Sezione II Media Archeologia della mente
4.4 Console e wearable media
4.4.2 Ritorno alla Realtà di Virtuale: smartphone, wearable media, cartone
Lettori mp3, GPS, iPod, tablet e infine smartphone e smartwatch. A cavallo fra il nuovo e il vecchio millennio si è verificata una significativa accelerazione nella trasformazione e nella costruzione dei così detti mobile o wearable media. Questi “nuovi media” come la teoria e il marketing iniziarono a chiamarli, nascevano dalla rimediazione delle funzioni dei vecchi media in nuovi (ad esempio dal giornale cartaceo all’ipertesto), dalla convergenza di più media in un unico dispositivo multifunzionale (come il home computer), o come affermava Lev Manovich nella progressiva modularità e trans-codicità dei media che influivano sulla comprensione e rappresentazione del sé.485 Secondo Erkki Huhtamo, la teoria dei media degli anni duemila si è poco soffermata sulla genealogia dei dispositivi portatili, concentrandosi sulla mobilità dell’essere umano e affrontando la questione della mobilità dei media come un’invenzione dell’ultimo decennio.486
William Mitchell iscrive i mobile media in un processo di progressiva miniaturizzazione e portabilità dei media a partire dalla rivoluzione industriale, nel tentativo da parte dei designer, ma aggiungerei anche delle tecnologie stesse, di trasformarsi da elementi architettonici a parti integranti del nostro corpo.487
Come ho mostrato, la costruzione di dispositivi mobili di telepresenza reali e immaginari ha attraversato oltre due secoli di storia della tecnologia, e come ricorda Huhtamo, ha mostrato periodi di vera a propria “mania” come nel caso degli apparecchi stereoscopici del periodo vittoriano o l’heyday della realtà virtuale fra gli anni ottanta e novanta.488
Per focalizzare il mio discorso e concludere la mia archeologia degli embodied media su un caso di studi contemporaneo, mi concentrerò sulla singolare convergenza che sta avvenendo fra smartphone e dispositivi per la realtà virtuale.
Infatti proprio in questi ultimi anni stiamo assistendo ad una nuova era della realtà virtuale, in termini di innovazione tecnologica, di distribuzione commerciale e di conseguenza di re- introduzione nell’immaginario collettivo dei così detti paesi del “primo mondo”. Questo ritorno di fiamma, sicuramente germogliato dalla sedimentazione di tutti quei percorsi tecnologici, immaginari ed esperienziali che abbiamo analizzato dall’inizio del capitolo, si realizza nel 2010 in
485 V. Jay David Bolter e Richard Grusin, Remediation. Understanding New Media (2000), tr. it., Remediation. Competizione e integrazione fra vecchi e nuovi media, Milano, Guerini & Associati, 2003; Henry Jenkins, Convergence Culture. Where Old and New Media Collide (2006), tr. It. Cultura Convergente, Apogeo, Milano,
2007; Lev Manovich, The Language of New Media (2001), tr. it. Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Edizioni Olivares, 2002.
486 Cfr. Erkki Huhtamo, “Pockets of Plenty: An Archaeology of Mobile Media”, cit.. 487 William J. Mitchell, Me++, cit., p. 63.
un garage di Long Beach ad opera del diciottenne Palmer Luckey.489 Cresciuto con l’immaginario
della realtà virtuale tramite film come Matrix e anime come Yu-Gi-Oh! (Kazuki Takahashi, 2000- 2004) Luckey investe i soldi guadagnati modificando console e riparando iPod per acquistare oltre 50 vecchi esemplari di visori per la realtà virtuale tramite i quali assembla un primo prototipo (PR1) nel 2010. Il mancato effetto di telepresenza e immersione era inoltre determinato dallo scarso campo di visione dei visori, della bassa qualità delle immagini 3D a causa del basso contrasto dei visori a cristalli liquidi (motivo per cui il Virtual Boy, ad esempio, fu rilasciato in monocromia led), ma sostanzialmente il grande scoglio della realtà virtuale era rappresentato dal vero e proprio senso di nausea causato dal periodo di latenza fra i movimenti della testa e corrispettivi cambiamenti dell’ambiente, attanagliato gli sviluppatori negli ultimi vent’anni. Dopo aver presentato le sue ricerche attraverso i forum di videogame nel corso dei due anni successivi, Luckey attira l’attenzione di John Curmack della IdSoftware, ingegnere texano padre dei videogiochi in soggettiva come e Doom (1993) e Duke Nukem 3D (1996).
