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Coscienza ed esperienza mediata: il dibattito contemporaneo

Sezione I – Dispositivo

3.3 Dispositivi del Sé

3.3.1 Coscienza ed esperienza mediata: il dibattito contemporaneo

Murray Smith ricorda come sia l’approccio psicanalitico sia quello cognitivista alla coscienza, abbia notevolmente influenzato le teorie del cinema sebbene la relazione tra film e coscienza rimanga un terreno ancora molto inesplorato.361 Se psicanalisi e scienze cognitive idealmente concordano sul fatto che la maggior parte dell’attività mentale si svolge a livello inconscio, lo studio dell’esperienza mediata mette in crisi anche l’autonomia di quelle esperienze ritenute pienamente coscienti, poiché basati su intenzionalità e auto-riflessività.

Smith ricorda il caso della così detta “cecità inattenzionale” (inattentional blindness), ovvero l’incapacità di percepire determinati cambiamenti e invarianti dell’assetto ottico che determinano permettono l’effetto di continuity del montaggio filmico.362 Analogamente i fenomeni di visione cieca (blindsight) studiati da numerosi neuroscienziati, proverebbero che un certo tipo di

359 Sul rapporto fra esperienza mediate e animalità v. Lavinia Brydon e Alena Strohmaier, a cura di, Animals, «Necsus.

European Journal of Media Studies», Primavera 2015.

360 Cfr. Gilbert Simondon, L’Individuation psychique et collective (1989), tr. It. L’individuazione psichica e collettiva, a

cura di Paolo Virno, Roma, DeriveApprodi, 2006; Paolo Virno, Grammatica della moltitudine. Per un’analisi delle

forme di vita contemporanee, Roma, DeriveApprodi, 2002; Vilém Flusser, “Schamanen und Maskentänzer” (1989),

tr. it., “Sciamani e danzatori mascherati” in Id., Filosofia del design, Milano, Mondadori, 2003, p.117-121; Roberto Esposito, Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, cit.

361 Murray Smith, “Consciousness” in Paisley Livingston e Carl Plantinga, a cura di, The Routledge Companion to Film and Philosophy, New York e Londra, Routledge, 2009, p. 41.

visione possa realizzarsi bypassando la coscienza. In generale l’esperienza mediata attiva una circuitazione sensomotoria ed emulatoria che si manifesta al soggetto cosciente solo in determinate circostanze. In questo quadro epistemologico la coscienza è una nozione molto complessa, poiché nel campo della filosofia della mente i modelli e le metodologie di ricerca sono mutevoli.

Il primo duello mette a confronto le teorie della coscienza inseparatiste con quelle separatiste. La scuola inseparatista concepisce la coscienza come un fenomeno unitario che sebbene emerga da una moltitudine di processi inconsci, sia da intendersi, nel suo output autocosciente, come un processo unitario e totalizzante. Al contrario i separatisti tendono a dividere una forma di coscienza riflessiva o d’accesso (a-consciusness) legata a processi di pensiero astratto, immaginario e off-line, da una coscienza fenomenica (p-consciousness) che riguarda stati emotivi e qualitativi dell’esperienza soggettiva, come il dolore, la paura e tutta quella gamma di “sensazioni ineffabili” che non sono direttamente esprimibili attraverso il linguaggio. Quest’ultima forma di dualismo si basa anche sulla divisione fra una coscienza primaria (legata appunto a processi cognitivi di ordine superiore localizzati nella neocorteccia prefrontale) ad una secondaria, legata al sistema limbico e subcorticale (la zona più antica del cervello) responsabile dei così detti “qualia”. Nel mezzo di questi due poli esistono ulteriori posizioni.

Alidlà di cosa sia o non sia ascrivibile allo stato di coscienza, altri campi di ricerca cercano di dare una spiegazione analitica allo stato di coscienza stesso. Se generalmente si ritiene che la coscienza sia un processo fatto di molteplici contenuti che convogliano in uno stato unitario finale (unified consciousness), altri studi ipotizzano la compresenza di più stati di coscienza che vengono modulati a seconda della nostra intenzionalità (co-consciousness), oppure che il così detto “flusso di coscienza” che esperiamo quotidianamente sia il frutto di una serialità di micro-coscienze che si agganciano una dopo l’altra (joint-consciousness) come nel caso dei fotogrammi cinematografici.363

Ci si domanda inoltre se un certo tipo di coscienza sia ascrivibile ad ogni tipo di organismo dotato di agentività (sia esso di natura biologica o sintetica) o se sia una caratteristica peculiarmente animale. Notoriamente, con il suo saggio “How is like to be a bat” (1974) Thomas Nagel lancia un attacco alle tesi inseparatiste di stampo materialista rivendicando il fatto che un organismo può ritenersi “cosciente” solo e solo se si prova qualcosa ad essere quel determinato organismo.364 Per

gli inseparatisti che invece guardano principalmente all’impianto neurofisiologico della mente, la coscienza si manifesterebbe solo sotto una certa frequenza di comunicazione neurale e coinvolgerebbe alcune precise aree del cervello, sia nel caso di coscienza d’accesso che fenomenica. In questo caso, come afferma Andy Clark, raggiungendo un interfacciamento intra ed

363 Cfr. Paul Raymont e Andrew Brook, “Unity of Consciousness”, in Oxford Handbook of Philosophy of Mind, cit., pp.

55-577.

extra neurale che viaggasse sotto una determinata soglia di comunicazione, si potrebbero estendere materialmente i meccanismi della mente al di fuori del cervello.365

Il passaggio fra la materialità dei processi computazionali che avvengono all’interno di un sistema neurale e l’emergenza dell’esperienza qualitativa cosciente è il così detto Hard Problem che divide da sempre la comunità scientifica ed è implicitamente al centro della questione ontologica dell’essere umano.

