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Baudry e l’approccio metapsicologico all’apparato

Sezione I – Dispositivo

2.1 Baudry e l’approccio metapsicologico all’apparato

Martin Lefebvre ricorda come in un numero della rivista «Cinéthique» del 1969, Marcelin Pleynet (1933-), editore storico della rivista d’avanguardia «Tel Quel», notava come “prima di produrre il film, la costruzione tecnica della camera produce l’ideologia borghese” in quanto ideale continuatore di quel codice della visione prospettica definito nel Rinascimento.74

Solo un anno dopo, nel 1970, appariva sempre sulla stessa rivista “Effet ideologiques produits par l’appareil de base”, un articolo scritto da un giovane cinefilo militante proveniente dagli studi di odontoiatria, Jean-Louis Baudry. Seguendo le orme dello strutturalismo degli anni sessanta e in particolare l’approccio di Louis Althusser che combinava la rilettura lacaniana di Freud alla critica ideologica marxista, le teorie del giovane studioso avrebbero segnato l’inizio di un nuovo corso negli studi di cinema.75 Analogamente, il termine introdotto da Baudry per identificare il meccanismo di soggettivazione ideologica del cinema, “apparato” (appareil), riprende esplicitamente quello utilizzato nel giugno dello stesso anno da Althusser nell’articolo altrettanto decisivo “Idéologie et appareil Idéologique d’État”.76 La celebre frase di Baudry secondo cui il cinema è “una percezione con il carattere della rappresentazione che si dà come percezione” ricalca quella di Althusser per cui l’ideologia è la “rappresentazione della relazione immaginaria fra gli individui e le loro reali condizioni di esistenza”.77 Ma le analogie fra i due sono più che

terminologiche.

74 Marcelin Pleynet, “Économique, idéologique, formel,”, «Cinéthique», n.3, 1969, p.10, cit. in Martin Lefebvre e Annie

van den Oever, “Revisiting Christian Metz’ ‘Apparatus Theory.’ A Dialogue”, in Technē/Technology. Researching

Cinema and Media Technologies, Their Development, Use and Impact, a cura di Annie van den Oever, Amsterdam,

Amsterdam University Press, 2013, pp. 240-260, disponibile sul sito https://www.academia.edu/4399707/Revisiting_Christian_Metz_Apparatus_Theory._A_Dialogue.

75 Gli articoli fondativi, non che gli unici, della teoria del dispositivo di Baudry sono “Effet eideologiques produits par

l’appareil de base”, «Cinetheque», n.7-8, 1970, pp.1-8; “Le dispositif: approaches metapsychologiques de l’impression de realite”, «Communications», n. 23. Psychanalyse et cinéma, 1975, pp. 56-72, ora disponibile su http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/comm_0588-8018_1975_num_23_1_1348. I due articoli sul dispositivo cinematografico verranno poi raccolti nel libro L’effet cinéma, Parigi, Albatros, 1978. Per un successivo studio delle relazioni fra pensiero freudiano/lacaniano e marxismo, vedi Žižek Slavoj, “How did Marx invent the Symptom?” in Id., The Sublime Object of Ideology¸ Londra e New York, Verso, 1989.

76 Cfr. Louis Althusser, “Idéologie et appareil Idéologique d’État”, «La Pensée», n. 151, giugno 1970, tr. it. “Ideologia e

apparati ideologici di stato”, in Id., Freud e Lacan, a cura di Claudia Mancina, Roma, Editori riuniti, 1981, pp.80- 119.

