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Telepresenza senza interazione: storytelling e scienze della mente

Sezione I – Dispositivo

3.3 Dispositivi del Sé

3.3.4 Telepresenza senza interazione: storytelling e scienze della mente

Tutti questi casi di studio riportano l’effetto di telepresenza all’utilizzo di tecnologie prettamente interattive. Ma è possibile parlare di telepresenza anche nei confronti di tecnologie non- interattive?

Come ho mostrato, il temporaneo e oscillatorio passaggio fra uno stato di attenzione all’altro si verifica anche nei confronti delle esperienze mediate non interattive, come nel caso dell’esperienza filmica per la nostra attenzione a1 si “riscuote” nel caso di inquadrature non convenzionali. Secondo alcuni studi, la telepresenza quindi non richiede espressamente un controllo interattivo con il mondo-ambiente distale, quanto piuttosto una deviazione dell’attenzione cosciente

390 V. Andreas Gregersen, “Video Games, Canonical Agency and Embodiment”, Games, Cognition and Emotions

Conference, 5 Luglio 2013, disponibile sul sito https://lecture2go.uni-hamburg.de/veranstaltungen/-/v/15225 (ultimo accesso 1 Maggio 2016).

dall’ambiente reale a quello virtuale e l’attivazione cognitiva di modelli di esplorazione ambientale diretti verso quell’ambiente.391

Lo psicologo sperimentale Frank Biocca, direttore del Media Interface and Network Design lab dell’Università statale del Michigan, ha studiato l’esperienza di immersione televisiva attraverso i report verbali basati su un campione di telespettatori.392 Tramite questo test l’equipe di Biocca chiedeva ai soggetti quali sensazioni avessero provato durante la visione di diversi contenuti audiovisivi per determinare l’esistenza di diverse esperienze di telepresenza dettate dalla forma del contenuto e dal contesto di ricezione. L’esperimento ha confermato l’ipotesi che esistano due diverse “sensazioni” di immersione, una chiamata “partenza” (departure) e l’altra “arrivo” (arrival). L’effetto di partenza indica la sensazione soggettiva di sentirsi trasportati all’interno di un ambiente distale, mentre l’effetto di arrivo si riferisce al sentirsi circondati da un ambiente altro. L’esperimento suggerisce inoltre che un vero senso di “partenza” si manifesti attraverso la “sparizione” soggettiva del medium televisivo in favore di un assorbimento intenzionale nell’ambiente virtuale. In analogia con Gregersen, l’equipe di Biocca, utilizza inoltre la stratificazione del sé proposta da Antonio Damasio, per definire “presenza del sé” l’effetto di percezione del corpo, delle emozione e/o dell’identità di una versione artificiale di noi stessi.393

Queste considerazioni aprono la strada per studiare l’esperienza mediata non-interattiva attraverso le categoria della presenza e della telepresenza. Ma in che modo alcuni di questi media possono generare questo effetto e altri no?

La risposta non si trova guardando la base tecnica dell’interazione uomo-macchina (se appunto vi sia un feedback loop interattivo o meno), bensì sulla forma dei contenuti veicolati nel medium, ovvero sulla sua capacità di produzione di mondi “abitabili”. Se per Clark abitare un ambiente presuppone un’interazione diretta con esso, a mio avviso lo stesso effetto, seppure senza interazione, può essere raggiunto attraverso la narrazione.

Il narratologo cognitivo David Herman ha avviato uno studio cognitivo della specificità del genere, dello stile e dell’ambiente semiotico-mediatico in cui l’attività di storytelling è situata.394

Per Herman la narrazione non è semplicemente uno strumento attraverso cui interpretiamo la complessità del reale (“worlding the story”) ma serve da “dispositivo di modellamento primario” per dare senso e organizzare la nostra percezione-azione nel mondo (“storying the world”). In che modo? In qualità di tecnologia cognitiva o dispositivo epistemologico ed esistenziale anche lo

391 Matthew Lombard, Frank Biocca, Jonathan Freeman, Wijnand IJsselsteijn, Rachel J. Schaevitz, a cura di, Immersed in Media: Telepresence Theory, Measurement & Technology, Springer, New York, 2015.

392 Taeyong Ming e Frank Biocca, “Telepresence via Television: Two Dimensions of Telepresence May Have Different

Connections to Memory and Persuasion.”, «Journal of Computer-Mediated Communication», n.3, Vol. 2, Settembre 1997. L’introduzione dell’opposizione partenza/arrivo si deve a Richard Gerrig, Experiencing narrative worlds, Yale University Press, New Haven (CT), 1993.

393 Ibid. ,p. 25.

storytelling è una pratica genuinamente innervata nella nostra mente biologica. Così per Herman le forme di racconto socialmente condivise (come il mito) formano un sistema cognitivo distribuito e transindividuale che produce fornisce all’essere umano uno strumento per dare senso al mondo ma anche la possibilità di “essere immersi in un ambiente che si estende oltre il sé”.395 Herman offre

due esempi particolarmente rilevanti di questa capacità della narrazione di fungere da strumento di telepresenza e non semplicemente come strumento euristico. Il primo riguarda la tecnica dell’embedded narrative, ovvero il racconto di una storia all’interno di un’altra storia. Secondo Herman, ogni “storia nella storia” infatti produce dei riquadri esistenziali che innescano e delimitano l’operazione di richiamo e ricomposizione delle esperienze del soggetto. Rielaborando la topologia enunciativa di Gérard Genette, Herman analizza il poema The Ruined Cottage di Wordsworth abbinando ad ogni livello narrativo un io-esperienziale e un io-narrante, in maniera analoga alla stratificazione proposta da Branigan.396

