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La ridefinizione della funzione prefettizia

2.7 Il capitale sociale e la governance

Il prefetto costituisce un sicuro punto di riferimento dei cittadini e delle amministrazioni locali, che lo hanno sempre visto in prima linea, nei momenti difficili, nelle emergenze, nei momenti critici delle tensioni sociali, svolgere un prezioso ruolo di coordinamento, di raccordo e di mediazione. Quella funzione di mediazione ridefinita alla luce dei concetti di “capitale sociale” e “governance” intesi come “rete”. Il prefetto dovrà tenere in debito conto le dinamiche della rete che va ad ampliarsi in modo coerente con la cultura propria e conformemente al significato e al senso delle relazioni che la compongono. Il prefetto dovrà porre attenzione anche al cosiddetto capitale sociale che si alimenta dei contatti e dei legami di rete e li riproduce senza esaurirsi in essi, avvalorandoli attraverso la dimensione culturale che è propria delle sue relazioni sociali costitutive. Perché la rete sia una risorsa è necessario che essa venga riconosciuta non solo come un insieme di legami e valori condivisi, bensì quale intreccio di relazioni sociali di reciprocità e fiducia che ovviamente creano rete e veicolano cultura. Come lo stesso D.P.R. n. 180/2006 lascia chiaramente intendere, al prefetto si chiede oggi di contribuire a consolidare e ad accrescere il capitale civile del territorio al quale egli viene assegnato e dal quale dipende in massima parte lo sviluppo dello stesso. Difatti, proprio le peculiarità professionali ed istituzionali del prefetto favoriscono il collegamento fra le tre sfere

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in cui si articola la società: la società civile, la società commerciale, la società politico- istituzionale. Un prefetto che riesce a portare attorno al proprio tavolo i rappresentanti di società civile, business community ed enti pubblici locali darebbe il più grande contributo che si possa immaginare al progresso economico e sociale del territorio affidato alle sue cure.

Da un’analisi sociologica dell’amministrazione pubblica, si evince pertanto che la figura del prefetto tiene conto delle “reti” e del “capitale sociale” nell’implementare momenti di legittimazione e rafforzamento delle istituzioni, connotazioni tipiche di un’amministrazione

colloquiale e della sussidiarietà. Si tratta, sicuramente, di un nuovo corso che rompe con i

metodi del passato e mette in campo best practices avviate da prefetture ed Enti Locali, inaugurando una stagione di “sviluppo partecipato” sui valori della cooperazione e della responsabilità sociale.

Occorre, innanzitutto, specificare che cosa significa “governo” e “governare”. Nell'accezione più nota dei termini si potrebbe fare riferimento alla “detenzione del potere pubblico”. Scrive a questo proposito Lucio Levi che “in prima approssimazione e in base ad

uno dei significati che il termine ha nel linguaggio politico corrente, si può definire il governare come l'insieme delle persone che esercitano il potere politico, che determinano cioè l'indirizzo politico di una data società”4.

La governance può anche indicare un governo al di là della politica, sia in termini integrativi che correttivi, come è nel caso di governance quale categoria esplicativa del rapporto fra sfera politica e società civile. Così si utilizza un termine inglese per uscire fuori dalla rigidità schematica delle istituzioni e per alludere a un'attività di direzione che, per quanto possa essere politicamente intrisa, non corrisponde mai esattamente con l'attività degli organi di governo. In questo senso governance diventa sinonimo di “governo informale”, non istituzionale, né istituzionalizzato o istituzionalizzabile, e viene affiancato e contrapposto al concetto di government, quet’ultimo più vicino, si ritiene, a un'idea statuale di governo.

Per government può intendersi un qualsiasi regime politico, dato “dall'insieme delle

istituzioni che regolano la lotta per il potere e l'esercizio del potere e dei valori che animano la vita delle istituzioni”.

