• Non ci sono risultati.

Dennett e il dispositivo della coscienza

Sezione I – Dispositivo

3.3 Dispositivi del Sé

3.3.2 Dennett e il dispositivo della coscienza

La natura della nostra ricerca non ci permette di proferire l’ultima parola su questo dibattito tutto interno e ancora in divenire nel campo delle scienze cognitive. Tuttavia vorrei focalizzarmi su una posizione radicale, ma allo stesso tempo di spicco, in questo panorama che è rappresentata dal pensiero di Daniel Dennett. Dennett, non a caso, è citato come una figura ispiratrice per Andy Clark e altri esponenti dell’embodiment contemporaneo e il suo Cosciousness Explained del 1991 ha certamente aperto il campo a numerose ricerche, compresa quella al centro della mia tesi. Anthony Chemero, colloca Dennett in una posizione strategicamente significativa per lo sviluppo delle discipline della mente di stampo analitico (v. Figura 3).370

Figura 3 – Schema tratto da Anthony Chemero, Radi3332cal Embodied Cognitive Science, p. 28.

Come ho accennato in precedenza per Dennett la mente umana è paragonata ad una macchina virtuale seriale installata su un hardware progettato per operare in parallelo. La coscienza e la sua facoltà di utilizzare la memoria episodica si sarebbe sviluppata legando vari sottoinsiemi del cervello e creando una sorta di linguaggio interno alla neocorteccia. Questa caratteristica che per Dennett ci distingue radicalmente dal mondo animale, è dovuta all'assunzione di strategie di autostimolazione e automanipolazione che nel corso dell'evoluzione modificarono la “struttura comunicativa interna ai nostri cervelli”. Conseguentemente attraverso la parola l'Homo Sapiens

imparò non solo a comunicare informazioni con altri simili, ma “parlando a se stesso” a creare “fili virtuali” fra sottoinsiemi del cervello che l'evoluzione non aveva ancora collegato. Così il nostro cervello (un hardware non-conscio a computazione parallela) è stato implementato, o meglio “infettato”, da una “macchina virtuale”371 di tipo neumanniano (cioè seriale) che ha iniziato ad auto-

propagarsi.

Conosciuto come “Modello delle Molteplici Versioni” e nel corso degli anni novanta messa a punto col termine di “Fame in the brain”, la teoria di Dennett è un’alternativa ad un’idea della coscienza di stampo rigidamente fenomenologico e rappresentazionalista che egli definisce “Teatro Cartesiano”. Il Teatro Cartesiano rappresenta il luogo immaginario dove tutti i processi inconsci del cervello convogliano i loro risultati per sottoporli alla revisione finale dello stato di coscienza. Questo approccio ocula-centrico vede gli eventi dell'esperienza cosciente come dei contenuti che vengono messi in scena per il vaglio dell'omuncolo interiore in un determinato spazio-tempo. Per la scuola del Teatro Cartesiano, se la coscienza in quanto intenzionalità è un punto di vista su qualcosa, l'introspezione è parimenti in grado di offrire un punto di vista su sé stessa. Il modello di

Dennett parte invece dal presupposto che aldilà del senso comune, non abbiamo le prove oggettive circa l’esistenza di un luogo, di una soglia temporale, né tanto meno di un autore centrale al quale si manifesti l'esperienza cosciente. La prova della natura auto-ingannante della coscienza è sostenuta a partire da alcuni esperimenti (per la maggior parte di natura ottica) che dimostrano l'incongruenza fra il tempo e la qualità dell'esperienza soggettiva e i relativi processi neurali che si evidenziano attraverso il brain imaging e il monitoraggio delle reazioni galvaniche in corrispondenza di essi.

Dennett paragona le operazioni cerebrali di interpretazione degli stimoli come una molteplicità di processi editoriali che si svolgono in parallelo nel nostro cervello. Ma le informazione ottenute dopo la circuitazione neurale non giungerebbero alla revisione finale di un direttore generale (lo stato di coscienza) bensì continuerebbero a fluire nella pandemia di micro- redazioni incoscienti senza mai arrivare allo status di “bozza finale”. A partire dalle medesime informazioni sensoriali, si generano “molteplici versioni” di una narrazione che entrano in conflitto e competizione fra loro. Nell’aggiornamento di questo modello, Dennett passa da una metafora letteraria ad un'allegoria di stampo socio-culturale. La coscienza costituirebbe il flusso di una “lotta per la celebrità” e il prestigio fra la comunità di micro-unità computazionali del cervello.372 Questi

omuncoli, sottolinea Dennett, non possiedono una coscienza né una psicologia in miniatura, bensì

371 Per Dennett, che si rifà al linguaggio informatico, una macchina virtuale è ciò che ottieni quando imponi una serie di

regole sfruttando la capacità plastica di immagazzinare dati e programmi di un hardware. Secondo la metafora comune quindi, la macchina di Von Neumann, non prende spunto dal funzionamento del cervello (che lavora in parallelo), bensì dall'illusione di coscienza che utilizza dei processi seriali e localizzati (Dennett, 1991: 238).

