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L’ipotesi della mente estesa

Sezione I – Dispositivo

3.2 Il dispositivo della mente

3.2.4 L’ipotesi della mente estesa

Le teorie sulla plasticità corticale in relazione all’esperienza mediata del corpo e del sé sono confluite alla fine degli anni novanta nell’ipotesi della “mente estesa”. Con questo termine David Chalmers e Andy Clark hanno introdotto nel panorama scientifico un’ipotesi, più che una vera e propria teoria, sulla possibilità di situare la cognizione al di fuori dei confini del corpo-mente.307 Infatti per mente estesa si intende la possibilità che un circuito extra-neurale possa efficacemente integrarsi con l’apparato cognitivo biologico tanto da diventarne parte integrante del dispositivo mentale. Per “circuito extra-neurale” si può intendere un dispositivo nella sua doppia accezione di (a) media tecnologico o device dotato di capacità computazionali e interattive; (b) disposizione di elementi che formano un sistema di schemi, procedure, simboli e comportamenti che si distribuiscono nell’ambiente, come nell’accezione foucaultiana di “tecnologie del sé”.

Mentre il gruppo (a) appartiene a quella classe di strumenti che si interfaccia direttamente con l’apparato sensomotorio generando così un’estensione del body schema e del body image, il gruppo (b) è attualmente più interessante poiché riguarda l’utilizzo di quelle tecnologie o strumenti apparentemente più “ineffabili” come il linguaggio, la scrittura, le narrazioni, e in generale tutti quei i prodotti che riguardano la sfera della “cultura” o del “simbolico”.

Ad esempio, l’uso della gestualità fisica o del linguaggio durante lo svolgimento di un pensiero sono da considerarsi sia degli output, ma anche degli input che, in tempo reale, influenzano lo svolgimento del pensiero stesso. Un pensiero che, lo ricordiamo, secondo la prospettiva embodied è legato allo sviluppo dell’apparato sensomotorio e si manifesta attraverso metafore concettuali che rimandano all’interazione primitiva corpo-mondo (muoversi nello spazio, manipolare oggetti, rilevare movimenti, ecc.). L’estensione della mente non si produce solo attraverso il contatto diretto con strumenti simbolici o tecnologici, ma partecipa, in una prospettiva ancora più allargata, ad un sistema o network di indizi, porte, rimandi, props che sono incastonati nel mondo-ambiente stesso e che estendono e potenziano drammaticamente la capacità di cognizione ed intelligenza biologica.

La critica ricorrente a questa ipotesi pone l’accento sul fatto che gli elementi che compongono l’estensibilità della mente siano in realtà accessori funzionali, canali di input/output del sistema sensomotorio e non “componenti” intrinsechi all’ingranaggio mentale. Non si può

parlare dunque di estensione della mente, ma al massimo di scaricamento (offloading) cognitivo o estensione spaziale del corpo anatomico. Contro un certo relativismo nel determinare i contorni della mente e della cognizione, Dror e Harnad infatti ricordano che mentre un’attività computazionale può distribuirsi lungo diversi supporti (ad esempio mettendo in rete diversi computer), un’emicrania rimane nella testa:

Avere una mente significa essere in uno stato mentale, e uno stato mentale è semplicemente uno stato che si sente (felt state): avere una mente significa sentire qualcosa –sentire qualsiasi cosa (es. un’emicrania). […] Fuori dalle menti non c’è altro che una funzionalità senza mente (privo di sentimenti, privo di sensibilità).308

Per l’idea di mente proposta da Dror ed Harnad, estendere il nostro embodiment e la nostra cognizione non equivale ad estendere la nostra mente. La natura controversa dell’ipotesi della mente estesa risiede proprio sull’ambiguità del concetto di “cognizione” e su cosa si intenda per “avere una mente”. Se per alcuni la cognizione può essere ricondotta a processi neurali che non richiedono uno stato mentale (tesi computazionalista), per altri essa implica intenzionalità, capacità di apprendimento e autonomia, produzione di rappresentazioni e qualia (come l’emicrania).309

In risposta alle critiche Clark e Chalmers ricordano come l’ipotesi non affermi che i meccanismi neuronali del cervello si estendano al di fuori del cranio, bensì che in alcuni casi la cognizione umana possa essere strettamente dipendente e integrata ad alcuni circuiti non-biologici (connessi attraverso varie forme di interazione con il mente-corpo biologico), così da contare come parte attivà e indispensabile del meccanismo che va a comporre la mente.

