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Dal dispositivo alle disposizioni

Sezione I – Dispositivo

3.0 Dal dispositivo alle disposizioni

Ho mostrato come il concetto di aura di Benjamin aiuti a comprendere meglio il rapporto dell’esperienza mediata dai dispositivi tecnologici. Paragonata ad una vera e propria “atmosfera”, l’esperienza auratica è quella che non è accessibile al sé cosciente ma che al contrario si impossessa di esso, lo sciocca sul livello pre-riflessivo ed affettivo. Ecco perché fra le varie etimologie a cui si fa riferimento per questo concetto, incontriamo il termine cabalistico “tselem”: l’incontro auto- alienante con l’altro da sé. Il dispositivo benjaminiano basato sul rapporto fra prima e seconda tecnica come abbiamo visto scorge inoltre nella tecnologia qualcosa di rivoluzionario e in grado di emancipare l’umanità sul piano appercettivo, esistenziale e politico.

Per fare questo, per procurare quella che Benjamin chiama “innervazione”, c’è il bisogno che l’organismo e la vita stessa, nella sua dimensione pre-personale, sia organizzata come un dispositivo. Se infatti ammettiamo un certo grado di ridefinizione del sensorio umano attraverso i media della riproducibilità tecnica e che questi media riescano a modulare l’esperienza attraverso una doppia modalità, dovremmo altrettante ammettere che esista una disposizione iniziale o precedente alla mediazione in grado di essere ri-definita. Pur riconoscendo che queste disposizioni siano il frutto della coevoluzione fra organismi e ambiente, esse, come mostrerò, hanno nella loro inusuale “plasticità” adattiva e creativa la loro caratteristica principale. Più che rappresentare un limite imposto dal millenario lavorìo dell’evoluzione, il dispositivo biologico di cui parlo forma la piattaforma di gioco entro cui l’esperienza mediata è resa possibile e può eventualmente permettere casi di ridefinizione o modificazione dei sensi. Allo stesso tempo, questo tipo di approccio è essenziale per contenere incomprensioni, inesattezze ed imprecisioni terminologiche che una teoria del dispositivo non può più ammettere, né contribuire ad innescare specialmente quando si incrocia ai così detti science & technology studies.

Questa propensione allo studio dei fenomeni vitali e naturali in relazione alle teorie della costruzione del soggetto non nasce per caso. Negli studi di cinema fra gli anni ottanta e novanta si registra un’attenzione alle evidenze sperimentali in psicologia, antropologia e scienze cognitive che porteranno appunto alla critica della Grand Theory, verso un approccio definito “bioculturale”.211 Non a caso, come ricordano Gallese e Guerra, oggi gli studi scientifici vengono accompagnati da studi sulla capacità dell’uomo/animale di costruire mondi attraverso lo studio delle sue componenti

211 Cfr. Torben Grodal, Embodied Visions (2009), tr. it., Immagini-corpo. Cinema, natura, emozioni, a cura di Ruggero

fisiche e biologiche.212

Attraverso questa prospettiva di ricerca, il capitolo che segue esplorerà più dettagliatamente il dispositivo biologico umano e animale nel suo interfacciamento con i dispositivi culturali e tecnologici introdotti dall’umanità. Mi focalizzerò in particolare su alcune facoltà del sistema nervoso centrale (SNC): i suoi cicli di percezione-emulazione-azione, la sua plasticità neurale, le ipotesi di estensione e distribuzione cognitiva e infine le dinamiche di attenzione e presenza attivate nell’esperienza mediata.

Per far questo proporrò un percorso teorico che combina le tesi del movimento fenomenologico continentale con le teorie analitiche della cognizione incarnata. Come ricordavano gli autori di The Embodied Mind, sia la fenomenologia che la psicanalisi hanno molti punti in comune con la scienza cognitiva, occupandosi dell’analisi dell’esperienza viva, on-line e inconscia dell’attività mentale. 213 Secondo la ricostruzione proposta da Thompson, Varela e Rosch, nella

tradizione occidentale conoscere la mente significa conoscere i processi inconsci attraverso l’analisi di un sistema concettuale individuale che si manifesta ad esempio nei sogni. In questo senso scienze cognitive e filosofia continentale hanno molte affinità, tant’è che filosofi come Descartes, Kant e Husserl possono essere definiti dei “protoscienziati cognitivi”.214 Anche Daniel Dennett negli stessi

anni auspicava una teoria della mente che fosse “eterofenomenologica”, ovvero che desse valore sia alle esperienze fenomenologiche dell’individuo, sia ai dati empirici tratti dall’analisi neurologica.215

Non è un caso allora se oggi Gallese e Guerra auspichino una “fenomenologizazzione delle neuroscienze” nello studio dell’esperienza estetica e mediata, in quanto i metodi di analisi basati ad esempio su risonanza magnetica funzionale (fMRI) non offrano né un grado di accuratezza quantitativa né di analisi qualitativa in grado di spiegare il ventaglio di fenomeni che concorrono alla creazione dell’esperienza.216

La ricerca bioculturale pone l’accento sugli universali biologici, ecologici e fenomenologici che in realtà non è alieno al pensiero critico progressista e radicale del Novecento. Secondo Patrick Hogan è universale in linguistica (ma riflette anche l’approccio delle scienze naturali) ciò che ricorre a livello genetico, cioè con tradizioni ancestrali in comune (es. lingua francese e spagnola derivanti entrambi dal latino) o dell’area, cioè tramite il contatto in un’area (es. spagnoli e baschi).217 In linguistica quindi connotare qualcosa come universale non significa che sia universale

212 Vittorio Gallese e Michele Guerra, “Film, corpo, cervello: prospettive naturalistiche per la teoria del film”, «Fat

Morgana», n. 20, p. 81. È rielaborando il modello di mente attravero la psicologia evoluzionista e le neuroscienze cognitive, che nascono i così detti cultural cognitive studies.

