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Sezione I – Dispositivo

3.3 Dispositivi del Sé

3.3.2 Attenzione

Se è vero che il nostro stato di coscienza si altera in occasione di eventi salienti, indagare i processi di intenzionalità e attenzione diventa uno strumento importante per comprendere meglio il fenomeno della coscienza e dell’esperienza mediata.

Nei suoi primi studi, Dennett distingue fra due tipi di attenzione o di “intenzionalità”: una di cui il soggetto può riferire verbalmente (a1) e un’altra che invece passa “inosservata” all’introspezione e di cui il soggetto non é in grado di riferire (a2).379 Dennett osserva come

l’attenzione intenzionale sia un processo che non presuppone necessariamente il controllo cosciente del corpo o del comportamento: il tennista dirige la sua attenzione sul suono della pallina che colpisce la racchetta piuttosto che sul tracciamento visivo del suo braccio-racchetta; in determinate occasioni le persone, sebbene distratte, possono annuire nei momenti semanticamente “salienti” di un discorso di cui comprendono solo “rumori”. Dennett prende il già citato esempio della guida di un’automobile: sebbene possiamo ritenerlo un atto della nostra vita cosciente, tuttavia non siamo del tutto “attenti che” (aware that) stiamo svolgendo una serie di micro-azioni molto complesse per controllare il velivolo (modulare la frizione, aggiustare la traiettoria, controllare lo specchietto, ecc.). Per Dennett, queste sono tutte azioni che richiedono un’attenzione di tipo a2. Mentre non è sempre facile riferire nel dettaglio il percorso e le operazioni che abbiamo eseguito durante il viaggio, in caso di un avvenimento inaspettato (l’attraversamento improvviso di una persona lungo la carreggiata), la nostra attenzione torna ad essere di tipo a1 nei confronti della guida del velivolo, cioè torniamo a prestare un’attenzione intenzionale su tutta una serie di azioni che fino a quel momento venivano eseguite in maniera automatica.

L’impianto epistemologico di Dennett, che si basa sulla metafora concettuale che Lakoff e Johnson chiamando “Mind as Computer”, sostanzialmente vede nell’attenzione di tipo 1 un processo unitario e seriale che si manifesta mentre il cervello, allo stesso momento, è impegnato a processare una moltitudine di attività complesse di tipo 2, cioè intenzionali ma non-coscienti. I due tipi di attenzione sono anche relativi a due aree del cervello: la corteccia che direziona il comportamento attraverso ragionamenti coscienti di ordine superiore e il cerebellum che invece automatizza o trasforma in routine ciò che in un determinato momento è sotto il controllo dell’intenzionalità.

Per questo motivo un’attenzione di tipo a1 non può realmente “controllare” i processi che portano ai propri pensieri coscienti ma solamente riceverli già confezionati e verbalizzarli. In linea teorica anche un computer può possedere un’attenzione di tipo a1 (produrre

un report linguistico degli input che riceve) senza per altro servirsi di rappresentazioni o immagini mentali, mentre l’animale, certamente dotato di intenzionalità, essendo privo di un centro del linguaggio non può svolgere un’introspezione di tipo a1.380 In rapporto al sogno e al concetto freudiano di inconscio, Dennett ragiona sul caso di un uomo che sogna di essere minacciato da un altro uomo con un coltello e, durante il sonno, può verbalizzare la sua esperienza parlando col suo assalitore immaginario; un’esperienza onirica come questa presuppone uno stato singolare di attenzione di tipo 1 privato dello stato di coscienza propriamente detto (quello che abbiamo definito creature consciousness).381 In questa prospettiva il sogno non è più (o non solo) dominio del lavorio di spostamento e condensazione dell’inconscio freudiano, bensì una vera e propria attività della mente cosciente che, secondo Murray Smith, potrebbe aprire la strada per una rinnovata analogia fra esperienza onirica ed esperienza estetica come di uno stato mentale differente da quello dell’esperienza quotidiana.382

Come ho ricordato, anche Chemero ci parla di un doppio binario dell’esperienza visiva, uno ventrale-inconscio e uno dorsale-conscio che processa gli stimoli visivi in contemporanea, creando circuitazioni rappresentative e non rappresentative. Allo stesso tempo, come ricorda Ramachandran, mentre è possibile svolgere una conversazione mentre si è semi-consciamente intenti a guidare un auto, la situazione opposta, fare attenzione alla guida mentre si discute “inconsciamente” con un interlocutore, sembra improbabile; se ne deduce che il linguaggio sia un’attività che richiede un’attenzione cosciente mentre le attività, pur complesse, legate al controllo locomotorio anche attraverso un mezzo non la richiedono e possono svolgersi per “visione cieca”.383