Queste posizioni sono alimentate inoltre dalla mancanza di un’opinione comunemente accettata dalla comunità scientifica su che cosa si intenda per “coscienza”. Infatti le stesse teorie della coscienza possono prendere come oggetto di esame diverse concezioni o scale di coscienza, che si possono dividere in tre insiemi: (i) creature consciouness, ovvero lo stato diffuso di consapevolezza legato alla veglia, che si “disattiva” durante il sonno o il coma; (ii) transitive consciousness, legata ai processi intenzionali e auto-riflessivi e (iii) state consciousness, che riguarda l’esperienza soggettiva dello stare al mondo, compresi i qualia, le appercezioni, le emozioni e le rappresentazioni mentali.366 Nella mia trattazione e negli studi che ho incontrato, è principalmente quest’ultima definizione di coscienza che viene presa in esame.

Come si è potuto constatare i processi legati all’inconscio cognitivo non posso essere considerati parte della nostra esperienza cosciente sebbene ne determinino l’insorgenza e rappresentino la maggior parte dei processi cognitivi che avvengono nei cicli di percezione-azione- ragionamento della mente-corpo. Allo stesso tempo questi processi automatici possono balzare all’attenzione della coscienza in momenti “salienti”, come quando un performer si concentra intenzionalmente su un piccolo dettaglio del movimento del suo corpo per eseguire un azione particolaremente complessa. Di contro, è altrettanto vero il contrario. Il così detto stato di “flusso” indotto nei momenti di massimo imbrigliamento fra la coscienza razionale e la mente emotiva durante lo svolgimento di attività altamente specializzate come la chirurgia, la composizione, e in generale nelle attività altamente performative, sposta l’asse del processo cognitivo proprio dal fattore razionale ed intellettuale a quello embodied e pre-riflessivo, sottolineando come si possa cadere in una sorta di stato di “trance” e non avere memoria delle azioni eseguite durante quel preciso stato cognitivo.367 Attenzione intenzionale e stato di flusso sono ancora due caratteristiche che emergono rispettivamente tramite un uso trasparente e opaco di una tecnologia, e in cui lo state consciousness può attivarsi, disattivarsi o “trasformarsi”.

Come abbiamo visto il rapporto fra coscienza e percezione è stato fondamentale per lo

365 Clark Andy, “Spreading the Joy? Why the Machinery of Consciousness is (Probably) Still in the Head”, cit., p. 21. 366 Cfr. Kolak, Hirstein, Mandik e Waskan, Cognitive Science. An Introduction to Mind and Brain, Londra, Routledge,

2006.

367 V. Daniel Goleman, Emotional Intelligence, Why It Can Matter More Than IQ, Bantam Books, New York, 1995, tr.

studio della mente e della soggettività e alcune teorie sulla coscienza prendono spunto proprio dallo studio di particolari fenomeni percettivi per sviluppare idee sulla coscienza, determinando così il così detto “binding problem”: come possono i percetti fisici o astratti, le emozioni e i pensieri essere combinati in un’unica esperienza cosciente? In una tradizione legata al kantismo, l’unità della coscienza si esplicita attraverso la capacità di dedurre e fare esperienza del mondo attraverso le categoria trascendentali. La dis-unione della coscienza invece è stata recentemente studiata dalle neuroscienze attraverso i casi disabilità causati da danni cerebrali come il fenomeno della simultagnosia (la capacità di vedere un solo oggetto alla volta in un tempo e spazio separati dal resto dell’ambiente). In linea generale, discipline analitiche e continentali concordano sul fatto che l’esperienza sia sempre plurisensoriale e che non esistano processi come la “coscienza visiva” o la “coscienza auditiva” la cui somma dia come risultante la coscienza unitaria finale.368

Gli scontri nel campo degli studi sulla coscienza si dividono ulteriormente fra rappresentazionalisti e anti-rappresentazionalisti. Per il rappresentazionalismo c’è una differenza fenomenica fra due diverse esperienze a causa della loro differente rappresentazione mentale mentre possono esistere uguali contenuti esperienziali o dati sensoriali che si rappresentano a noi in modo diverso. Si può notare come queste tesi facciano leva in larga misura su esempi di natura visuale come effetti ottici, viste sfocate e periferiche.

L’anti-rappresentazionalismo invece non crede che la coscienza sia basata su un sistema di rappresentazione fenomenica, e, nella sua versione “eliminativista”, arriva a supporre che non esistano rappresentazioni mentali di alcun tipo. Il caso della visione cieca è l’esempio estremo di un tipo di coscienza che non richiede una rappresentazione. In questo caso però i sostenitori della divisione fra coscienza d’accesso e coscienza fenomenica dicono che si tratta di un’esperienza fenomenale e non d’accesso della coscienza.369

368 V. anche Tim Bayne e David Chalmers, “What is the Unity of Consciousness?”, in The Unity of Consciousness. Binding, Integration, Dissociation, a cura di A. Cleeremans, Oxford, Oxford University Press, 2003.