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Il pluralismo territoriale, la funzione di coordinamento e di leale collaborazione tra i diversi livelli di Governo

Il Prefetto e le Autonomie local

3.4 Il pluralismo territoriale, la funzione di coordinamento e di leale collaborazione tra i diversi livelli di Governo

Già con la legge delega n. 59/97 veniva prefigurata l’attribuzione all’organo di rappresentanza periferica dello Stato di funzioni di raccordo e integrazione, da un lato con le Regioni, gli enti locali e gli uffici statali periferici, attraverso diversi strumenti di concertazione, dall’altro, tra il complessivo sistema territoriale e il centro. Il tutto, a prescindere dalle sedi di confronto, previste a livello centrale, tra lo Stato ed il sistema delle autonomie con l’istituzionalizzazione delle varie Conferenze (Stato-Regioni; Stato-città-autonomie locali; Conferenza unificata). D’altronde, tenuto conto che l’integrazione per essere efficace si deve realizzare sul territorio, tra le sue varie componenti, ne deriva che la correlata funzione di “cerniera”, in linea con il principio di sussidiarietà, non poteva che essere svolta dal livello statale “a competenza generale” più vicino al cittadino ed al tessuto locale. Le predette funzioni trovano fondamento, come già evidenziato, in diverse disposizioni normative, da una parte nel d. lgs. n. 300/99 e, dall’altro, nella normativa di razionalizzazione delle competenze del ministero dell’Interno e, dunque, del suo organo.

In tale ottica, la rappresentanza periferica dello Stato sul territorio, forte della sua terzietà, va esercitata offrendo sostegno, collaborazione, iniziativa e spazi di mediazione neutrali e autorevoli ai diversi attori in ambito locale, nonché svolgendo una funzione di garanzia degli enti locali nei rapporti con le Regioni, nel senso di agevolare il perseguimento degli obiettivi programmatici fissati dalle stesse e sostenendo il progressivo concretizzarsi, da parte degli enti locali, delle loro capacità di autonomia, fortemente affermate dalla Costituzione. Si

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tratta, inoltre, di assicurare la circolazione delle informazioni, di fungere da terminale di coordinamento tra centro e periferia, intesa nel suo complesso, al fine di garantire l’adeguatezza degli interventi politici e finanziari sul territorio. Pertanto, la figura del prefetto realizza un percorso a “doppio senso” in aderenza ad una rinnovata e ridisegnata presenza dello Stato sul territorio, intesa a salvaguardare e sostenere l’ente locale quale valore fondante della Repubblica, secondo un modulo non più gerarchizzato, ma partecipativo e relazionale e, con l’obiettivo comune, di assicurare il benessere della collettività, la qualità della vita e la vivibilità del territorio.

Per quanto attiene al raccordo a livello regionale, il prefetto può assicurare, sul piano orizzontale, un coordinamento generale delle iniziative da attuare e/o attuate da parte di tutti gli attori istituzionali che, a vario titolo, incidono sul territorio e, sul piano verticale, può porsi quale punto di snodo con il Governo centrale, operando sul fronte della neutrale prospettazione delle problematiche dell’area regionale, orientando interventi e facendo affluire risorse.

Una lettura avveduta dell’impianto riformatore, ne mette, infatti, in risalto la sua caratterizzazione più significativa, l’essere un autonomismo o federalismo definibile “cooperativo” e “collaborativo”, aspetto, questo, che ben si coniuga con la valorizzazione delle autonomie. Emblematico, in tal senso, il combinato disposto degli artt. 2 e 10 della legge n.131/03 che, proprio in relazione alle funzioni fondamentali degli enti locali, richiama il principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, prevedendo “specifiche forme

di consultazione e di raccordo tra enti locali, Regioni e Stato”. Il criterio in questione diventa,

pertanto, fattore catalizzante della governance nella prospettiva di un sistema policentrico integrato, nel quale il fulcro è costituito dal territorio, sia in ragione dell’importanza dei soggetti istituzionali, le autonomie, che lo rappresentano, sia per la capacità di dare immediata risposta al cittadino, sia in quanto, vale la pena ribadirlo, è sul territorio che si sperimenta la coesistenza tra Stato e, dunque, il suo organo di rappresentanza generale, e gli enti locali.

