tutto il ’95, e porta la “firma” della società civile. Non era mai successo nella storia della Repubblica che un milione di cittadini firmassero a sostegno di una legge. Una scelta chiara, precisa e inequivocabile: battere la mafia attaccando la sua economia. Confiscare, attraverso l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine, i beni ai mafiosi e restituirli ai cittadini, mediante i Comuni e le associazioni. Da tempo infatti il movimento antimafia, sia a livello istituzionale che sociale, aveva compreso l’importanza di colpire i gruppi criminali sul piano economico, anche attraverso l’utilizzo dei beni confiscati come frutto dell’azione criminale. Il valore della legge n. 109/1996 risiede nell’approccio positivo alla strategia di contrasto, per cui il bene confiscato non è più soltanto sottrazione di risorse alla criminalità organizzata, ma occasione di sviluppo e di crescita. Uno sviluppo che parte dal territorio, lo stesso territorio soggiogato dal controllo mafioso.

Ad iniziativa del sindaco del Comune di Savignano sul Panaro (MO), nel gennaio 1996, si costituisce “Avviso Pubblico – Enti Locali e Regioni per la formazione civile e contro le

mafie” a seguito della presa di coscienza che la dimensione del fenomeno non era più

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nazionale, seppur con configurazioni d’assetto completamente diverse. Tra gli altri, uno degli scopi dell’associazione è di mettere in rete gli Enti Territoriali per favorire lo scambio di esperienze e informazioni contro le mafie e promuovere iniziative dirette allo studio di procedure che consentano agli stessi di agire con criteri di piena trasparenza, premiando la legalità negli appalti, nella fornitura di pubblici servizi e nell’economia in genere.

Nel dicembre 1994 la Regione Toscana costituisce il Centro di documentazione Cultura

della legalità democratica, struttura pubblica di raccolta, produzione, organizzazione,

divulgazione di materiali a disposizione di singoli cittadini e di soggetti collettivi, per contribuire alla conoscenza dei fenomeni di criminalità e di illegalità diffusa; per sollecitare e sostenere progetti educativi improntati alla convivenza civile; per favorire la positiva interazione dei diversi soggetti pubblici e privati operanti sul territorio.

Nel corso della XIII legislatura, nel settembre 1997, per la prima volta nella storia del Parlamento italiano, la Commissione Parlamentare Antimafia istituisce un apposito Sportello

per la scuola e il volontariato al fine di rispondere alla domanda di legalità proveniente dalla

società civile impegnata a costruire cultura di convivenza. La Commissione sceglie di riconoscere e valorizzare come suo interlocutore tutto quel lavoro di seminagione di cittadinanza che mondo della scuola e dell’associazionismo hanno condotto negli anni, costituendo spesso quella spina nel fianco delle istituzioni. Si fornisce, pertanto, una serie di servizi, documentazione aggiornata, consulenze progettuali per l’elaborazione di percorsi formativi per studenti, docenti e personale delle varie agenzie educative.

Il 5 giugno 1998 viene stipulato un Protocollo d’Intesa fra il ministero della Pubblica Istruzione, la Commissione Parlamentare Antimafia e il Dipartimento per gli Affari Sociali. Nella Circolare che ne diede notizia veniva ribadita la necessità di “una diffusa educazione alla

legalità, intesa come elaborazione di una autentica cultura dei valori civili, presupposto per contrapporsi a tutti i fenomeni di criminalità”.

L’anno successivo verrà siglato un Protocollo d’Intesa tra l’associazione LIBERA e il ministero della Pubblica Istruzione per coordinare e rafforzare l’intenso lavoro di educazione alla legalità avviato nelle scuole d’Italia, mediante la stretta collaborazione nell’organizzazione di attività di sperimentazione e ricerca, di corsi di aggiornamento, nell’elaborazione di sussidi didattici, nella creazione di reti di scuole e nel monitoraggio e censimento delle esperienze intraprese.

