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Un caso di studio: Siracusa

6.2 Gli anni ’80: l’ascesa mafiosa

Le prime avvisaglie di una degenerazione del fenomeno delinquenziale in città e in provincia risalgono a qualche anno prima della guerra di mafia (anni ’80), e sono lontane nel tempo e l’Ufficio della Squadra Mobile di Siracusa, a suo tempo, ne diede ampia dimostrazione. La generale diffusione del crimine, condotto con sistemi di pianificazione degni dei migliori manager, ha prosperato, trovando terreno fertile nelle fasce di disoccupazione e di emarginazione e linfa vitale nei settori economico-commerciali da spremere il più possibile, fino ad infiltrarsi e mimetizzarsi in essi.

La contiguità con il tormentato territorio di Catania, di più consolidata presenza, anche se relativamente recente, di Siracusa, e gli accertati legami tra esponenti di primo piano della provincia etnea e malavitosi locali, hanno dimostrato che era falsa la profezia dei pubblici opinionisti, avvocati, giudici, politici, amministratori locali, secondo cui la mafia non avrebbe trovato terreno fertile nel nostro territorio in assenza di un “certo tipo di mentalità”, che invece era propria della Sicilia Occidentale.

I tratti della nuova realtà di una delinquenza tendenzialmente diffusiva e organizzata, la sua struttura e la capacità di penetrazione, anche in ambienti di solito considerati immuni da inquinamento malavitoso, vengono delineati dalla sentenza del 20 aprile 1985 relativa al primo processo di mafia istruito a Siracusa. E’ certo che il serrato succedersi di tanti efferati crimini,

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eseguiti da killer e commandos, pressoché abili nelle esecuzioni e precisi nella selezione

“delle imprese e nella scelta degli obiettivi, non può considerarsi effetto di risoluzioni criminose concertate di volta in volta e tra loro slegate, quanto invece la espressione di una cruenta contrapposizione tra gruppi rivali per evidenti ragioni di predominio e di sopravvivenza. L’apparire e il moltiplicarsi di inquietanti segnali dal 1978 erano diretti al progressivo processo di aggregazione e di rafforzamento della malavita locale che, in parallelo con quanto ancor prima era accaduto in altre zone dell’Isola, si era man mano coagulata attraverso una struttura operativa e la regolamentazione dei rapporti interni, divenendo vera e propria criminalità organizzata. Controllo della prostituzione e delle sale da gioco, traffico di armi e di stupefacenti costituiscono le attività delittuose maggiormente praticabili e redditizie intraprese”24. Nella parte decima della Sentenza del 1985,

concernente la determinazione delle pene, viene sottolineato che “i fatti commessi dagli

imputati ritenuti colpevoli, da inquadrare nell’ambito di un pericoloso fenomeno di criminalità organizzata, sono contrassegnati da indubbia gravità per la notevole rilevanza del danno cagionato alle persone offese e alla collettività nel suo insieme, nonché per il turbamento dell’ordine pubblico e per l’allarme sociale conseguenti alle sanguinose imprese poste in essere con preoccupante frequenza. La natura stessa dei delitti, nonché i mezzi impiegati per commetterli (il coinvolgimento organizzato di una molteplicità di persone e l’uso di armi micidiali, tra le quali un mitra), la intensità del dolo dimostrato dalla accanita perseveranza nei delitti e dalla irremovibile decisione di perpetrarli, evidenziano spiccata capacità criminale”25.

Le affermazioni della sentenza sono chiare, ma ci si rifiutò di pensare che Siracusa potesse essere diventata una provincia di mafia anche se, in progressione, erano inconfutabili natura e modalità esecutive di ordine criminale. Si pensava ad un manipolo di sbandati, ma la ferocia delle azioni criminose era da addebitare alla responsabilità di organizzazioni criminali di cui si percepivano chiaramente i sintomi a partire dall’omicidio, nel 1981, del “patriarca”, Cannizzaro Giuseppe, vittima della stessa parte di coloro che da lui era stata avviata a delinquere.

I Rapporti Giudiziari della Squadra Mobile e dei Carabinieri di Siracusa confermano che la catena degli omicidi consumati e tentati, passati in rassegna, trovava causa nello scontro in atto tra bande rivali operanti a Siracusa, principalmente nel racket delle estorsioni,

24 Corte di Assise di Siracusa, Sentenza del 20 aprile 1985. Motivi della decisione. Parte prima, p. 42.

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originato dalla rottura di un precedente equilibrio che aveva fatto perno attorno alla figura eminente di Giuseppe Cannizzaro. Alla soglia del 1981 la mappa della criminalità aretusea avrebbe compiuto un salto di qualità.

Dopo l’omicidio del Cannizzaro, capo indiscusso dell’organizzazione degli “sbandati”, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, le nuove leve si dividono in due principali organizzazioni delinquenziali con caratteristiche proprie delle associazioni mafiose, il clan “Belfiore”, capeggiato da Belfiore Salvatore, detto “u cinisi”, e il gruppo facente capo a Urso Agostino, inteso “u prufissuri”, al cugino Urso Carmelo detto “scacciata” e a Schiavone Salvatore. Il gruppo “Belfiore”, nel corso degli anni ’80, si disgregò progressivamente, anche a causa del confluire di molti dei suoi esponenti nel clan avversario “Urso-Schiavone” e, in seguito nel clan “Aparo- Provenzano”, collegato a Benedetto Santapaola, capo della omonima organizzazione mafiosa catanese.