Inoltre, assumendo quale griglia di riferimento anche gli altri principi cardine della riforma quali la sussidiarietà e l’adeguatezza, ne consegue come l’attribuzione delle funzioni amministrative in via prioritaria ai Comuni, secondo la riformulazione dell’art.118 della Costituzione, necessiti, per essere operativa, di essere sorretta da un governo locale fornito di adeguate dimensioni organizzative, economiche e professionali. Tale strutturazione è attuabile, specie in questa prima fase, solo se sostenuta dalla collaborazione, in primis dello Stato e,

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dunque sul territorio, della prefettura.

Sempre ispirato al principio di leale collaborazione, ma questa volta con un occhio rivolto all’interno dell’apparato statuale, sono le richiamate funzioni di raccordo attribuite al prefetto tra le diverse istituzioni statali presenti sul territorio. Compito, questo, da assolvere avvalendosi, anche qui, delle Conferenze Permanenti. Funzioni, però, significativamente aggettivizzate dalle finalità indicate dalla norma, comma 2, lett. a, dell’art.10 della legge n.131/03, e cioè dalla rispondenza all’interesse generale, dal miglioramento dei servizi resi al cittadino, favorendo e rendendo più agevole il rapporto con il sistema delle autonomie.

Tutto ciò si rivela perfettamente in linea con la professionalità sviluppata nel tempo dai prefetti che, via via hanno modulato la loro azione sul territorio secondo i canoni della cultura del servizio alla collettività, ed in sintonia con la rinnovata posizione del cittadino divenuto il focus dell’azione amministrativa. Modelli comportamentali, questi, che lo hanno connotato e lo connotano, anche nell’attuale fase storica, come uno dei poli di riferimento tra Governo, autonomie e società civile.

Contribuisce a riempire di contenuti questo ruolo di “referente”, la funzione di tempestiva informazione necessaria all’amministrazione centrale, ai fini dell’eventuale promozione della questione di legittimità costituzionale. In proposito, deve rivelarsi che, in questa fase di prima applicazione della novella costituzionale, si è determinato un considerevole, seppur logico, aumento del conseguente contenzioso innanzi alla Corte Costituzionale. Sicché, sempre ragionando nello spirito di assicurare la leale collaborazione tra i diversi livelli di Governo, potrebbe ipotizzarsi e concordarsi un percorso organizzativo che, nel rispetto dei rispettivi ruoli, consenta, in via preventiva, di acquisire e fornire informazioni sulle iniziative legislative regionali in itinere, per attivare tutte quelle azioni utili a scongiurare l’insorgere di conflitti.

Al prefetto è, altresì, affidata “la raccolta di notizie” utili allo svolgimento delle funzioni degli organi statali, costituendo il canale informativo nei rapporti con le autorità regionali, “nonché il compito di fornire dati ed elementi per la redazione annuale sullo stato della Pubblica Amministrazione.” Compito che rivela tutta la sua valenza in termini di potenzialità del raccordo se correlato al concetto di governabilità, intesa questa, qualunque sia la forma dello Stato, come concreta possibilità del Governo di incidere efficacemente sulla realtà, perseguendo gli obiettivi prefissati, e la cui attuazione non può fare a meno di una “rete”

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diffusa sul territorio che si sappia muovere sul piano della conoscenza e dell’analisi della realtà sociale, sulla quale i livelli di governo, sia centrali che locali, vanno ad operare.

Inoltre, la complessità e mobilità dell’attuale realtà, sia istituzionale che socio- economica, richiedono, ai fini dell’adeguatezza dell’azione di governo, un’opera continua di riadattamento e rivisitazione delle politiche, correlata al delinearsi di situazioni od emergenze che impongono interventi immediati. Questa funzione è sempre stata garantita dalle prefetture che hanno assolto il compito di veicolo dell’azione di governo e di bagaglio di conoscenze degli aspetti qualificanti della società e del territorio, indispensabili per orientare meglio i livelli decisionali sia centrali che locali. Anche nel nuovo assetto istituzionale, dove viene valorizzato il sistema dei flussi informativi (art. 117, comma 2, Costituzione) necessari per consentire al Governo l’esercizio di competenze quali “la perequazione di risorse finanziarie,

la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”,

che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, risulta fondamentale il ruolo di “intelligence” assicurato dalle prefetture. Diceva Calamandrei che non c’è libertà se non si assicurano i diritti sociali ed, in questo senso, il prefetto vive un ruolo di coesione al fine di garantire l’esercizio dei diritti al lavoro e alla salute. In tante realtà il prefetto si è dovuto occupare di trovare un posto letto in un ospedale e sollecitare le realtà territoriali affinché trovino le forze necessarie per dare risposte concrete ai cittadini. Il prefetto non è soltanto un organo dell’emergenza ma quello che affronta tutti i problemi nel concreto che, con l’U.T.G. da lui diretto, aperto ventiquattro ore su ventiquattro, risponde anche alle problematiche più minute presenti sul territorio.