La chiave del successo dei vari prototipi di Luckey dal primo al sesto, chiamato appunto Rift, Luckey è l’assenza di latenza fra i movimenti della testa e quelli corrispondenti dell’assetto ottico dell’ambiente virtuale e l’estrema ampiezza del campo visivo permessa dall’utilizzo di un display ultrasottile e l’applicazione di lenti stereoscopiche. Dopo il successo alle fiere di videogiochi E3 di Los Angeles, Luckey fonda la Oculus VR Inc. e ingaggia Nirav Patel, un ingegnere Apple che applicò un algoritmo di predizione dei movimenti (un emulatore) per ridurre ulteriormente i tempi di latenza e sviluppò un sistema di tracciamento dei movimenti composto da accelerometro, giroscopio e magnetometro che permettevano di seguire dettagliatamente i movimenti della testa.
Da queste innovazioni, nell’aprile 2014 Facebook acquista Oculus VR per l’esorbitante cifra di 2 miliardi di dollari, continuando a lasciare ampia libertà al team di sviluppatori capitanato di Luckey.490 All’indomani dell’acquisto, Mark Zuckerberg, CEO di Facebook, immaginava così le potenzialità della nuova tecnologia all’interno della piattaforma social media: “Sentendoti realmente presente, potrai condividere spazi ed esperienze senza confine con le persone della tua vita. Immagina di condividere non solo i momenti con i tuoi amici online, ma intere esperienze e avventure.”491 L’idea di mindmelding sembra nuovamente tornare non solo nell’immaginario
489 Le informazioni che seguono sono tratte da uno speciale di Wired dedicato a realtà virtuale e wearable media che
ospita un’intervista al team di Oculus Rift. V. Peter Rubin, Maurizio Pesce, Dario Marchetti, “Oculus Rift, la realtà virtuale non è mai stata così reale”, «Wired», n. 63, Giugno 2014, pp. 56-73.
490 Per un’analisi delle implicazioni politico-sociali dei social media come dispositivo v. Gatti Giuseppe, “Exit Through
the #followershOp. Within, Against and Toward a Social Media Archaeology”, «Cinergie», Shifting Layers, 2016 (in pubblicazione).
491 Mark Zuckerberg, 24 Marzo 2014, https://www.facebook.com/zuck/posts/10101319050523971, ultimo accesso 11
narrativo ma anche nella concreta prospettiva tecnologico-economica che muove il lavoro e i capitali di grandi multinazionali.
Senza entrare nei dettagli della genealogia produttiva della “nuova” realtà virtuale, le innovazioni sul piano tecnologico riguardano il miglioramento del campo visuale assicurato da schermi ultrasottili abbinate all’utilizzo di lenti di ingrandimento stereoscopiche e l’ampliamento delle tecnologie di tracking che dialogano agilmente con il sistema percettivo umano tramite un sistema emulatorio di predizione e aggiustamento dei feedback ambientali. Il punto è che queste caratteristiche sono possedute dalle ultime generazioni di smartphone che con sorprendente facilità, oggi possono fungere da visori per la realtà virtuale. Mentre Oculus Rift è ancora in fase di sviluppo (integrando anche dei controller tattili) e l’uscita prevista nel 2016 con un prezzo di vendita di circa 600 $ appare ancora come un aggeggio destinato a pochi patiti, la tecnologia che attualmente si sta diffondendo riguarda proprio la rimediazione degli smartphone in vr headset.492
Questi “dispositivi” di realtà virtuale non sono altro che una forma esteticamente ed ergonomicamente aggiornata di stereoscopio. All’interno del visore vero e proprio, dotato di lenti e un alloggio per lo smartphone, non c’è infatti alcun computer. Il punto di attrazione di questo dispositivo è rappresentato dallo smartphone che una volta inserito nell’alloggio si incarica delle molteplici operazioni di tracking e visualizzazione. L’integrazione fra visore e smartphone, permette al dispositivo di realtà virtuale di utilizzare le potenzialità della comunicazione Wi-Fi e del cloud computing, producendo un “estensione” del dispositivo stesso.493
Fra le innovazioni tecniche in campo audiovisivo forse la più significativa di questi ultimi anni, dopo una sostanziale standardizzazione del formato Full HD sulla stragrande maggioranza degli schermi mobili e fissi, è stata l’introduzione dei così detti “video a 360 gradi” o “video sferici”. Tramite un sistema di micro videocamere grandangolari disposte in cerchio, si è in grado di assemblare le riprese in un unico “video sferico” che permette all’utente dotato di visore per la realtà virtuale di esplorare liberamente l’ambiente ripreso rimanendo ovviamente ancorato al punto di vista del sistema di videocamere. Questa tecnologia è oggi in grado di generare immagini stereoscopiche ad altissima risoluzione (l’equivalente di cinque schermi 4K che riproducono le immagini contemporaneamente) ed è già impiegata per realizzare suggestivi reportage, cortometraggi e videoclip.494
In questo campo, il prodotto più sofisticato attualmente in commercio è il Gear VR prodotto
492 V. https://www.oculus.com/en-us/rift/, ultimo accesso 11 Aprile 2016.
493 Il cloud computing è un protocollo informatico che permette di processare e archiviare dati attraverso un sistema
informatico ad accesso remoto. Si tratta di un servizio che permette di delegare dispendiosi processi di calcolo ad una serie di computer remoti che si occupano poi di inviare il risultato finito all’utente, senza sovraccaricare l’hardware da cui è stata inoltrata la richiesta.
da Samsung che impiega la tecnologia Oculus. Mentre si tratta di un prodotto tecnologicamente stabile e da un costo di vendita di circa 100 $, il dispositivo offre una compatibilità limitata agli smartphone Samsung. Parallelamente Google ha sviluppato il progetto “Cardboard” che a mio avviso rappresenta un caso media archeologico molto più interessante di Gear VR per problematizzare il rapporto fra mente e media da una prospettiva media archeologica.