La governance ha a che fare con la politica, intesa come attività di direzione, ma non è politica in senso stretto, è governo ma non coincide con gli organi di governo. Si va dalla

4 L. Levi, voce “governo” del Dizionario di politica da N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Utet, Torino,

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metropolitan governance5, che traccia i confini geografici ritagliandone le peculiarità spaziali, alla multilevel governance6, a sua volta derivato della European governance7, dalla mondial o

global governance alla cosmopolitan governance, che combina le peculiarità locali e globali;

dalla corporate governance, tipica delle formazioni sociali specifiche, per lo più imprese no

profit, alla governance organizzata, tesa a riconoscere l'effettiva miscela emergente nelle

diverse società occidentali tra potere politico e poteri sociali; dalla human governance, volta al miglioramento dell'ordine sociale, economico e politico esistente, alla responsible governance di uno sviluppo stabilito su basi democratiche, eque e sostenibili; dalla governance attenta alle problematiche sociali e alle minoranze, alla environmental governance.

La governance dipende poi dal capitale sociale di una data collettività e dai suoi mutamenti, soprattutto in riferimento alla rivoluzione organizzativa ed alle forme reticolari delle società tardo-moderne, nella direzione segnata dall'orizzontalità dei rapporti sociali.

Un primo ordine di considerazioni per comprendere la governance consiste nel distinguere se si tratti di: un concetto o una categoria analitica; una rappresentazione simbolico- ideologica; una prospettiva teorica; un'attività; un metodo o un approccio; un sistema di norme. La governance intesa come categoria analitica è definibile come “un'area concettuale

utile per diagnosticare i problemi e permeare le pratiche”. L'area concettuale, che il termine

ispira, è costituita da quesiti più che da risposte, e da problematiche più che da soluzioni. La governance è un concetto che imprigiona il mutamento sociale il quale viene colto nelle sue esigenze di guida, quelle che non sono più e quelle che non sono ancora ma che dovranno, in qualche forma e in qualche modo, “essere” poiché in gioco vi è la possibilità di “ tenuta insieme” e di “tenuta nel tempo” dell'ordine sociale. Conoscere la governance significa, dunque, distinguere tra una dimensione teorica e una dimensione operativa o anche tra una dimensione immateriale, che si esprime negli scambi comunicativi e nella circolazione e nell'uso di simboli, ed una materiale, che si manifesta nell'organizzazione e nell'impiego degli spazi, della natura e degli artefatti.

5 A titolo esemplificativo OECD, City for Citizens. Improving Metropolitan Governance, OECD Publications

Service, Paris, 2001.

6 Commissione Europea, La governance europea. Un libro bianco, Bruxelles, 2001; Bache, M. Flinders,

Multilevel Governance, Oxford University Press, Oxford, 2005.

7 Commissione Europea, Relazione della Commissione sulla governance europea, Lussemburgo, 2003; P.

Magnette, “European Governance and Civic Participation: beyond Elitist Citizenship?”, Political Studies, 1, 2003.

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La governance formulata nei termini di rappresentazione fa suoi i tratti distintivi dell'ideologia nella sua accezione minimale quale “complesso di valori, credenze in parte vere

e in parte false, opinioni, atteggiamenti, inerenti alla natura dell'uomo e della società, con gradi diversi di spiegazione e di sistematicità, condiviso in varia misura dai membri di una classe sociale, un gruppo di interesse, una élite, una professione, un partito” 8. In questo caso la governance coincide con un’idea di empowerment di cittadini capaci e responsabili nella difesa dei propri interessi, nonché nell’attivazione e nel coinvolgimento di circuiti virtuosi di funzionamento della sfera pubblica e della democrazia. Può anche riguardare la società nella sua interezza, come quando governance sta per “auto-organizzazione di reti organizzative”9 e coincide con “l’autonomia delle reti, ovvero la capacità-abilità delle reti di attivare un proprio percorso concreto di azione senza il ricorso alla guida di un organismo pubblico dotato di autorità”.