Come ho mostrato nel secondo capitolo, anche Christian Metz teorizzava negli anni settanta una similare divisione di intenzionalità nei confronti dell’esperienza filmica che, su base psicanalitica, veniva tradotta in identificazione “primaria” con lo sguardo della macchina da presa e identificazione “secondaria” con l’intenzionalità del personaggio. Un processo di doppia identificazione che produce una coscienza “fluttuante”, la quale raggiunge la soglia di attenzione cosciente solo in caso di “inquadrature rare” poiché “le inquadrature abituali finiscono per essere considerate delle non-inquadrature perché la mia coscienza in fondo non ne è del tutto al corrente”.384 Anche in Guattari ritorna il concetto di doppia attenzione riferito, come ho mostrato, al

processo di soggettivazione televisuale che implica una “doppia consapevolezza” dell’ambiente diegetico e dell’ambiente reale circostante. In generale, anche le teorie filmiche del suono, lavorano sulla differenza fra “hearing” e “listening”, sottolineando come l’irruzione di specifici suoni intra o

380 Per uno studio di etologia cognitiva sull’intenzionalità e la coscienza animale v. Donald Griffin, Animal Minds. Beyond Cognition to Consciousness, University of Chicago Press, Chicago, 2001.

381 Daniel Denntt, Content and Consciousness, cit., p. 382 Murray Smith, “Consciousness”, cit., p. 44.

383 Vilayanuer Ramachandran, Che cosa sappiamo della mente, cit., p. 35-36. 384 Christian Metz, Il significante immaginario, cit., p. 67. V. § 2.2.

extra diegetici possa provocare un cambio di attenzione sonora verso un determinato suono o ambiente sonoro.385 Per Hirstein, che sostiene la divisione netta fra inconscio cognitivo e processi

esecutivi coscienti, l’esperienza spettatoriale televisiva produce un’oscillazione fra percezione automatica e non automatica proprio quando qualcosa di inusuale si manifesta sullo schermo; l’esperienza, secondo lo studioso, raggiungerebbe la soglia cosciente-esecutiva nel caso ad esempio di un’ interferenza che richiede un comportamento più “complesso” da parte dello spettatore. 386

Si può quindi ritenere che guardare un film incida sullo stato di coscienza e inneschi movimenti transitori fra attenzione intenzionale (a1) e attenzione inconscia (a2), producendo un’esperienza molto simile a quella del performer o del guidatore. Come dimostrano le scienze cognitive, un’incessante attività legata all’inconscio cognitivo e ai processi limbici e subcorticali provvede a creare il mondo-ambiente entro cui rivolgere la nostra intenzionalità neocorticale, o, come nei casi di cinefilia o di analisi del film, di rivolgerla fuori da quei confini (per studiare una scene o apprezzare il virtuosismo tecnico dietro ad una particolare inquadratura).

La stessa esperienza spettatoriale, in verità, comprende la compresenza di almeno tre ambienti (comprensivi di assetti ottici e dinamiche emulatorie) in cui la nostra coscienza può “fluttuare”:

1) L’ambiente reale circostante, ovvero l’ambiente costruito a partire dallo spazio fisico in cui è collocato il nostro corpo materiale e in cui possiamo interagire attraverso una feedback loop di percezione-azione, come teorizzato da Gibson. Di questo ambiente fa parte anche il supporto fisico del medium stesso e quindi, nel caso di media audiovisivi, le immagini e i suoni che possono essere esperiti layout luminosi e sonori “al di qua” dell’ambiente simulato.

2) L’ambiente mediato o simulato, ovvero l’ambiente costruito a partire dallo spazio-tempo virtuale generato dal dispositivo di esperienza mediata. Questo ambiente può emulare quello reale in maniera limitata (come nel caso del cinema o della radio) oppure può offrire un feedback loop che tende a replicare, amplifica o aumenta quello circostante (come nel caso dei videogame o della realtà virtuale). In ogni caso, il designer può giocare con le informazioni dell’assetto ottico ambientale così da modulare l’esperienza fenomenologica dell’utente, indirizzarne l’attenzione intenzionale, attivare circuiti emulatori e i processi di ordine superiore che in ultimo generano il senso di agentività e di presenza della persona. La specificità del testo e del medium (narrazione,

385 V. Murray Smith, “Consciousness”, cit., p. . Per uno studio introduttivo sulle dinamiche di attenzione determinate

dalla musica filmica v. Kalinak, K. Settling the Score: Music and the Classical Hollywood Film, Madison: University of Wisconsin Press, 1992.

formato, ergonomia, stile, ecc.) provvede ad un’ulteriore sintonizzazione di questi processi cognitivi.

