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Tecnologie cognitive

Sezione I – Dispositivo

3.2 Il dispositivo della mente

3.2.7 Tecnologie cognitive

La distribuzione della mente nell’ambiente non è un’idea nuova e insieme ai già citati riferimenti alla cibernetica e alla psicologia ecologica di Gibson, Hutchins richiama anche quel corpus di teorie storico-culturali affermatisi a partire dagli anni venti che egli definisce CHAT (Cultural-Historical Activity Theory).334 Centrale in questo ramo è il lavoro di Lév Vygotskij. Come riporta Hutchins, è lo psicologo sovietico a coniare negli anni settanta il termine “artefatti cognitivi” per indicare quegli oggetti simbolici, meccanici, artistici, architettonici che fungono da “props” cognitivi per lo sviluppo del bambino e dei processi inter ed intra-psicologici di cui è composta e attraversata la “società delle menti”.335 Oggi, in un’accezione estesa possono considerarsi tali i segni del progresso delle stagioni, il cruscotto di un veicolo, la disposizione delle stelle, le strategie di mnemotecnica e tutto ciò che fa parte dell’ambiente culturale e contribuisce ad orchestrare processi cognitivi di ordine superiore.336

Più di recente, Marcelo Dascal, Itiel Dror e Steven Harnad hanno formulato la nozione di “tecnologie cognitive” per designare quei dispositivi che (i) permettono nuove forme di cognizione distribuita fra persone a livello quantitativo e qualitativo (come nella teoria della cognizione distribuita), (ii) diventano parte integrante del processo cognitivo umano (come nell’ipotesi della mente estesa) e (iii) rimpiazzano e rivoluzionano certi aspetti della cognizione umana, producendo cognizione per noi, non solo con noi:

In questo senso esse vanno aldilà dell’integrare la cognizione umana; anziché giocare un ruolo di facilitazione esse subentrano e rimpiazzano completamente certi aspetti nella cognizione umana. Qualora queste tecnologie diano alla luce nuove forme di cognizione, come la cognizione distribuita, o esse producano cognizione con noi e per noi, queste tecnologie segnano un cambio fondamentale nel ruolo che giocano nelle attività umane. Queste tecnologie sono meglio definite tecnologie cognitive (Dascal e Dror, 2005).337

333 Edwin Hutchins, “Cognitive ecology”, cit., p.710. 334 Ibid., p. 712.

335 Cfr. Lev Vigovskij, Mind in Society. The Development of Higher Pyschological Processes, Harward, Harward

University Press, 1978, cit. in Edwin Hutchins, “Distributed Cognition”, cit., p. 5.

336 Cfr. Edwin Hutchins, Cognition in the Wild, Cambridge, The MIT Press, 1995.

337 Itiel Dror, “Gold Mines and Land Mines in Cognitive Technology”, in Id., a cura di, Cognitive Technologies and the Pragmatics of Cognition, Amsterdam e Filadelfia, John Benjamins, 2007, p. 1. La citazione finale si riferisce a

Marcelo Dascal e Itiel Dror, “The Impact of Cognitive Technologies”, «Pragmatics and Cognition», n. 13, 2005, pp. 451–457.

Le tecnologie a cui si fa riferimento sono principalmente le nuove tecnologie digitali, in particolare le così dette TEL (Technology Enhanched Learning), strumenti formativi e di sviluppo cognitivo basati sull’interazione e la cooperazione fra utenti, come nel caso di videogiochi educativi (serious game), tecnologie di realtà virtuale e aumentata, e applicazioni di social networking.

Allo stesso tempo Dror e Harnad offrono una panoramica convincente sulle attuali criticità dell’approccio esteso e distribuito alla cognizione. In primo luogo, come già accennato, bisogna capire quali sistemi offrano una reale distribuzione degli ingranaggi cognitivi e quali invece offrano una semplice dislocazione dei dispositivi di input/output del corpo; in secondo luogo, l’arbitrarietà del sistema di riferimento determina diverse tipologie e ordini di cognizione (quella atta a mantenere le funzioni vegetative di un organismo, o quella atta, come nell’esperienza filmica, alla comprensione una narrazione audiovisuale).338 Poiché lo stato mentale presuppone un’esperienza sensomotoria soggettiva, per Harnad e Dror non esiste una vera e propria distribuzione cognitiva della mente: in fondo, ricordano gli studiosi, non si può “distribuire” un mal di testa. Tuttavia l’accelerazione della velocità di pensiero permessa dalle tecnologie interattive sta attivamente cambiando il nostro modo di pensare, imparare e comunicare tanto da “rinfrescare” (refreshing) le nostre menti. 339 Riportando questo studio sulla quotidiana esperienza di mediazione offertaci dall’attraversamento di numerose interfacce grafiche (cinema, tv, desktop), diverse ergonomie (tastiere, joypad, touch screen), l’utente umano è certamente sottoposto a continui refresh dell’assetto ottico ambientale che non solo guidano la sua locomozione (pensiamo ai dispositivi di navigazione gps posizionati come assetti ottici aggiuntivi sui cruscotti delle automobili), ma ricalibrano anche i suoi circuiti emulatori e sensomotori, fornendo nuove strade di problem solving e di produzione di ambienti e di agentività.