Secondo March e Olsen in riferimento alla governance è possibile enucleare due prospettive: quella di scambio e quella istituzionalista. Gli assunti di partenza della prospettiva di scambio sono quelli tipici delle teorie del comportamento razionale dell’attore. La politica risulta pertanto fatta da attori razionali che scambiano volontariamente, in vista della formazione di coalizioni. La politica è un meccanismo che aggrega le preferenze individuali per tradurle in azioni collettive attraverso contrattazioni razionali, negoziati, coalizioni e scambi. In quest’ottica la governance democratica può considerarsi come un meccanismo di traduzione di preferenze e risorse individuali in azioni collettive attraverso l‘individuazione e la formazione di coalizioni a sostegno di politiche pubbliche che stimolano scambi Pareto- ottimali fra i cittadini10. Lì dove, e nella misura in cui, le regole, gli interessi e le risorse incidono in maniera non deterministica ma manipolabile sulla formazione delle coalizioni e sul processo di definizione del conflitto di interessi, c’è spazio per la governance. Il potere che evoca sembrerebbe risiedere nel “controllo dei margini di incertezza” di crozieriana memoria, nella gestione delle cleavages, e nella fissazione delle linee di divisione lungo le quali orientare determinati corsi d’azione piuttosto che altri.

Secondo una prospettiva istituzionale, la governance implica la capacità di far emergere attori politici in grado di capire il funzionamento delle istituzioni politiche, gestendole in modo efficace. In questo senso, la governance, da un lato, può dirsi il prodotto dell’appartenenza ad una determinata comunità politica e agli istituti della cittadinanza, dall’altro “si propone di

8 L. Gallino, Dizionario di sociologia, Utet, Torino, 1993.

9 E. Finocchiaro, “Nuove strategie di governance urbana”, Sociologia urbana e rurale, XXVII, 76, 2005.

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incoraggiare gli individui, ognuno con la sua combinazione d’identità e interessi, a compiere il proprio dovere di cittadini”.

La governance intesa come attività segnala “la crescente capacità auto regolativa dei

sottosistemi sociali”. In questo caso la governance sta ad indicare l’attività e/o capacità di

“autoregolazione sociale”. Non c’è più dunque qualcuno che dirige qualcos’altro (o qualcun altro): c’è, piuttosto, una sorta di potere istituente del sociale11, quest’ultimo, a sua volta, variamente interpretabile come società, società civile, organizzazioni sociali. Una governance intesa come “riduzione delle distanze” tra società civile e sfera politica, confronto necessario, inderogabile.

La governance come metodo conoscitivo costituisce un insieme di tecniche o un approccio per la comprensione della realtà. Non ci si preoccupa più soltanto che l’interesse generale venga soddisfatto dalle istituzioni democratiche ma ci si chiede quale sia l’interesse generale e, soprattutto, chi e attraverso quali processi, sia deputato a rispondervi. Il metodo conoscitivo della governance è attento anche alle informazioni e al processo di ottenimento delle stesse.

La governance come metodo operativo o strategia può essere spiegata come un’azione di rete a somma positiva per i singoli attori che nel complesso riesce a tutelare l’interesse collettivo. Il paradigma della governance costituisce un approccio utile laddove scopriamo che la pubblica amministrazione non governa più la maggior parte delle variabili che sono rilevanti per la tutela dell’interesse pubblico, ovvero quando l’azione pubblica è strutturalmente debole o insufficiente o copre solo parzialmente gli obiettivi che tutelano l’interesse pubblico. Generalmente, esso viene adottato nel processo di produzione delle politiche pubbliche. Nota a questo proposito Segatori in “Governance e democrazia

nell’esperienza italiana” che “in ambito politico, la governance viene oggi intesa come un processo di elaborazione, di determinazione, di realizzazione e di implementazione di azioni di policies, condotto secondo criteri di concertazione e di partenariato tra soggetti pubblici (Stato e/o istituzioni di livello sopranazionale o intranazionale e soggetti privati o del terzo settore)”.

