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Il Prefetto e le Autonomie local

3.1 Il federalismo amministrativo

La revisione costituzionale segna un radicale mutamento nell’assetto della Repubblica italiana a favore di una valorizzazione delle autonomie regionali, provinciali e locali. L’ulteriore passo del processo di riforma costituzionale verso il federalismo configura un regionalismo avanzato che avvicina l’Italia al fenomeno della “regionalizzazione e federalizzazione del potere pubblico”.

Il nuovo Titolo V della Costituzione stabilisce, all’art.114, l’equiparazione di Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni allo Stato nella composizione della Repubblica al fine di garantire un equilibrio tra i diversi livelli di governo sul territorio, così come richiesto dal principio di leale collaborazione e dall’irrinunciabile esigenza di assicurare l’unità del Paese. Il novellato art.117 rivoluziona i criteri di ripartizione del potere legislativo tra il Governo centrale e le Regioni, attribuendo a queste ultime competenze legislative esclusive e concorrenti con lo Stato ed elevando la potestà legislativa delle Regioni. Prima della riforma, nella competenza delle Regioni rientravano solo materie esplicitamente loro attribuite dalla Costituzione, mentre adesso vengono fissate le materie rientranti nelle competenze dello Stato. Il legislatore statale, quindi, non ha più competenza generale, ma solo esclusiva in materie stabilite, può intervenire per determinare i principi in materie concorrenti e per fissare i limiti trasversali.

Spetta allo Stato legiferare in materie particolarmente delicate quali politica estera e rapporti internazionali; coordinamento dei rapporti con l’Unione Europea; immigrazione e questioni relative alla cittadinanza; ordine pubblico e sicurezza; giurisdizione e giustizia amministrativa; legislazione elettorale; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Su tutte le materie non riservate espressamente allo Stato, le Regioni esplicano la potestà esclusiva senza ingerenze degli organi centrali. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Accanto

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alla legislazione esclusiva, le Regioni, sentiti gli Enti Locali, possono richiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie di competenza concorrente nei settori della sanità, dell’istruzione, delle professioni, delle attività produttive, delle infrastrutture, nonché in materia di legislazione riservata esclusivamente allo Stato, quali l’istruzione e la tutela dell’ambiente.

Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata, invece, alla legislazione dello Stato.

La revisione costituzionale ha inteso, poi, distribuire ex novo le funzioni amministrative attribuendole, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, ai Comuni, (art.118 Cost.), salvo i casi di assicurare l’esercizio unitario.

L’effettiva realizzazione del nuovo regionalismo nell’ambito delle garanzie dei principi fondamentali per i cittadini dipende in misura crescente dal modello di finanziamento delle autonomie regionali e locali da attuare secondo i principi del nuovo art.119 della Costituzione. Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni hanno risorse autonome, nel senso che il novellato testo costituzionale prevede il principio dell’uso compartecipativo del gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. Essi, poi, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri.

Un altro aspetto della riforma costituzionale è rappresentato dal fatto che il Governo centrale non esplica più alcun controllo sulla legislazione regionale e/o delle Province di Trento e Bolzano. Infatti, si prevede per le Regioni ordinarie l’abolizione della figura del Commissario del Governo. Pertanto, le leggi regionali e/o provinciali entrano in vigore non appena approvate dal Consiglio e promulgate dal Presidente della Giunta regionale.

Il policentrismo ed il pluralismo autonomistico, in qualunque riorganizzazione ordinamentale di stampo federalista, determinano la necessità di assicurare strumenti che evitino spinte secessioniste e che, raccordando tra loro le articolazioni istituzionali, nel rispetto delle diverse identità locali, assicurino il mantenimento di un omogeneo standard nel godimento dei diritti di cittadinanza italiana ed europea.

Indispensabile perciò l’individuazione di una figura in grado di ricondurre ad unità i diversi interventi statali sul territorio interfacciandosi e dialogando in modo chiaro e

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tempestivo con il governo locale. Ruolo che non poteva non essere assegnato al prefetto il quale, da sempre, ha fatto della rappresentanza generale dello Stato e dell’esercizio delle funzioni di raccordo e coordinamento, ora rivisitate in un’ottica partecipativa e di collaborazione, il “sé” del proprio ruolo istituzionale. Peraltro l’evoluzione storica di tale figura lo accredita come il garante della legalità e, dunque, quale autorevole interprete dei diversi regimi politico-istituzionali succedutisi in oltre duecento anni di vita, nonché come polo di riferimento del diverso atteggiarsi, nel corso del tempo, del complesso rapporto che lega autonomie locali ed organi centrali.