Come si evince anche dalle sentenze irrevocabili e dalle deposizioni rese da numerosi collaboratori di giustizia, un’ulteriore frattura avviene tra Urso Agostino e Schiavone Salvatore, quest’ultimo inizialmente inserito nel gruppo Urso, il quale manifesta un malumore diffuso per via di una gestione scellerata degli utili tra i vari associati.“Gli episodi

omicidiari, verificatisi in successione ravvicinata, evidenziano l’esistenza di un vero e proprio scontro armato con gruppi rivali, quale il gruppo “Schiavone”, per ottenere la supremazia nel territorio aretuseo (c.d. guerra del martedì), ed il ricorrente ricorso alla eliminazione fisica dei componenti dei gruppi facenti capo a Belfiore e ad Urso, uniti da un patto – temporaneo - di non belligeranza imposto dai catanesi”26.

I fatti di cronaca nera proseguiranno fino al 1987, segnando un’escalation criminale violenta ed incurante di ogni conseguenza anche nei confronti di vittime innocenti, che susciterà viva apprensione nell'opinione pubblica. La consorteria facente capo a Schiavone si concentrò nella organizzazione del traffico illecito di sostanze stupefacenti, del quale esercitò il sostanziale monopolio nel corso degli anni ’80 nella città di Siracusa e nella zona meridionale della provincia (Avola, Noto, Pachino, Rosolini), ancora vergine alla penetrazione del fenomeno criminale, fino a contagiare anche i centri di Pozzallo, Scicli, Comiso e Vittoria arrivando sino a Gela, tant’è che anni dopo verrà arrestato un pregiudicato gelese facente parte del gruppo Schiavone.

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6.3La mappa della criminalità aretusea

“Tra il 1987 e il 1988 prese avvio un processo di graduale accostamento fra quattro organizzazioni di carattere mafioso, precedentemente distinte e radicate in diverse zone del territorio della provincia di Siracusa: il menzionato clan “Nardo”, collegato al clan “Santapaola” di Catania; il clan “Aparo-De Simone-Provenzano”, formatosi negli stessi anni 1987-88 dalla aggregazione di un nucleo di soggetti già vicini ai fratelli Concetto e Antonio Aparo di Solarino, operante nella zona montana della provincia (Canicattini Bagni, Solarino, con ramificazioni anche a Floridia e Siracusa) con soggetti fuoriusciti dai clan “Schiavone” e “Belfiore” di Siracusa, la cui articolazione siracusana, arricchitasi nei primi anni ’90 da altri personaggi, formò il collegato gruppo di “Santa Panagia”; il clan “Trigila”, la cui esistenza veniva sancita dalla sentenza n. 2/1999 emessa dalla Corte di Assise di Siracusa il 13 maggio 1999, operante nella propaggine più meridionale della provincia (comprendente i comuni di Noto, Avola, Pachino e Rosolini) e facente capo a Trigila Antonino, detto “Pinnintula” e, dopo il 1993, al figlio Giuseppe, associazione dedita alle estorsioni, alla gestione di sale da gioco di azzardo e di videogiochi proibiti (che costituivano le principali fonti di reddito del gruppo) e ad omicidi e, infine, dal 1992 il clan “Costanzo”, attivo in Augusta e Villasmundo, gruppo in seguito ridotto a costola del consesso di Lentini”27.

I dati storici dimostrano che nella nostra provincia non era impenetrabile il male mafioso. L’operazione dell’arresto di Salafia Nunzio, di Genovese Salvatore e del loro associato, Ragona Antonino, inteso “Ninu u palemmitanu” (1982), tutti raggiunti da un mandato di cattura dell’Ufficio Istruzione di Palermo, guidato da Giovanni Falcone, per alcune efferate stragi avvenute in territorio palermitano di inequivocabile impronta mafiosa, e i legami accertati in tale circostanza tra il Salafia e le cosche vincenti dei Santapaola sono sintomi di una degenerazione dell’elemento malavitoso locale, che non si era mantenuto alle risse, rapine, estorsioni di poco conto (1982). Pertanto, è facile afferrare il senso di un’evoluzione che avrebbe messo in allarme, difatti, la presenza a Siracusa di cellule che hanno operato nelle stragi di mafia di Palermo impone un’analisi complessiva che tenga conto dei suddetti elementi chiarificatori delle manifestazioni malavitose. Né si può cambiare opinione con il proscioglimento in istruttoria dei tre imputati, giacché il semplice accostamento ideologico di personaggi locali con organizzazioni mafiose di Palermo e di Catania costituisce pur sempre un dato di fatto sintomatico ed inquietante.

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L’apparizione nella piazza locale delle sostanze stupefacenti, i crescenti attentati dinamitardi per estorsioni e il regolamento di conti sono la prova di quella costante, ininterrotta evoluzione dell’ambiente malavitoso locale che, con l’incrementarsi degli interessi che ruotano attorno agli illeciti profitti, non poteva che definirsi nell’attuale situazione.

La scarsa consapevolezza e la sottovalutazione generalizzata delle esecuzioni mafiose e dei metodi utilizzati dai gruppi malavitosi locali è alla base di un mancato tempestivo ed immediato contrasto alle mafie nel siracusano che, tardando di un decennio, ha favorito l’auto- incrementarsi del fenomeno mafioso e il proliferare delle organizzazioni criminali nel nostro territorio.

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