Il prefetto sul territorio ha dimostrato la valenza e l'utilità della sua presenza istituzionale, l'indispensabilità del suo ruolo, l'intreccio fecondo con le altre realtà istituzionali a vantaggio dell'interesse generale, riuscendo così a organizzare la rete dei pubblici poteri per fronteggiare la complessità della realtà. I prefetti repubblicani sono stati gli uomini dello “Stato uguale”, organi di continuità istituzionale legati al territorio e alla Comunità, chiamati a tutelare, nella libertà, l'uguaglianza dei cittadini davanti ai vari livelli di governo centrale e locali, facendosi carico di assicurare il rispetto della legge.

Il patrimonio di conoscenza delle realtà locali e la capacità di contemperare i diversi interessi pubblici mettono il prefetto in grado di svolgere un ruolo trainante nel partenariato istituzionale e sociale locale. Un prefetto dei cittadini a garanzia della fedeltà ai principi e ai valori repubblicani e costituzionali.

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3.5 Il prefetto e i Comuni: una relazione circolare

La storia del prefetto è “storia locale”, egli trascorre la sua carriera spostandosi da una città all’altra, le sue vicende professionali e personali s’intrecciano con quelle delle località nelle quali esercita le sue funzioni. E’ la stessa storia bicentenaria dell’istituto prefettizio ad essere fondata sul rapporto tra prefetto ed enti locali. Dietro le espressioni come “governance”, “marketing territoriale”, “mission dell’amministrazione” si cela il bisogno delle comunità locali di trovare nel prefetto un interlocutore credibile ed in grado di risolvere i problemi di interesse generale. Nell’odierna architettura istituzionale la centralità del prefetto è una prerogativa che dipende in gran parte della sua capacità di interagire in modo costruttivo con gli enti locali, dalla sua attitudine ad innescare e ad alimentare una corrente di fiducia tra i diversi livelli di governo del territorio, laddove tutti i soggetti integrino le proprie con le altrui risorse ed assumano una parte di responsabilità nella risoluzione delle questioni.

Dall’art. 11 del d. lgs. n. 300/99 può desumersi la triangolazione tra “rappresentanza

generale del governo”, “coordinamento delle pubbliche amministrazioni statali sul territorio”

e “espletamento dei compiti di collaborazione a favore delle regioni e degli enti locali

interessati” su cui deve fondarsi il gioco di squadra che farà capo al prefetto e alla nuova realtà

organizzativa. Si crea così uno snodo istituzionale statale che, per la sua vocazione generalista, costituisce un aggancio per le diverse ramificazioni dell’amministrazione insediate sul territorio.

Uno degli aspetti più importanti del rapporto fra il prefetto e gli enti locali è stato, fino al 1970, il controllo sugli atti dei Comuni e delle Province. Un controllo che induceva i prefetti ad esaminare gli atti non tanto sotto il profilo della legittimità formale, quanto sotto l’aspetto sostanziale della rispondenza agli interessi delle popolazioni e dell’equilibrio del bilancio degli enti, verificando inoltre che la deliberazione degli enti locali non fosse in contrasto con l’indirizzo politico del Governo divenendo così strumento di grave limitazione dell’autonomia locale. Dopo il 1970 il prefetto ha conservato il controllo sugli organi, mentre non esercita più quello sugli enti locali. Un importante parere del Consiglio di Stato, Sez. I, n. 1006/2003, è intervenuto sul delicato tema inerente all’esercizio della facoltà di controllo da parte del prefetto ex art. 135, comma 2, del d. lgs. n. 267/2000. Dopo l’abrogazione dell’art. 130 della Costituzione, disposta con legge costituzionale n. 3/2001, debbano ritenersi soppressi i controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali. Il parere su indicato ribadisce il convincimento che l’intervento del prefetto, previsto dal citato art. 135 del Testo Unico