Come vedremo nel capitolo dedicato ai “Dispositivi del Sé”, narrazioni e immagini in movimento possono essere definite a tutti gli effetti artefatti cognitivi e contribuiscono attivamente a dare senso al nostro ambiente e al nostro sé.

Anche Andy Clark entra nel dibattito sulle tecnologie cognitive e, citando brevemente i concetti di zuhandenheit e vorhandenheit di Heidegger, distingue fra un uso “trasparente”, cioè che avviene a livello dell’inconscio cognitivo, e uno “opaco”, cioè coscientemente attento, con cui l’individuo controlla e dispone degli strumenti.340 Come ho mostrato, oltre ad Heidegger, questa

distinzione richiama anche il concetto di prima e seconda tecnica in Benjamin, sebbene con una distinzione. Mentre per il filosofo tedesco la tecnica rimanda sempre agli scambi fra un apparecchio tecnologico e il bios della persona, in Clark le tecnologie “trasparenti” fanno parte del bios stesso,

338 Itiel Dror e Stevan Harnad, “Offloading Cognition onto Cognitive Technology”, cit., pp. 1-24. 339 Ibid., p. 21.

ne sono biologicamente e non solo tecnologicamente innervate. Più sono trasparenti le tecnologie intra ed extraneurali, più l’estensione della mente e la distribuzione cognitiva saranno potenziate. Ma come sosteneva Heidegger, sebbene l’essere umano si relazioni all’ambiente e agli apparecchi in modo trasparente (cioè zuhanden), la capacità di oscillare fra una modalità trasparente e opaca è forse il tratto distintivo che lo distingue dall’animale. Di questo mi occuperò nel prossimo capitolo.

Per ora vorrei ribadire come l’uso trasparente di una tecnologia, intra ed extra-neurale, possa essere studiato sotto una prospettiva che possa decentrare l’attività del sistema nervoso centrale. Il processo di problem-solving che instauriamo attraverso la scrittura a mano, attraverso l’uso di uno smartphone o di un bastone da parte di un non vedente, è proprio il sistema formato fra componente biologica e non-biologica.

Ancora una volta l’embodiment non riguarda quindi solamente il “corpo umano” ma è una prospettiva che guarda alla cognizione come sistema distribuito, dove cultura, mente e ambiente sono sempre situati in un contesto in mutuale co-evoluzione. Questa è anche una possibile spiegazione, per Edwin Hutchins, del fatto che molti dei nostri artefatti rispecchiano ciò per cui le disposizioni incarnate degli uomini si sono evolute: riconoscere pattern, modellare mondi semplici, manipolare oggetti, ecc.341 Come ho mostrato nel caso della rotazione di oggetti mentali, anche la manipolazione alla mano di oggetti reali rappresenta l’estensione di un circuito emulatorio in grado di amplificare e distribuire la cognizione nell’ambiente. Possiamo ricavare un esempio nell’uso di uno strumento antico come l’abaco fino al famoso video game “tetris”. Nello studio di David Kirsh basato su quest’ultimo gioco, il movimento eseguito per ruotare i mattoncini non ha solo la funzione “pragmatica” di farli combaciare fra loro in modo da formare una linea continua, ma anche e soprattutto un ruolo “epistemico” o “euristico”.342 La difficoltà del gioco infatti consiste nel far

combaciare una serie di mattoncini di diversa forma che precipitano dall’alto verso il basso. Per comprendere se un mattoncino possa combaciare con gli altri, si può eseguire una rotazione mentale dell’oggetto (come negli esperimenti di Shepard) oppure ruotarlo di novanta gradi per volta tramite un apposito comando di gioco. Optando per la seconda soluzione, la nostra attività cognitiva si semplifica. Riducendo gli errori e aumentando la precisione, l’impiego di queste strategie emulatorie extra-neurali aumentano le capacità predittive e performative del sistema cognitivo di cui l’individuo è parte, e che secondo Kirsh merita di essere studiato anche sul piano etnografico.343

341 Edwin Hutchins, “Distributed Cognition”, 18 Maggio 2000, p. 8, reperibile presso

http://comphacker.org/pdfs/631/DistributedCognition.pdf.

342 David Kirsh, “Distributed cognition: a metodological note”, in Itiel Dror e Stevan Harnad, a cura di, Cognition Distributed, cit., pp. 57-70.