Già, il 14 ottobre 1970 il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, nel rivolgersi ai prefetti, sottolineava come nell'ambito dell'autonomia regionale la loro funzione acquistasse un significato nuovo e di ampia portata, non solo sul piano strettamente amministrativo, ma su quello dello spirito delle istituzioni. Al riguardo, infatti, il presidente Saragat metteva in risalto il ruolo nuovo che spettava ai prefetti, affermando: “voi sarete elementi di raccordo fra autorità centrali ed enti locali e, per

questa via, tramiti di quell'osmosi che deve sussistere fra il tutto e le sue parti. Sarete mediatori di una visione non particolarista dei problemi anche se pertinenti una singola zona”. Alle parole del Capo dello Stato fecero eco le osservazioni del ministro

dell'Interno, Restivo, il quale osservò che l'istituto prefettizio non era affatto antitetico allo slancio autonomistico dell'ordinamento repubblicano, ma che, al contrario, era lecito affermare che proprio l'adempimento dei principi posti dall'art. 5 della Costituzione postulava la necessità di un permanente elemento strutturale che, assicurando la presenza dello Stato, anche a livello provinciale, garantisse il collegamento e la mediazione fra esigenze unitarie e spinte autonomistiche.“Sono funzionari, -affermava il ministro nel suo intervento- che nel loro impegnativo lavoro sono spesso mediatori di acuti conflitti

sociali, che condividono le aspettative e talora le ansie delle comunità locali, testimoni delle spinte di progresso e dei più vitali fermenti che ne animano il divenire; ed essi ci danno la certezza che, nello svolgimento dei delicati compiti che sono chiamati ad assolvere, porteranno un alto contributo di sensibilità politico-sociale e di apertura democratica, che, unito a tradizionali doti di competenza, di abnegazione e di laboriosità, costituirà un prezioso strumento per la salvaguardia e la continuità delle istituzioni democratiche e per il più sensibile sviluppo della vita sociale del paese”.

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3.2 Il Rappresentante dello Stato e il sistema delle Autonomie

La soppressione della figura del Commissario di Governo, incompatibile con un sistema che pone sullo stesso piano dello Stato gli enti territoriali esponenziali, ha indotto il legislatore ad introdurre, in base alla previsione dell’art.10 della legge n.131/03, la nuova figura del

“Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie” incardinandola in

capo al prefetto preposto dell’U.T.G. avente sede nel capoluogo di Regione. A quest’ultimo, viene, infatti, attribuita, in via prioritaria, la cura delle “attività dirette ad assicurare il rispetto

del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione, nonché il raccordo tra le Istituzioni dello Stato presenti sul territorio, anche attraverso le Conferenze”. A ciò si aggiunga il

compito di promuovere “l’attuazione delle intese e del coordinamento tra Stato e Regione” previsto da leggi statali nelle delicate materie indicate dall’art.118 della Costituzione, quali immigrazione, ordine pubblico e sicurezza ad eccezione della polizia amministrativa, tutela dei beni culturali. Sempre al prefetto è conferito l’incarico di promuovere l’attuazione delle misure di coordinamento definite in Conferenza Stato-Città e Autonomie locali unitamente

“all’esecuzione dei provvedimenti del Consiglio dei Ministri costituenti esercizio del potere sostitutivo di cui all’art.120 della Costituzione”.

Si tratta di un’ampia area d’interventi, con connotazioni fortemente politiche oltre che tecniche, che si sostanzia con il conferimento di compiti, non predeterminati né facilmente predefinibili, ma che si possono concretizzare in quelle iniziative, da sempre patrimonio dei prefetti, che, di volta in volta, si rivelano idonee a garantire il rispetto del principio di leale collaborazione.

La ratio ispiratrice dell’azione resta quella di assicurare che i nuovi assetti di competenze previsti dalla riforma si sviluppino secondo strategie finalizzate all’integrazione e all’ottimizzazione degli interventi sul territorio, in modo da assicurare risposte coerenti, efficaci ed efficienti nei confronti del cittadino. Del tutto naturale, pertanto, il richiamo alla Conferenza quale sede in cui esercitare tali funzioni, specie sfruttandone la flessibilità organizzativa che ne consente una composizione, a modulazione variabile, attagliata di volta in volta alle diversificate problematiche.

Con la disposizione in questione viene, inoltre, chiaramente confermata l’introduzione, per l’U.T.G. del capoluogo di Regione, di una disciplina, immediatamente operativa, che lo differenzia rispetto agli altri U.T.G. operanti in ambito provinciale, riaffermando l’esigenza di delineare, a livello regionale, un interlocutore più robusto nel rapporto con le Regioni e le

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autonomie. Da un lato, infatti, le prefetture, che potremmo dire “regionali” vengono distinte dalle altre, ufficializzandole quali rappresentanti dello Stato con il sistema delle autonomie, con un particolare taglio nei confronti delle Regioni e con una privilegiata interlocuzione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri; ipotesi, questa, suffragata anche dal peculiare regime del provvedimento di preposizione del prefetto al predetto U.T.G., che richiede anche una condivisione da parte del Ministro degli Affari Regionali sulla proposta del ministro dell’Interno. Dall’altro, nonostante la riforma del Titolo V della Costituzione parifichi gli enti territoriali minori alle Regioni, resta confermato il tradizionale ruolo del ministro dell’Interno quale interlocutore istituzionale degli enti locali, i quali, in più occasioni, hanno chiesto di avere un referente distinto rispetto alle Regioni. Peraltro, questo regime differenziato potrebbe far ipotizzare per il futuro il consolidamento di una posizione di “sovraordinazione”, in capo alla prefettura del capoluogo di Regione che, seppur finora esclusa, potrebbe risultare funzionale all’equilibrio del sistema.