Althusser distingue fra gli apparati di stato della teoria marxista (che comprende governi, tribunali, eserciti, prigioni ecc.) e quelli più prettamente ideologici, che si presentano sotto forma di istituzioni distinte e specializzate come religione, scuola, famiglia, partiti politici e i sistemi di comunicazione come “stampa, radio e televisione, ecc.”, in cui certamente si può annoverare annoverare anche il cinema.78 Baudry imbocca lo stesso sentiero epistemologico, optando per un’ulteriore distinzione fra apparato di base (appareil de base) e dispositivo (dispositif) in un articolo che nel 1975 guadagnerà l’attenzione internazionale dopo l’uscita sul celebre numero 23 di «Communications».79 Se l’apparato di base, similmente agli apparati repressivi, produce un sistema ideologico attraverso una disposizione “tangibile” di istituzioni simbolico-discorsive sul modello giuridico-militare, il termine dispositivo si riferisce invece al peculiare effetto di soggiogamento percettivo e soggettivazione psichico-ideologica prodotto sullo spettatore durante l’esperienza filmica.80

Da notare che la scelta del termine “appareil” non solo ricalca la nozione althusseriana ma si collega al significato, nel gergo tecnico francese, di “apparecchio a base ottica” (dalla camera oscura al cinema, passando per lo stereoscopio e la fotografia). In questo senso, Baudry pone fin dall’inizio un’accento implicito sul ruolo della “camera” e dello “sguardo” quale attrattore privilegiato del sistema di soggettivazione psichico-ideologico. Ma in che modo esattamente funziona l’apparato cinematografico?

Per Baudry l’apparato cinematografico produce un effetto ideologico in quanto promuove un’esperienza che, nascondendo i suoi meccanismi di produzione, genera un plusvalore fondato sulla creazione di una posizione trascendetale - lo spettatore - che è così catturato in una fenomenologia artificiale che a sua insaputa ne ridefinisce le coordinate logico-percettive (al pari degli apparati ideologici di stato teorizzati da Althusser). L’apparato di base del cinema è dunque composto dai mezzi e dalle tecniche di produzione del film (sceneggiatura, scenografia, recitazione, ripresa, montaggio, ecc.), dalla situazione cinema (sala buia, schermo, proiettore, poltrone e lo spettatore stesso) e dagli effetti psichici determinati da questa situazione sullo spettatore (occultamento dei processi produttivi, impressione di realtà, regressione ad una fase infantile, identificazione con i personaggi, ecc.). Analogamente a Pleynet, per Baudry il soggetto determinato da questo apparato si costruisce attraverso i canoni della prospettiva rinascimentale (la cinepresa come nuova “camera obscura”) e rappresenta una sorta di avanzamento tecnico del principio di “impressione di realtà” riconducibile al mito della caverna di Platone.

78 Ibid., p. 86.

79 Cfr. Jean-Louis Baudry, “Le dispositif: approaches metapsychologiques de l’impression de réalité”, cit.

80 In questo capitolo seguirò la terminologia baudriana, utilizzando il termine “dispositivo cinematografico” o “dispositivo” per riferirmi al sistema di percezione-azione innescato dall’esperienza spettatoriale, servendomi invece di “apparato cinematografico” o “apparato” per indicare il sistema allargato di produzione dispositiva comprendente istituzioni, sistemi di produzione, artefatti tecnologici, ecc.

Le prisonnier de Platon est la victime d’une illusion de réalité, c’est-à-dire précisément ce qu’on appelle une hallucination à l’état de veille et un rêve dans le sommeil; il est la proie de l’impression, d’une impression de

réalité.81

Il concetto di “impressione di realtà” fu introdotto dallo psicologo belga Albert Michotte van der Berck (1881-1965). In un saggio del 1948 che inaugurò il campo di ricerca, poi ripreso da Jean- Jacque Rinierì nel 1953, “l’impressione di realtà” non era altro che l’effetto di presenza e simulazione percettiva innescato dalle immagini in movimento e dall’adesione alla diegesi.82 Ancor

prima, nel 1916 lo psicologo anglo-tedesco Hugo Münsterberg aveva proposto un parallelismo tra il film e i processi mentali, orientando le sue ricerche più che altro sulla capacità dei film di “solleticare” determinate corde legate all’orientamento dell’attenzione e all’elicitazione emotiva.83

Ma nell’accezione baudriana, come spesso si è equivocato, l’impressioe di realtà non significa scambiare la realtà filmica per “vera”, tanto meno corrisponde alla capacità del cinema di riprodurre la realtà. Al contrario, l’impressione è generata dal fatto che entrambe le situazioni, l’esperienza filmica e quella della caverna platonica, inneschino una “macchina simulatoria” che produce nella psiche spettatoriale una fenomenologia falsata simile al sogno o all’allucinazione ma di tipo “artificiale”.84