Il Cardboard come rivela il nome è un visore stereoscopico fatto essenzialmente di cartone. Il progetto nasce nel come un crowdfunding per realizzare un dispositivo di realtà virtuale a basso costo e “aperto” dal titolo “I am Cardboard”. In pochi mesi la campagna raggiunge il suo obiettivo e nel gennaio 2016 viene lanciato il primo prototipo compatibile per tutti gli smartphone dotati di sistema operativo Android.495 Nel frattempo Google è impegnata nella distribuzione del suo proprio smartphone, che nel corso del tempo si avvale di diversi partner come LG e Motorola, e progressivamente viene progettato per migliorare le prestazioni nell’ambito della realtà virtuale. Il progetto “I am Cardboard” si espande e comprende un kit di sviluppo open source, nuove versioni di Cardboard e inaugura Jump, un software per la creazione di video a 360° a cui viene dedicato un canale YouTube, ed Expeditions, un programma di educazione attraverso la realtà virtuale.496
Cardboard è inoltre un progetto che si avvicina alla cultura del DIY (acronimo di Do It Yourself) che riattualizza una forma di condivisione del dispositivo in ambiente privato che è simile a quella dello stereoscopio vittoriano di cui parlano Huhtamo e Strauven. Integrazione fra smartphone e stereoscopio che ne restituisce la natura meccanica e manipolativa. Segna un passaggio significativo dallo smartphone come sistema di comunicazione allo smartphone come sistema operativo in grado di dischiudere diversi mondi ambienti e ampliare il campo della modulazione della nostra presenza in direzione della sostituzione sensoriale piuttosto che della semplice ricalibrazione percettiva.
L’accezione negativa della telepresenza di cui si lamentava Agamben: entrambe le manifestazioni, avvertite in maniera negativa perché vanno letteralmente a cozzare con le abitudini, i codici e i tempi della socializzazione umana, rivelano a mio avviso due cose molto importanti: da un lato l’estrema transitorietà della nostra presenza nel mondo e di rimando la negoziabilità dei confini del nostro corpo e del nostro sé; dall’altro un mutamento della metafora concettuale della mente, non più un apparato computazionale, transitorio nel suo software cosciente ma fisicamente localizzato nel suo hardware cerebrale, ma un dispositivo di telepresenza, sistema operativo distribuito e presentificabile attraverso molteplici punti di accesso e spazi di presenza.
495 AA.VV., “Google Cardboard”, reperibile sul sito https://en.wikipedia.org/wiki/Google_Cardboard, ultimo accesso
Aprile 2016.
496 Così come Facebook sta siglando accordi con Samsung attraverso la tecnologia Oculus, così Google, che nel 2006 ha
rilevato YouTube per 1.6 miliardi di dollari, sta puntando alla creazione di una piattaforma online per la condivisione di veri e propri “campi di presenza”.
Sebbene siano esperienze radicalmente differenti di telepresenza, l’archeologia dei media incarnati proposta in questo paragrafo, dal mesmerismo alla realtà virtuale, testimonia un tendenza comune nel prefigurare una trascendenza della mente incarnata attraverso e con i dispositivi. La figura del mesmerista prima e del telepate poi, è un topos che si manifesta oggi nella possibilità di “estendere” la mente negoziando il nostro senso di presenza e locazione lungo molteplici mondi- ambienti. Anziché implicare la trasposizione di una mente cognitiva all’interno del mare magnum del cyberspazio, i dispositivi di telepresenza incarnati prefigurano invece il riorientamento percettivo e la sostituzione sensoriale attraverso nuovo pratiche di empatia, sfidando il privatismo del punto di vista soggettivo in favore di un’esperienza letteralmente “eco-fenomenologica” poiché, in linea di principio, estendibile e distribuibile negli ambienti fisici e psichici, nello stretto rapporto di potere fra veri e propri franchise fenomenologici ed esperienze mediate DIY.497
497 Lo scopo di Oculus VR è di “trasportare gli utenti in mondi immersive, tridimensionali e a 360-gradi dove essi possano giocare, imparare, esplorare e fare esperienza della realtà virtuale come mai prima d’ora.” V. https://www.oculus.com/gear-vr/.