3) L’ambiente immaginario o emulatorio, ovvero il campo delle rappresentazioni off-line legate al sogno ad occhi aperti, all’allucinazione o all’immaginazione introspettiva di ambienti assenti o distali, che prende corpo a livello cosciente in corrispondenza di un allontanamento da altri ambienti on-line. Mentre questi processi emulatori sono alla base della nostra attività inconscia, essi possono richiedere un’attenzione intenzionale (come nel caso della rotazione di oggetti mentali, o del richiamo alla memoria episodica di determinati particolari) che può permettere alla persona di “isolarsi” dall’ambiente reale o mediato (come nel caso della meditazione).

L’attività dei circuiti emulatori, non è legata solo alla produzione di quest’ultimo ambiente ma in modo diverso anche agli altri due. Nel primo fornisce il sostrato predittivo che ci permette di avere un feedback loop veloce ed efficace. Nel secondo il circuito emulatore è l’ambiente stesso, in processo extra-neurale di estensione della mente per mezzo di assetti ottici e sonori artificiali, simulazioni sensomotorie e processi narrativi.

Sebbene la nostra attenzione possa indirizzarsi su un solo ambiente alla volta, le teorie fin qui analizzate ci confermano che tutti e tre gli ambienti continuano ad essere “processati” dal circuito corpo-mente-ambiente. Un’ulteriore prova, a livello fenomenologico, è il fatto che se durante la proiezione di un film uno spettatore orienta l’attenzione sull’ingresso in sala di uno spettatore ritardatario o sul virtuosismo tecnico del regista, egli non perde completamente le coordinate della narrazione o dell’ambiente filmico ed è pronto a continuare l’esperienza mediata (sebbene sia possibile aver perso dei dettagli narrativi importanti). Allo stesso modo, se durante la proiezione gli spettatori scambiano commenti sul film o iniziamo a sognare ad occhi aperti su come si comporterebbero al cospetto dei vampiri de Dal tramonto all’alba, l’esperienza comune insegna che a distanza di ore o addirittura di giorni alcune immagini mentali o sensazioni elaborate in sala, continuano ad infestare i nostri sogni, a produrre reazioni emotive, o ad “apparire” improvvisamente sotto forma di percetti mentali. A ben vedere tutti i casi descritti non sono avvenimenti eccezionali nell’esperienza audiovisiva quotidiana e durante l’esperienza spettatoriale essi accadono molto di frequente senza tuttavia rendere l’esperienza fenomenologica frammentaria o incongruente.

Si potrebbe obiettare che la nostra coscienza tenda retroattivamente a riempire dei “buchi cognitivi”, una tesi che Ramachandran e altri sostengono proponendo prove empiriche. All’aumentare dei gap diegetico-percettivi, sarebbe sempre più difficile ricostruire un’esperienza audiovisiva unitaria e coerente.

Secondo Dennett invece il cervello non ha bisogno di riempire i vuoti con delle rappresentazioni bensì, a seconda dei casi percettivi ma anche di pensieri di alto ordine, tende semplicemente ad ignorare la mancanza. Nel suo celebre esperimento mentale dedicato alle immagini di Marlyin Monroe, Dennett sostiene che in presenza di una parete completamente tappezzata della stessa identica immagine della star, il nostro apparato percettivo una volta focalizzatosi su un’immagine saliente tenderà a prendere per buone anche le altre fornendo la credenza o consapevolezza di essere alla presenza di una parete tappezzata di immagini di Marylin senza il bisogno di creare una rappresentazione percettiva di ogni singola immagine.387

La teoria dell’emulatore può dare spiegazione al perché, entro un certi limiti, possiamo continuare a seguire un film anche concentrando la nostra attenzione su ambienti reali o immaginari, o, al contrario, provare piacere nel rivedere un film di cui, coscientemente, già conosciamo il finale. È ipotizzabile che la capacità di predizione e simulazione dell’emulatore, renda comunque saliente questo tipo di esperienze filmiche: nel primo caso, generando una sensazione cosciente di comprensione anche in mancanza di dati (come nel caso delle immagini di Marylin), nel secondo caso, reinnestando processi di predizione off-line e inferenza on-line che a livello cosciente mettono in secondo piano le esperienze passate (similmente a ciò che avviene nel personaggio di Memento). Ovviamente è il dispositivo, ovvero la circuitazione intra ed extra- neurale fra mente corpo e ambiente mediato che concorre a creare questa esperienza.