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dell’ordinamento degli Enti Locali, in ordine a deliberazioni degli enti stessi relative ad acquisti, alienazioni, appalti ed in generale a tutti i contratti, in base ad elementi che facciano presumere infiltrazioni di tipo mafioso nello svolgimento di dette attività, non configura un controllo esterno dell’amministrazione statale sulla legittimità di detti atti, ma è espressione di un potere indirizzato alla salvaguardia di interessi fondamentali inerenti all’ordine e alla sicurezza pubblica che il novellato art. 117, comma 3, lett. h, della Costituzione riserva alla legislazione esclusiva dello Stato. Il T. U. E. L., nel rendere esplicite le finalità proprie del controllo prefettizio, sembra porsi in linea con il precedente giurisprudenziale n. 1964/2000 della Sez. IV del Consiglio di Stato teso ad assicurare, attraverso tale controllo, il regolare svolgimento delle attività delle pubbliche amministrazioni oltre che a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa, estendendo così l’intervento del prefetto a garanzia della legalità amministrativa.

Con la metafora geometrica, si può individuare la situazione attuale come quella segnata dal passaggio dalla piramide al cerchio, nel quale il prefetto diventa soggetto equiordinato rispetto agli altri interlocutori in una circolarità relazionale. Nell’ottica della pluralità istituzionale territoriale, al prefetto è ricondotto il ruolo fisiologico di mediatore e coordinatore tra Stato, in qualità di rappresentante nella sfera locale, e amministrazioni municipali dirette dai sindaci. Sul territorio, per l’appunto, ci sono le due figure di prefetto e sindaco, quest’ultimo investito da una legittimazione politica e di consenso, il primo la deriva dall’autorevolezza della sua funzione ed è un importante terminale di raccordo tra i diversi livelli istituzionali. Questi ultimi soggetti sono anche terminali del disagio sociale, a loro si rivolge un’azienda in crisi, le persone senza casa, etc. Ed è proprio dal dialogo tra questi due attori istituzionali, prefetto e sindaco, ognuno rispettivamente portatore di interessi statali e locali, ma entrambi protesi nell’assicurare il bene dei governati, che può prodursi e diffondersi il sano governo e la più corretta amministrazione, a dispetto di eventuali frammentazioni e divisioni. Il prefetto dovrebbe garantire l’attitudine dello Stato ed interloquire e ad interagire con il sindaco, principale organo tutore e supremo custode di una rinnovata democrazia territoriale, interprete e garante delle aspettative della comunità, in uno scambio interattivo, tempestivo e sollecito.

Il prefetto, quale funzionario politico dotato di poteri di indirizzo e coordinamento, potrebbe svolgere un ruolo non indifferente nel rinvigorimento dei principi di democrazia e sovranità popolare, fortemente indeboliti dalla crisi della rappresentanza politica. I poteri oggi attribuiti al prefetto, accordi, intese ed iniziative di cooperazione con gli enti locali assolvono al compito di garantire che le funzioni pubbliche si svolgano in modo coerente con i diversi indirizzi politici ed amministrativi espressi da ogni singola comunità territoriale autonoma la

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cui armonizzazione è la prima garanzia di buon andamento della cosa pubblica e del buon funzionamento dei pubblici uffici. E’ questa, infatti, la formula che, secondo la ratio sottesa alla riforma delle prefetture, dovrebbe condurre nel prossimo futuro ad un profondo rinnovamento della complessa macchina amministrativa, grazie al progressivo alleggerimento del sistema burocratico e contestuale rivalutazione del ruolo del cittadino come parte attiva nella gestione della cosa pubblica.

Ricostituire dal basso la partecipazione dei cittadini alla res publica, ampliare le garanzie di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa sono obiettivi che richiedono una stretta collaborazione tra centro e periferia, privilegiando il livello di governo più prossimo agli interessi degli amministrati. Fondamentale appare, pertanto, l’attivazione di canali di cooperazione tra prefetti e sindaci, in una sorta di partenariato istituzionale.

Antesignano della new governance questo sistema di cooperazione politica orizzontale tra diversi livelli di governance territoriale apre la via a nuove forme di partecipazione alla vita di relazione della comunità, con potenziali benefici per i principi di democrazia sussidiaria e legittimazione popolare dei pubblici poteri. Come in un meccanismo di vasi comunicanti, l’equilibrio istituzionale può validamente comporsi solo se all’affievolirsi della sovranità statuale si fa corrispondere un proporzionale riassorbimento di quella quota di sovranità che compete alle comunità locali.

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