Allo stesso tempo, l’ipotesi di Clark e Chalmers non solo estende la mente fuori dai confini anatomici dell’essere umano, ma ne mette in discussione i confini all’interno dello stesso sistema nervoso centrale. La mente estesa è infatti una prospettiva che allo stesso tempo nega un centro della cognizione e presuppone così che l’utilizzo di dispositivi extra-neurali diventino parte costituente e in alcuni casi indispensabili di un sistema cognitivo alla stregua di un sottoinsieme del nostro cervello. Questo appunto non significa distribuire i meccanismi che producono la mente cognitiva, bensì far si che il dispositivo che sorregge una determinata architettura mentale sia inestricabilmente legato a processi “esterni” all’SNC (che a sua volta, lo ricordo, è un sistema decentrato e altamente plastico). Così come la perdita o il danneggiamento del mio apparato visivo non cancella la mia mente ma ne limita e ne rimappa le aree cerebrali, altresì la perdita o il danneggiamento di uno strumento cognitivo altamente integrato ai nostri processi mentali come la

308 Itiel Dror e Stevan Harnad, “Offloading Cognition onto Cognitive Technology”, in Id., a cura di, Cognition Distributed. How Cognitive Technology Extends Our Minds, Amsterdam e Filadelfia, John Benjamins, 2008, p. 12. 309 Per una rassegna delle varie teorie della mente v. Pete Mandik, Key Terms in Philosophy of Mind, cit.

mano che utilizziamo per gesticolare durante una conversazione, un quaderno su cui appuntiamo pensieri ed esperienze di vita, fino allo smartphone, rischia di limitare fortemente la nostra capacità di percezione-azione-ragionamento sul mondo e di conseguenza mettere in crisi, rimodulandolo, il nostro intero apparato mentale.

Ora, pensare che le idee, i processi di attenzione e le memorie attivate dai dispositivi esterni al nostro cervello non provengano dal nostro “vero io”, può trarre in inganno. Seguendo questa linea di pensiero infatti, bisognerà credere che anche tutti i processi inconsci che avvengono principalmente nel sottosistema parietale posteriore del nostro cervello non siano parte del nostro “sé”.

Allo stesso tempo, affinché si verifichi una genuina estensione della mente, la circuitazione cognitiva deve possedere due caratteristiche che Clark riassume nei termini “glue and trust” (incollamento e fiducia). L’estensione della mente si determina infatti quando il dispositivo produce esperienze mediate di tipo trasparente e zuhanden (glue), tanto che l’individuo non ne mette in dubbio la veridicità dei risultati. Così come non dubitiamo della nostra memoria cerebrale quando all’improvviso ci “informa” sul luogo in cui abbiamo riposto le chiavi di casa, allo stesso tempo non dovremmo dubitare di una tecnologia GPS che al nostro comando possa guidarci analogamente verso il luogo dove abbiamo riposto le chiavi. Di più. L’estensione del dispositivo mentale non dovrebbe farci dubitare nemmeno di un dispositivo che anticipi la nostra volontà di cercare le chiavi, proprio perché l’input di cercare le chiavi non avviene impartendo un vero e proprio comando cosciente alla nostra mente. Io non dico, mentalmente, a me stesso: “ora cerca le chiavi”. Io, a fronte della mancanza delle chiavi, con una certa rapidità e automatismo, in un certo senso mi ritrovo a cercarle. Allo stesso tempo ci viene difficile pensare che quando cerchiamo le chiavi di casa siamo in uno stato di incoscienza o di perdita di agentività. In questo senso, nella prospettiva della mente estesa, la nostra mente biologica si estende fisicamente e temporalmente in un dispositivo extra-neurale che estende quella capacità di “preveggenza” percettivo-cognitiva di cui hanno parlato Heidegger e Uexküll.

La prospettiva estesa abbraccia come detto anche quelle tecnologie invisibibili come il linguaggio. Il linguaggio infatti è uno dei primi esempi di dispositivo intra-neurale che è oggi parte “naturale” dell’intelligenza umana:

Molti dei nostri strumenti non sono solo sostegni o aiuti esterni ma sono parti integrali e profonde del sistema di risoluzione dei problemi che oggi noi conosciamo come “intelligenza umana”. Questi strumenti sono meglio concepibili come parti integranti dell’apparato computazionale che costituisce la nostra mente.310

La nozione di linguaggio come “tecnologia cognitiva” è un’arma a doppio taglio: da un lato, è una nozione condivisa sia dal pensiero analitico che continentale, dall’altra tende a connotarsi di antropocentrismo, senza rilevare come anche altre specie animali abbiano sviluppato in maniera differente ma altrettanto efficace vere e proprie tecnologie cognitive di comunicazione a cui anche l’uomo, attraverso le ricerche cibernetiche e biomimetiche311, ha saputo attingere.

Se la mente estesa rientra a tutti gli effetti nella visione computazionalista della mente, Clark prende le distanze dalla metafora concettuale cognitivista (“La Mente come un Computer”) per definire la mente come una “ecologia a sciame fatta di molteplici parti eterogenee”.312

Nell’ipotesi della mente estesa si può trovare un’ulteriore rafforzamento, sul piano analitico ed empirico, per un rinnovamento della nozione di dispositivo come interfaccia di collegamento fra natura e cultura, e non come techné imposta dall’alto su una zoé. Di conseguenza la mente umana è un vero e proprio dispositivo che dispone e si dispone nell’ambiente, sistema allopoietico più che autopoietico, che stringe relazioni ecologiche e simbiotiche con altri apparati (sotto insiemi dell’SNC , media tecnologici, tecnologie intelligenti).