In questo contesto entrano in gioco le teorie psicanalitiche. Il fondamento dell’analogia fra il dispositivo platonico e quello cinematografico si trova infatti nei così detti scritti metapsicologici di Freud, un progetto di vera e propria “filosofia della mente” che getta molti ponti fra psicanalisi, psicologia e filosofia.85 Baudry ritiene che l’effetto ideologico e metapsicologico (cioè di costruzione dei processi psichici inconsci) del dispositivo sia assicurato dal desiderio di tornare ad uno stadio primordiale dell’essere umano, individuato da Freud nella così detta fase orale della vita psichica, in cui percezione e rappresentazione del mondo sono indistinti, o, per dirla con le parole dell’autore, quando “il sistema percezione-coscienza non si è ancora differenziato”.86

Come nota Francesco Casetti, in quest’ottica l’approccio psicanalitico si pone come chiave di volta per capire il funzionamento e lo statuto del cinema stesso come estensione dell’apparato psichico; proprio in questo senso il cinema è una macchina simulatoria, in quanto “dispositivo

81 Ibid., p. 58.

82 Francesco Casetti, Teorie del cinema (1945-1990), Milano, Bompiani, 1993, p. 103.

83 V. Hugo Münsterberg, The Photoplay: A Pyschological Study, New York e Londra, Appleton, 1916, tr. It. Film. Uno studio psicologico e altri scritti, a cura di Domenico Spinosa, Roma, Bulzoni, 2010.

84 Francesco Casetti, Teorie del cinema, cit., p. 179.

85 Sigmund Freud, Le origini della psicoanalisi. Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1902, Torino, Boringhieri, 1968, pp. 109

e 180.

psichico ausiliario” che ci costituisce come soggetti e fa fronte a desideri archetipici.87 Attraverso

un significativo diagramma (Figura 1), Baudry mostra come “l’impressione di realtà” altro non sia che l’emulazione dei processi onirici che a sua volta combinano esperienze diurne e desideri per produrre rappresentazioni sensoriali. Scrive Baudry: “Il dispositivo cinematografico riproduce il dispositivo dell’apparato psichico durante il sonno”.88 Definendo la mente stessa come “il

dispositivo dell’apparato psichico”, inevitabilmente Baudry presuppone un grado di simulazione ideologica insito, in questo caso, anche nei processi onirici che secondo Freud altro non facevano che mettere in scena il “fantasma” La peculiarità del dispositivo cinematografico è dunque quella di simulare il dispositivo fantasmatico del sogno o dell’allucinazione.

Figura 1 - Jean-Louis Baudry, "Le Dispositif", cit., p. 71.

Riassumendo, l’impressione di realtà del dispositivo cinematografico baudriano si realizza: (i) nel simulare artificialmente gli stessi processi di emulazione sensoriale tipicamente messi in moto nel sogno o nelle allucinazioni e di conseguenza (ii) nel trasportare lo spettatore in uno stadio pre-personale e di indecidibilità simbolico-sensoriale tipica della fase pre-edipica. Per accettare questa posizione, bisogna necessariamente pensare alla mente come ad un dispositivo che “naturalmente” si doti di meccanismi di emulazione percettiva, i quali, per mezzo di “altri” dispositivi, come il cinema, sono in grado di estendersi e distribuirsi oltre i confini del sistema

87 Francesco Casetti, Teorie del cinema, cit., p. 179. 88 Jean-Louis Baudry, “Le dispositif”, cit., p.71.

nervoso centrale.89

La problematicità dell’approccio marxista-freudo-lacaniano al film nasce a mio avviso proprio quando si interessa al campo della percezione e tenta di dare una spiegazione, analitica quanto politica, al funzionamento della mente tramite paradigmi antropocentrici come il “desiderio” a tornare alla fase pre-edipica.90

In che modo la “macchina simulatoria” del cinema investe la fenomenologia del nostro sensorio? Su quali basi analitiche ed empiriche si basa questa ipotesi? Siamo per forza di fronte ad un sogno artificiale da cui siamo passivamente posseduti, oppure si tratta di una forma di negoziazione della coscienza e dell’attenzione attraverso cui ci destreggiamo durante la nostra esperienza quotidiana?