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Nel 2001 viene stipulato un Protocollo d’intesa tra la Direzione Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale della Campania e l’Assessorato all’Istruzione, Formazione e Cultura della medesima Regione, al fine di rilanciare il ruolo del Centro di Documentazione contro la camorra e di istituire un gruppo di supporto alla programmazione di attività ed iniziative sul tema della cittadinanza attiva.

Il nuovo testo di legge, approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana l’8 novembre 2008, Misure di contrasto alla criminalità organizzata, recupera un ritardo storico nella lotta a Cosa nostra, superando l’idea che la lotta alla mafia sia un’emergenza del nostro Paese. Laboratori di educazione alla legalità a scuola, istituzione di zone franche per la legalità, rimborso degli oneri fiscali agli imprenditori che denunciano richieste di estorsioni, obbligo della Regione di costituirsi parte civile in tutti i processi di mafia per fatti verificatisi nel proprio territorio, agevolazioni per la fruizione sociale dei beni confiscati alla mafia, al fine di favorire la migliore utilizzazione degli stessi beni alle cooperative sociali, alle associazioni, alle comunità di recupero, alle cooperative dei lavoratori dipendenti dell'impresa confiscata e ai Comuni mediante fidejussioni prestate dalla Regione, sono solo alcune delle novità previste dalla normativa votata all’unanimità da maggioranza e opposizione.

Bloccare le infiltrazioni della mafia nella Pubblica Amministrazione attraverso una rotazione programmata dei burocrati negli uffici è quanto proposto dal Procuratore Capo della Repubblica di Palermo, Messineo, in occasione dell’anniversario della morte di Pio La Torre, il 30 aprile 2009. E’ una battaglia contro lo spoil system, ossia la facoltà riconosciuta alla parte politica vincitrice nella competizione elettorale di collocare persone di fiducia nei posti chiave dell’apparato burocratico, quella invocata da esperti di diritto amministrativo e di antimafia per rendere più difficile la vita alla mafia. Inoltre, occorrono una maggiore semplificazione legislativa, rafforzare i controlli sul rendimento dei burocrati e sulla legalità degli atti e, anche, il ritorno ai concorsi pubblici, segno di garanzia, pubblicità e meritocrazia, per far ingresso nella Pubblica Amministrazione, tutte medicine indispensabili per curare una malattia cronica, la logica del favore e dell’abuso. In questa ottica si inserisce l’annuncio di redigere un codice

antimafia per le amministrazioni regionali, un complesso di norme vincolanti atte ad

impedire ogni forma di infiltrazione mafiosa.

Un codice antimafia che renda trasparente la Regione e una riforma della Sanità che spazzi via zone grigie e clientelismo, per renderle più vicine alle imprese e alla gente, è quanto

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proposto dal presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello. La norma, qualora venisse elaborata, non si sovrapporrebbe alle leggi e ai regolamenti esistenti, ma intensificherebbe l’azione in tre direzioni. La Regione dovrebbe dotarsi di regole che permettano una maggiore trasparenza dei propri amministratori e funzionari, assicurando l’ente anche quando esso assume il ruolo di inquirente di beni e servizi sul mercato, laddove non è sufficiente il certificato antimafia rilasciato dalle Camere di Commercio per decidere con chi avere rapporti. Altresì occorre trasparenza nelle procedure interne ed attivare meccanismi premiali per chi non paga il pizzo. Negli ultimi anni, la sanità in Sicilia è stata un terreno di scontro dove sono emerse compromissioni e poca visibilità. Un buon inizio potrebbe essere costituito dal monitoraggio del sistema delle forniture in quel settore e della scelta dei manager di ASP e ospedali e di primari, tenendo conto delle reali capacità più che dell’appartenenza politica.

Il panorama fin qui descritto ribadisce la necessità di agire in un orizzonte non di straordinarietà ma di quotidianità, andando oltre quella reazione emotiva alla violenza stragista della mafia e organizzando, invece, la prevenzione sistematica e il contrasto ad essa.

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