Orbene, è proprio tramite l’azione del prefetto rappresentante dello Stato che si vanno progressivamente precisando i contorni di un sistema istituzionale tendenzialmente paritario tra i governi del territorio, rispettoso di una lealtà istituzionale non solo dichiarata ma pure invocata e praticata, esigente sul piano dell’attuazione del principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale, vissuto all’insegna di una compatibilità, pure sociale, tra globalizzazione e localizzazione. Un sistema che è poi spiccatamente teso ad individuare un modello nuovo pure sotto il profilo della statualità, a livello amministrativo e gestionale, per soddisfare la necessità di garantire quei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali consacrati e contenuti della nostra Costituzione, un sistema suscitatore di una ricca forma di autonomia dei soggetti comunali, provinciali e regionali spinti però ad un’unione di intenti con il soggetto statuale al quale spetta, attraverso il prefetto, rappresentante dello Stato e del Governo nazionale, garantire l’unità ordinamentale, amministrativa, giuridica e sociale che l’articolo 5 della Costituzione impone per salvaguardare il tipo di repubblica democratica scelta dai Padri costituenti ormai sessanta anni fa.

Non vi è stato il cedimento della figura prefettizia di fronte all’incalzante incedere del sistema delle autonomie, né si è assistito alla scomparsa del disegno parallelo istituzionale incentrato sulle due linee Stato-Autonomie, ma questa copresenza ha assunto negli scorsi anni una nuova originalità fatta di intersezioni, di sana dialettica democratica e di confronti, spesso animati ma sempre rispettosi, i quali hanno modificato l’originale assetto delle due linee che

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difficilmente prima si incontravano, quasi timorose di un possibile risultato positivo derivante da una leale collaborazione.

L’unità nella diversità si coniuga bene con l’affermazione di un sistema sociale, istituzionale e territoriale multiforme e poliarchico dove è fondamentale che qualcuno faciliti il raggiungimento di un equilibrio formale e sostanziale richiedendo a tutti i soggetti in campo ponderazione e compensazione da realizzarsi all’interno del circuito istituzionale. La funzione del prefetto rappresentante dello Stato diventa allora imprescindibile perché la realtà ci consegna oggi una situazione in cui dinanzi a domande impellenti dei cittadini, le istituzioni e chi le rappresenta non sempre comprendono quanto siano inutili azioni isolate o illusioni esclusiviste le quali allontanano ogni ipotesi di risposta e di soluzione di qualsiasi problema. Il prefetto, qualsiasi prefetto in sede, può essere motore della governance utile e in grado di avvicinare i problemi dei cittadini ai competenti centri decisionali, raccordando l’attività di questi ultimi soprattutto nella determinazione e nell’osservanza dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale.

Quella affidata al prefetto rappresentante dello Stato è una “primazia cooperativa”, come viene definita da Carlo Mosca, idonea a ricucire e a ritessere la rete istituzionale, senza espropriare le competenze di alcun soggetto coinvolto il quale deve sentirsi libero nelle sue determinazioni perché facente parte di un quadro armonico che non vede la supremazia di alcuno, ma funziona in base ad intese collaborative e secondo procedure concordate e garanti dell’autonomia di ciascuno. Una primazia cooperativa, quindi, che in virtù degli insegnamenti della Corte Costituzionale, ha il compito di tutelare le istanze unitarie della Repubblica e il fondamentale equilibrio dei poteri e dell’identità dei valori repubblicani imperniati su una compresenza integrata tra Stato ed Autonomie. Se l’azione del prefetto rappresentante dello Stato è venuta ad articolarsi sul territorio basandosi su questi criteri e su tali linee guida, come in molti casi è avvenuto, si può certamente affermare che il modello è servito a governare insieme i difficili processi derivanti dalle nuove fenomenologie sociali, economiche, religiose, culturali e politiche mediando così , in maniera positiva, il rapporto tra istituzioni e cittadini e realizzando una vera sintesi istituzionale che è poi uno degli obiettivi che i cittadini pretendono dal prefetto. Questi, come rappresentante dello Stato, quando ha agito secondo i canoni richiamati ha, in questi ultimi anni, personificato quel nuovo modo di essere e di fare Stato, la nuova forma di statualità. Egli ha incarnato e dovrà farlo in avvenire, se si intende continuare a perseguire l’unitarietà del sistema nazionale, una figura di coinvolgimento di tutti i soggetti

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delle istituzioni che desiderano ritrovarsi intorno a procedimenti partecipati e vissuti su tavoli paritari dove è più facile e riesce meglio attivare la potenzialità e la ricchezza di un utile ed efficace policentrismo. Il prefetto rappresentate dello Stato non ha, ormai da tempo, il compito di difendere la concezione statocentrica. Anzi, egli è l’artefice di una nuova statualità che privilegia la sussidiarietà verticale ed orizzontale, che misura con prudenza le diverse velocità con cui procedono le differenti autonomie, che fa emergere la specificità di un modello italiano di democrazia repubblicana.

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