Sezione I – Dispositivo
3.1 Umwelt theory: Heidegger, Uexküll, Gibson
3.1.4 Esperienza mediata
A conclusione di questa triangolazione teoretica, vorrei affrontare più specificatamente il tema dell’esperienza mediata che in Heidegger e Gibson è affrontato direttamente in alcuni contributi molto significativi, mentre in Uexküll non è altrettanto esplicito.
Scrive così Heidegger:
Tutte le forme di accelerazione della velocità a cui siamo oggi più o meno costretti spingono a superare la lontananza. Con la «radio», ad esempio, l’Esserci attua oggi un dis-allontanamento del «mondo», non ancora ben chiaro nel suo significato esistenziale, mediante un ampliamento e una distruzione del mondo-ambiente (umwelt) quotidiano.266
Qui Heidegger ragiona sugli effetti del medium radiofonico in termini di ampliamento e distruzione dell’umwelt, e si pone l’interrogativo di quali siano i significati esistenziali, oltre che percettivi, di questo doppio effetto. Ampliamento e distruzione che anticipano in un certo senso il dualismo mcluhaniano fra estensione e amputazione dei sensi, utilizzando una metafora spaziale per indicare il rapporto di vicinanza o lontananza “ambientale” fra mente e media. Sulla differenza fra occupazione di uno spazio fisico e presenza, Heidegger puntualizza:
L’Esserci comprende il suo «qui» a partire da un «là» del mondo ambiente. Il “qui” non significa il “dove” di una semplice-presenza, ma il «pressoché» di un dis-allontanare esser- presso...unitamente a questo dis-allontanamento stesso. In conformità con la sua spazialità, l’Esserci non è mai innanzitutto “qui”, bensì in quel “là”, a partire dal quale esso ritorna al suo «qui» e ciò, di nuovo, solo in quanto esso interpreta il suo esser-prendente-cura di... a partire da ciò che “là” è
265 Ibid.
utilizzabile.267
Infatti, sulla modalità d’uso di un mezzo (zeug) come gli occhiali, Heidegger spiega che nonostante siano appoggiati sul nostro naso, la loro modalità d’uso è “ambientalmente” più lontana di quella di un quadro appeso al muro tanto che “questo mezzo è così poco vicino da non essere in un primo momento nemmeno percepito”.268 Lo stesso vale per la strada, che ci appare lontana,
poiché la nostra attenzione ambientale è rivolta, ad esempio, su una persona che incontriamo a trenta passi da noi. Heidegger introduce in Essere e tempo il termine “prendersi cura” (sorge), il cui significato, in una prospettiva ecologica, è molto simile a quello di intenzionalità o attenzione.
In questi esempi Heidegger sta descrivendo una tecnologia trasparente determinata dall’essere incarnati nel mondo. Le disposizioni o orientamenti “preveggenti”, cioè afferenti ai meccanismi dell’inconscio cognitivo co-determinati dall’esserci del corpo nel mondo, hanno il carattere di dis-allontanare o direzionare la nostra percezione. Una percezione che è aptica, incarnata e strettamente legata all’utilizzabilità dell’ambiente, tanto da farci “sentire” una cosa lontana quando spazialmente vicina, o ancora, far sentire il nostro corpo e la nostra presenza “là” piuttosto che “qui”. Essa si radica nel linguaggio di tutti i giorni, per mezzo del quale esprimiamo una misurazione ambientale attraverso l’utilizzabilità e la direzionalità che la circospezione ci suggerisce (“dista una passeggiata”, “è lontano una fumata di pipa”, ecc.), replicando quella funzione che Lakoff e Johnson chiamano “metafora concettuale incarnata”.
Che ruolo giocano i media in questa prospettiva? Per Heidegger, i media come la radio o gli occhiali sono mezzi (zeug) non quando vengono percepiti come semplici oggetti presenti ma quando diventano a zuhanden, cioè trasparenti alla nostra appercezione. Mentre l’essere “a portata di mano” è facilmente riconducibile all’uso pratico di un oggetto come il martello (dotato di un’ergonomia atta a favorirne la “presa” manuale), l’esempio della radio utilizzato in Essere e Tempo sposta l’attenzione su un piano, apparentemente, più astratto e immateriale (nonostante, anche l’apparecchio radio, sia dotato di un design ed ergonomia). Il dis-allontanamento della radio infatti non si manifesta mediante un contatto fisico con l’artefatto ma attraverso la percezione acustica “a distanza” (un senso a cui Heidegger, insieme alla vista, attribuisce il carattere della lontananza) che ci “trasporta” in un altrove, in un “là”, anche se l’Esserci rimane spazialmente “qui”. Qui Heidegger affronta nient’altro che la nozione di telepresenza.