Per spiegare il ruolo cognitivo di questo passaggio fra diversi mondi narrativi Herman propone l’analogia col termine umwelt di Uexküll. In breve:

Da questa prospettiva, le storie possono essere pensate come protesi per la performance, per l’emulazione di esperienze vive, e la costruzione di mondi narrativi come la co-attuazione (coenactment) di umwelten reali o immaginari estrapolati da un ambiente più ampio per l’azione e l’interazione.397

L’attività di storytelling dunque diventa uno strumento della mente in grado di costruire, trasformare e tele-trasportarci in ambienti distali, producendo affordance, artefatti cognitivi e consegnando all’ambiente, non alla mente stessa, le coordinate per eseguire questa "narrativizzazione" del mondo.

Il secondo esempio di Herman infatti si concentra sulla capacità dello storytelling di trasformare lo spazio (space) in ambiente (place), così come nell’etologia di Uexküll uno stesso spazio può svelare all’essere umano diversi umwelten.398 In uno studio ancora preliminare che

prende in esame la gestualità del raccontare storie vis-a-vis e le strategie di comunicazione interpersonale, Herman stabilisce un’iniziale differenziazione fra processi “exoforici”, quelli che stabiliscono una relazione narrativa con lo spazio locale e quelli “endoforici”, che invece rimandano a situazioni e coordinate narrative in un ambiente distale; mentre il primo processo favorirebbe meccanismi di inferenza e computazione da parte del fruitore, nel secondo caso tenderebbe ad

395 David Herman, Storytelling and the Sciences of Mind, cit., 200.

396 David Herman, Storytelling and the Sciences of Mind, cit., p. 262. Per un’analisi filmica basata su questo metodo v.

Giuseppe Gatti, “Caccia al Divo”, in Veronica Pravadelli e Ilaria De Pascalis, a cura di, Forme del mito e cinema

americano. Atti del convegno, in pubblicazione. 397 Ibid. ,p. 284.

398 V. § 3.1, in particolare l’esempio dell’albero. Ho preferito tradurre il termine “place” con “ambiente” anziché con

“luogo” per evitare moltiplicazioni terminologiche di un concetto che anche per Herman si rifà a quello di “umwelt”.

evocare strategie di simulazione esperienziale:

Qualora sia possibile, reclutare elementi dall’ambiente corrente e usarli per aiutare l’interlocutore a generare ambienti (place), riducendo così l’ammontare di simulazione necessaria e distribuendo in pratica il carico cognitivo per la produzione di ambienti il più possibile attraverso i componenti stessi dello spazio materiale.399

Una guida turistica che mediante l’indicazione dei punti geografici e architettonici racconta le vicende del popolo che anticamente abitava quello spazio (un tipo di gestualità che Herman chiama “laminazioni”), trasforma quello spazio in un ambiente dotato di nuove affordance spazio- temporali che incidono solo in piccola parte sull’organizzazione del sistema sensomotorio del fruitore (che continueremo ad esplorare quello spazio senza rilevanti cambiamenti del body schema), ma vanno invece a incidere sulle dinamiche cognitive, emotive e memoriali di un individuo e in senso più esteso, di una collettività.

Gli ambienti, nell’esperienza non mediata, sono anch’essi costruzioni narrative e gli spazi offrono le affordance per l’emergenza di molteplici storie. Rinvenire una storia all’interno di un ambiente corrisponde ad una vera e propria attività di telepresenza. Per Herman infatti “per afferrare i contorni spaziali di un mondo narrativo, gli interpretanti devono rilocarsi dal qui ed ora verso un altro set di coordinate spaziotemporali”.400

Anche in questo caso non mi sembra errato abbinare ai processi exoforici e endoforici, l’effetto fenomenologico della partenza e dell’arrivo, laddove appunto il senso di presenza del fruitore dipende dalle coordinate del mondo narrativo e quindi dal tipo di storytelling che si va ad intraprendere. La narrazione exoforica (che stabilisce relazioni con lo spazio locale) genera un effetto di arrivo (l’individuo viene circondato da un nuovo ambiente), mentre la narrazione endoforica (che rievoca eventi e spazi distali) genera un effetto di partenza (l’individuo raggiunge un ambiente distale). In entrambi i casi, per essere percepito come ambiente, lo spazio non deve essere esplorato on-line, ma la narrazione svolge la funzione di emulatore esterno per l’esplorazione off-line dello spazio. Lo storytelling, nella sua attività di produzione di ambienti, favorirebbe quella relazione prendentesi cura del mondo che Heidegger chiama zuhanden: “esser-prendente-cura di... a partire da ciò che ‘là’ è utilizzabile”. È infatti grazie a ciò che è “là”, cioè lo spazio come umbgebung, se noi possiamo dis-allontanarlo e trasformarlo in umwelt. O al contrario, mediante alcune specificità tecniche e stilistiche, possiamo noi sentirci trasposti dentro una nuova umwlet, in grado inoltre di stabilire diverse emulazioni logico-percettive, come nel caso dell’esperienza onirica. La doppia modalità di partenza e arrivo, è legata anche a quei processi emulatori che

399 Ibid., p. 282, pp. 291-292. 400 Ibid., p. 291.

rendono una tecnologia cognitiva opaca o trasparente, come descritto da Clark.