Il governo delle “reti” è per lo più un processo di distribuzione delle responsabilità. Il consenso che occorre per ogni azione responsabile è il risultato di un processo continuo di negoziazione e di costruzione collettiva nella quale sono sempre possibili crisi e risch i.

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Il mettersi attorno ad un tavolo per apprendere, ponendo in discussione abitudini e schemi di comportamenti consolidati, per aprirsi alla ricerca di soluzioni non è affatto un esito scontato ma il punto di avvio del processo che prefetture di molti contesti italiani stanno faticosamente cercando di attivare puntando sull’ampiezza della partecipazione, fondamentale elemento per un processo inclusivo. Affinché i comportamenti possano mantenersi responsabili e gli accordi auto vincolanti, ciascuno deve percepire “il patto sociale” come coerente con le proprie auto rappresentazioni. La società reticolare per realizzarsi ha bisogno di pratiche concertative, centrali per lo sviluppo locale, che guardino all’ambito territoriale a carattere locale laddove emerge il ruolo di coordinamento del prefetto, ai soggetti da coinvolgere suscitando proposte, al tavolo che realizza. In questo senso sembrano inserirsi in maniera promettente le pratiche di “pianificazione strategica”, “programmazione negoziata”, i Patti Territoriali, gli Accordi di Programma, i programmi di riqualificazione urbana, i progetti di Agenda 21 locale, i piani strategici delle città o i progetti comunitari come Urban, Leader, Equal laddove il prefetto assume un ruolo di primo piano di impulso.

Le istanze sollevate dalla governance implicano la democratizzazione della direzione politica per mezzo della democratizzazione della società. Governance diviene pertanto sinonimo di potenzialità di democratizzazione socio-politica che non necessariamente crea nuove forme di organizzazione ma sicuramente occupa nuovi spazi soggetti alla logica della orizzontalità, della trasversalità e dell’informalità.

Si può anche parlare di “governance sussidiaria”12 quale fatto sociale che implica un “coordinamento fra attori collocati in differenti reti che seguono differenti codici simbolici politici, sociali, economici, culturali”. La governance diviene una sussidiarietà oltre la politica e un federalismo oltre lo Stato.

Come si evince da quanto scritto, sia pure in maniera esemplificativa e non certo esaustiva, la governance è dunque un laboratorio di istanze e di riflessioni e un cantiere di fenomeni in divenire. Una sperimentazione denominata “Stati generali” è stata avviata in diverse province. In sostanza si sono riunite le autorità locali e le più significative rappresentanze sociali e sono stati affrontate pubblicamente alcune problematiche cittadine in un dibattito nel quale si discuteva delle possibili soluzioni e delle modalità di intervento, come ad esempio la costruzione di ponti o la previsione di stanziamenti di bilancio in alcuni settori.

12 P. Donati, “La governance della globalizzazione e il principio di sussidiarietà”, in C. Mongardini (a cura di),

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Le autorità, che si sono messe in gioco, ne hanno ricavato un ritorno di immagine e la comunità ha manifestato il suo gradimento per aver vissuto un momento di significativa partecipazione civica e di piena sussidiarietà alle istituzioni.

Si realizza così un patto tra l’amministrazione e le rappresentanze della società civile che si manifestano in diversificate forme di volontariato: la prima mette a disposizione il proprio patrimonio di conoscenza ed esperienza ed individua le modalità della collaborazione; le associazioni assicurano prestazioni concordate e chiedono in cambio la legittimazione, ovvero il riconoscimento del rilievo costituzionale della finalità associative. Si tratta di implementare un’attività storicamente già svolta dai prefetti sul territorio arricchendo una competenza professionale formata “sul campo” con nuovi elementi di conoscenza.

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CAPITOLO III

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