Joseph Anderson, che a partire dagli anni novanta ha proposto un’approccio ecologico alla teoria spettatoriale, denuncia il fatto che l’idea marxista-psicoanalitica della mente abbia evitato di confrontarsi con gli studi di psicologia e fisiologia del Novecento, fondando alcune considerazioni di carattere teorico-politico su delle inesattezze empiriche; questi studi hanno ivece efficacemente dimostrato che l’esperienza mediata e non-mediata dell’animale è sempre interattiva e multisensoriale, sfatando fra gli altri il mito della “peristenza retinica” che concettualizzava l’esperienza visiva come una serie di immagini che andavano a sovrapporsi nella camera obscura della mente.91

Nell’impostazione di Baudry, in particolare , vige a mio avviso una componente determinista e teleologica che si lega proprio alla scelta di usare il termine appareil privilegiando il valore “ottico” dell’esperienza filmica. Il cinema per Baudry si pone infatti come stadio avanzato di quel processo che con la pittura prospettica ha tentato di “fabbricare una macchina simulatoria capace di procurare al soggetto una percezione con il carattere della rappresentazione ma che si dà come percezione”.92 Qui il soggetto spettatoriale si configura preminentemente in soggetto di visione o di sguardo e di rimando le immagini (del sogno come del film) sono “rappresentazioni” che in qualche modo “fluttuano” nell’occhio della mente spettatoriale.

Aldilà di questi limiti, la lettura metapsicologica del dispositivo inaugurata da Baudry come raddioppiamento artificiale del dispositivo simulatorio mentale, rappresenta a mio avviso un’opportunità di confronto con quello che Rick Grush chiama “la teoria della rappresentazione

89 Questa letttura di Baudry verrà ripresa più avanti e sarà confrontata con l’ipostesi della mente estesa e la teoria della rappresentazione emulatoria sviluppate da Rick Grush e Andy Clark. V. § 3.2.3.

90 Per una ricostruzione storica e teorica a favore dei rapporti fra cinema e psicanalisi intorno al concetto di dispositivo v. Lucilla Albano, La caverna dei giganti. Saggi sull’evoluzione del dispositivo cinematografico, Parma, Pratiche Editrice, 1992.

91 Joseph e Barbara Anderson, “The Myth of Persistence of Vision Revisited”, «Journal of Film and Video», Vol. 45, n. 1, primavera 1993, pp. 3-12.

emulatoria” 93 e che insieme ad Andy Clark, in relazione all’impiego di tecnologie, definisce

“circuito emulatorio esteso” (extended emulator circuit), ovvero una circuitazione intra o extra- neurale in grado di mediare la nostra esperienza percettiva in tempo reale attraverso la produzione di feedback predittivi ausiliari.94 Da questo confronto, che verrà sviluppato nel terzo capitolo, cercherò di indicare con termini analitici come effettivamente l’esperienza cinematografica e in generale quella audiovisuale possa considerarsi “estensione” della mente, rivalutando anche il ruolo rivestito della narrazione e dall’ambiente circostante.

Rimane in Baudry, come ho sottolineato, una visione limitata del concetto di rappresentazione, schiacciata su un paradigma dello sguardo prospettico e della mente cartesiana che lo stesso autore tentò di criticare attraverso, per altro, una produzione teorica sul tema cicoscritta ad appena due articoli. Ma a guidare la cordata freudiano-lacaniana degli studi di cinema si occuperà un altro autore legato a sua volta allo strutturalismo linguistico, ma non troppo silente sostenitore dell’approccio fenomenologico e cibernetico.

93 Rick Grush, “The emulation theory of representation: Motor control, imagery, and perception, «Behavioral and Brain

Sciences», 27, 2004, pp.377– 442.