Non solo Heidegger ma anche Uexküll e Gibson si sono pronunciati nei riguardi dell’esperienza mediata, con particolare riferimento al cinema. Gibson mostra come il cinema offra un esperienza “indiretta” della realtà, grazie soprattutto ai movimenti di macchina che replicano o
267 Ibid. p. 137. 268 Ibid., p. 136.
quasi i meccanismi della visione ambulante e della percezione ecologica.
Come anticipato, alla fine degli anni ottanta la “psicologia ecologica” di Gibson è diventata oggetto di studio anche per la ridefinizione del dispositivo cinematografico. Joseph Anderson ha proposto e sviluppato un approccio ecologico allo studio dell’esperienza spettatoriale che si è mosso in parallelo al cognitivismo-analitico di Bordwell e Carroll (che si concentrava invece sulla comprensione della narrazione filmica attraverso le capacità inferenziali e categoriali della mente) senza però registrare un’analoga diffusione negli studi di cinema. Come ricorda Casetti, questo approccio ha molte affinità con le tesi della filmologia,269 ma come ho mostrato in precedenza, anche con alcune strade di derivazione fenomenologica intraprese da Christian Metz. Riferimenti al cinema, in particolare al ruolo del montaggio e dell’inquadratura soggettiva analizzato dallo stesso Gibson, offrono il gancio a Anderson per denunciare la resistenza dei teorici della Grand Theory degli anni settanta ad aggiornarsi sulle scoperte “empiriche” della psicologia, come ad esempio l’invalidazione della teoria della “persistenza retinica”.270
Particolarmente importante per la mia trattazione è il capitolo dedicato all’esperienza cinematografica (“Motion Pictures and Visual Awareness”), dove Gibson si cimenta in un campo non a lui congeniale e lo spinge a formulare ipotesi davvero al limite dell’orizzonte analitico su cui invece si fonda la sua teoria. Qui Gibson afferma senza mezzi termini che l’esperienza filmica renda possibile non solo una percezione indiretta dell’ambiente sullo schermo, ma attivi anche una “consapevolezza non-percettuale” (nonperceptual awareness) da parte dello spettatore. Attraverso l’immaginazione infatti, lo spettatore può avere una percezione, un piacere, una conoscenza di “seconda mano” tramite il rapporto di simpatia e empatia con il genere cinematografico e la narrazione sullo schermo.271
Tuttavia, secondo Gibson, sebbene nessun essere umano sia mai stato illuso permanentemente da un’immagine, l’illusione di realtà che essa produce è presente.272 Questa
illusione di realtà è assicurata, come nell’esperienza non mediata, dalla riproduzione dell’assetto ottico ambientale fatto di relazioni di colore, spazio e illuminazione. Gibson ricorda come altri metodi siano stati utilizzati per replicare la visione ambientale come i panorami, la stereoscopia, le immagini in movimento, i film in 3D (che a causa della fuoriuscita dallo schermo degli oggetti, Gibson bolla come “innaturali”) e il Cinerama, specialmente nella forma che simula la locomozione passiva vicaria come nelle montagne russe. Questi esempi però mostrano soltanto qualcosa che l’osservatore non poteva vedere, rappresentando una forma di percezione mediata che si basa
269 Francesco Casetti, Teorie del cinema, cit., p.113-114.
270 Joseph D. Anderson, “Preliminary Considerations” in Id., a cura di, Moving Image Theory: Ecological Considerations, Carbondale, Southern Illinois University Press, 2005, pp. 1-6.
271 Ibid., 294-295.
appunto sul “rappresentare” qualcosa piuttosto che simulare l’esperienza ambientale. In questo senso per Gibson, il racconto delle vacanza ad un nostro amico, o la lettura di un racconto, rappresentano una percezione mediata o di “seconda mano”. Infatti nella percezione di seconda mano l’individuo è reso consapevole di ciò che accade al di fuori del suo ambiente, ma non ha consapevolezza di questo ambiente. L’immagine in movimento (che Gibson chiama “progressive picture”) rispetto alla parola è avvantaggiata in quanto permette l’avvicinamento ad una conoscenza (apprehension) del reale che ne replica i meccanismi di conoscenza ambientale (affordance, visione ambulante, occlusione cinetica, invarianti ottiche, ecc.). Al contrario, vedere attraverso la prospettiva non equivale a percepire il campo visivo contenuto nel disegno, ma richiede “un’attitudine pittorica” che produce la sensazione di un mondo visivo che non equivale alle percezione.273 Questo perché le invarianti che trasmettono l’informazione ottica, non sono suscettibili di introspezione analitica, e quindi non permettono una vera e propria percezione, ma solo una sensazione. Nel caso delle immagini illusionistiche o astratte, percezioni alternative possono manifestarsi a partire dallo stesso assetto ottico. In questo caso non si tratta di implicazioni soggettive ma di variabili informative contraddittorie e ambigue possedute dall’immagine stessa. Il conflitto non si crea nei sensi, ma nell’informazione che trasmette ai sensi una struttura ottica contraddittoria.274