sono totalmente “unimpressive” da poter essere replicati da una macchina. Così Dennett non concepisce una dicotomia rigida fra processi consci e inconsci, poiché, come abbiamo visto, si rischierebbe di cadere nel Teatro Cartesiano. Sebbene alcuni processi motori siano “trasmessi” nel dispositivo mentale (cioè raggiungano il controllo sulle azioni del corpo) questo non equivale a renderli “famosi” (guadagnare cioè la consapevolezza del soggetto), così come apparire in televisione non trasforma automaticamente una persona in celebrità. La coscienza è un fenomeno che richiede l’attualizzazione di un potenziale, così come la celebrità è tale solo e solo se scatena un “sustained amplification loop”, e non a causa di proprietà disposizionali intrinseche. Possiamo scrivere un ottimo libro, pubblicizzarlo e predisporre una distribuzione a tappeto, ma se un evento molto più importante ci ruba la scena, tutte le disposizioni normalmente sufficienti a garantirci il successo editoriale non serviranno a nulla: “La vera celebrità non è la causa di tutte le conseguenze (aftermath); essa è la normale conseguenza”.373 Il potere “riflessivo” che secondo Dennett è il marchio distintivo della coscienza d’accesso legata ai processi della corteccia, si auto-organizza attraverso la riverberazione e alla coalizione fra agenti informativi a discapito di altre, alla stregua di uno scoop che accenda un dibattito così forte da rimbalzare da un medium all'altro.374

La posizione di Dennett è definita dai suoi detrattori come "eliminativista" perché, rimanendo saldo ad un’impostazione materialista e fisicalista della mente, vede nella coscienza un epifenomeno dell’apparato cerebrale. Per Dennett la coscienza è un “centro di gravità narrativo”, ovvero un fenomeno apparente che viene impiegato o isolato per fini che viene postulato per dare spiegazione a processi computazionali a cui non abbiamo un accesso diretto. Di più, per Dennett non esiste una coscienza fenomenologica in sé, ma essa si crea attraverso l'atto stesso dell'introspezione cosciente (“coscienza d’accesso”). Questo significa che la coscienza non esiste? Non proprio. Come dare allora spiegazione dei qualia e dell’ l’Hard Problem?

Dennett si è difeso da queste critiche contrattaccando. Per Dennett, presupporre l'Hard Problem, significa ricadere nel tranello del Teatro Cartesiano, cioè riportare il dibattito sulla coscienza riferendola ad un revisore finale. Per il filosofo statunitense, è l’idea stessa che ci sia un trucco da spiegare che fa parte dello stesso autoinganno che struttura il senso del Sé: “come molte delle grandi magie, il trucco è stato eseguito ben prima che tu abbia realizzato che fosse iniziato”; così 375 presupporre l'Hard Problem, significa ricadere nel tranello del Teatro Cartesiano, cioè riportare il dibattito sulla coscienza riferendola ad un revisore finale. Svelato il trucco, chi ancora si domanda “cos'è la vera magia” si troverà di fronte ad un paradosso: 'La vera magia si riferisce alla

373 Ibid., p. 136. 374 Ibid., pp. 137-141.

375 Daniel Dennett, Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness, Cambridge (MA), The MIT

magia che non è reale, mentre la magia che è reale, che può essere realmente prodotta, non è vera magia”.376 Senza il sondaggio introspettivo, non esiste una coscienza a priori. La coscienza è

sempre una coscienza di accesso: essa non è coscienza di qualcosa, bensì è quel qualcosa. Ridefinire la coscienza in termini di “coscienza d'accesso” ed eliminare la dicotomia conscio/inconscio, soggetto/oggetto, sono le strategie teoriche con cui Dennett difendendosi dalle critiche ha ulteriormente sviluppato il suo pensiero.377

In un ragionamento che possiede forti analogie con l’idea di processo enunciativo nel dispositivo di Michel Foucault e poi in quello cinematografico dell’ultimo Metz, Dennett parla in ultimo della coscienza come di un “centro di gravità narrativo” e della produzione del senso del sé come l’’incessante “tessitura” (spinning) di una “ragnatela di discorsi”. Così come l’animale modella la sua umwelt attraverso la disposizione e la costruzione di elementi nel mondo, il linguaggio, ancora una volta, è per Dennett la prima tecnologia cognitiva umano che ci ha permesso di costruire e ri-costruire la nostra esperienza cosciente. Come in Foucault nei confronti della “coscienza storica”, anche la coscienza fenomenologica è un prodotto di questa tessitura molteplice, non la sua fonte.378 La coscienza è centro di gravità narrativo poiché sostanzialmente lacunosa e richiedente costante riscrittura. Se il lettore crede nell’universo di Sherlock Holmes senza il bisogno di sapere i minimi dettagli della vita del personaggio, né di leggere tutti i romanzi a lui dedicati, la coscienza di accesso non ha bisogno di accedere a tutte le informazioni su di sé per emergere in quanto tale. Al contrario, ad uno sguardo scientifico esterno (in ideale analogia con Nietzsche) la coscienza ci appare piena di vuoti, sfasature e contraddizioni.

376 Ibid., p. 58.

377 Cfr. Massimo Marraffa, “La teoria della coscienza di Daniel C. Dennett: guida agli approfondimenti bibliografici”

(2008) in Daniel Dennett, Coscienza, cit., pp. 573-584.

378 Nell’idea di coscienza come tessitura di una “macchina virtuale”, Dennett ne ricava una sorta di “materialismo

trascendentale” con cui postula l'immortalità dell'uomo. In linea di principio, e come avviene nei fenomeni di Personalità Frazionata (un unico Sé in più corpi), un Sè può replicarsi aldilà del proprio corpo.