213 Francisco Varela, Evan Thompson e Eleanor Rosch, The Embodied Mind, cit., p. 20.

214 Ibid. Come riportano gli autori, citando un pensiero di Jerry Fodor: “Nella storia intellettuale, tutto accade due volte:

prima come filosofia poi come scienza cognitiva” cit. in Ibid.

215 Cfr. Daniel Dennett, Coscienza, cit.

216 Vittorio Gallese e Michele Guerra, Lo schermo empatico, cit., pp. 40-44.

per tutti, ma che ricorre attraverso più tradizioni, per cui infatti si distingue fra universali assoluti, quasi assoluti e statistici. Gli universali o archetipi studiati dalla narratologia sono quindi basati su prototipi non su condizioni necessarie e sufficienti così come il riconoscimento dei limiti di un colore varia da cultura in cultura ma il riconoscimento del miglior caso di rosso o di giallo è quasi assoluto. Un comune sentire che oggi pone le basi per le teorie anti-speciste e “cyborg” che trovano nei lavori filosofici di Donna Haraway e poi Rosi Braidotti fra gli esempi più significativi. Analogamente, negli studi di cinema e media il tema dell’animalità attira sia studiosi di matrice “culturalista” come Raymond Bellour e Akira Lippit (che studiano il ruolo metaforico e allegorico dell’animale)218, sia da quelli di ambito “cognitivista” come David Bordwell (che ne studia la co-

evoluzione con l’essere umano)219; in entrambi i settori si registra un “ritorno alla natura” e in

particolare alla natura del corpo nella riflessione estetico-teorica sulle arti e l’esperienza mediata.220 Oggi come a cavallo fra Otto e Novecento, stiamo assistendo a un nuovo incontro fra scienze della vita e scienze umane nella riscoperta del ruolo del corpo nell’intersoggettività e nella cognizione sociale, con la nascita ad esempio di campi di ricerca ibridi come l’ecologia cognitiva descritta da Edwin Hutchins.221 Gallese e Guerra parlano dell’approccio delle neuroscienze cognitive al cinema come ad un’esplorazione dei mondi possibili e delle dinamiche di intersoggettività che frequentemente ci troviamo ad abitare durante il film, con particolare attenzione agli aspetti dinamici e vitali dell’esperienza: “Si tratta in sostanza di un ritorno verso l’origine, di un’operazione di scavo nelle forme e nei modi della presenza dell’uomo rispetto al mondo, ma al contempo rispetto ai mondi possibili che è in grado di figurarsi”222.

In realtà questa operazione di scavo filosofico-vitalistico può essere rintracciato nei lavori di Gilles Deleuze e Félix Guattari che, a mio avviso, rappresentano una fonte metodologica essenziale per un campo di ricerca in grado di unire arte, scienza e filosofia. Nonostante la vigorosa critica delle scienze cognitive nei confronti del pensiero postmoderno, tacciato di irrazionalismo e relativismo, una rilettura aggiornata del pensiero dei due autori francesi può aiutarci a superare alcuni pregiudizi disciplinari e trovare nuovi campi di azione teorica. Un ultimo collegamento fra questa ibridazione dei campi teorici e le finalità del mio progetto di ricerca è la sua attitudine pragmatica. Lo sguardo verso la sperimentazione situata e sul campo, le forme di esperienza

Routledge, 2003, p. 133.

218 Cfr. Raymond Bellour, Le Corps du cinéma. Hypnoses, émotions, animalités, cit.; Akira Mizuta Lippit, Electric Animals. Toward a Rhetoric of Wildlife, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2008.

219 V. David Bordwell, “What Snakes, Eagles and the Rheshus Macaques Can Teach Us” in Bryan Boyd,Jospeh Carool

e Jonaathan Gottshall, a cura di, Evolution, Literature and Film. A Reader, New York, Columbia University Press, 2010.

220 Vittorio Gallese e Michele Guerra, “Film, corpo, cervello: prospettive naturalistiche per la teoria del film”, «Fata

Morgana», n. 20, pp.79.

221 Cfr. Edwin Hutchins, “Cognitive ecology”, cit.

incarnate e l’attenzione verso le forme di vita extra-umane, si traduce nella tendenza a produrre o partecipare attivamente a mondi-ambienti inediti. Nelle scienze cognitive questo si manifesta con i progetti di AI e robotica, nel campo etologico-filosofico con la progettazione di ambienti di incontro uomo-animale e artistici.223

Lo scopo di questo capitolo è trarre il massimo beneficio da entrambi gli approcci per elaborare una filosofia del dispositivo, in grado da un lato di far luce sugli aspetti fenomenologici e cognitivi dell’esperienza mediata, dall’altro di aprire la strada all’indagine storico-archeologica di questo fenomeno che verrà affrontata nella seconda sezione della tesi.

223 Al termine della sezione storico-archeologica della tesi, presenterò una breve nota critica sul progetto artistico-

teorico che ho sviluppato in parallelo al mio progetto di ricerca, di cui, a tutti gli effetti, rappresenta l’esito pratico. V. § 5.2.3 “L come Alice: una cyborg art senza cyborg”.