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L'“ AVVENTURA SEMIOTICA ” DELLA NUOVA TEATROLOGIA ITALIANA COME FILTRO D ALLA PROSPETTIVA LINGUISTICA ALLA CRITICA TESTUALE ALLA SVOLTA PRAGMATICA

2. S VILUPPO DELLA NUOVA TEATROLOGIA

2.3 LE TRASFORMAZIONI DELL'OGGETTO DI STUDIO O LTRE L ' OGGETTO SPETTACOLO , DENTRO L ' OGGETTO TEATRO

2.3.1 L'“ AVVENTURA SEMIOTICA ” DELLA NUOVA TEATROLOGIA ITALIANA COME FILTRO D ALLA PROSPETTIVA LINGUISTICA ALLA CRITICA TESTUALE ALLA SVOLTA PRAGMATICA

Per rilevare la centralità della diffusione della prospettiva semiotica fra anni Settanta e Ottanta e cominciare ad articolare una possibile scansione dei suoi sviluppi in contesto teatrologico italiano, è sufficiente scorrere la produzione scientifica di quel periodo: dagli studi che concretizzano proposte teorico-metodologiche innovative a quelli che si occupano di sistematizzare ed analizzare i contributi del settore, da ricerche più specifiche, legate a un determinato livello dell'oggetto- spettacolo ad altre che presentano invece vocazioni più di ampio respiro, fino ai dibattiti in atto sulle pagine delle riviste italiane e internazionali, i convegni e i contributi provenienti da altre aree del sapere e della conoscenza, la questione della semiotica teatrale sembra porsi all'ordine del

giorno nel territorio della riflessione e della discussione teatrologica italiana fra anni Settanta e Ottanta.375

Scorrendo la bibliografia in materia, si può ipotizzare che l'“avventura semiotica”, per quanto riguarda la teatrologia italiana, si svolga più o meno fra la seconda metà degli anni Settanta e la prima degli Ottanta, scandita internamente da messe in discussione, riorientamenti e trasformazioni che vedremo nel dettaglio più avanti, ma che sono probabilmente già immaginabili da questo primo sommario per grandi linee della produzione in questo campo.

La storia della semiotica – anche di quella del teatro – comincia nel secondo dopoguerra: dopo una serie di primi tentativi pionieristici fra fine Ottocento e i primi del Novecento (in particolare, per quella teatrale, si tratta degli anni Trenta), fra gli anni Sessanta e Settanta «l'impresa semiotica – scrive Marco De Marinis – riceve un vigoroso rilancio e sviluppa una fortissima capacità espansionistica, cercando di annettersi ogni oggetto o evento dell'universo culturale che possa essere studiato come fenomeno di comunicazione e/o di significazione: dai comportamenti non verbali alle varie pratiche espressive»;376 fra questi, naturalmente anche i comportamenti

performativi e le pratiche espressive teatrali. Così Patrice Pavis, uno dei più influenti semiologi all'opera nella teatrologia internazionale, riassume l'avvento della semiotica agli orizzonti degli studi teatrali, rilevandone anche lo specifico ruolo epistemologico, nei termini di un contributo al consolidamento della loro autonomia e indipendenza:

375 Ripercorriamo brevemente la vicenda della semiotica teatrale italiana attraverso i suoi nodi ed eventi più salienti, per

rendere conto della grande vitalità del campo nella seconda metà degli anni Settanta e nella prima degli Ottanta. Nel 1974, Franco Ruffini – una delle figure di spicco del dibattito – pubblica su «Biblioteca Teatrale» due dei suoi primi contributi al tema dei rapporti fra teatro e semiotica, il primo dedicato alla definizione della specificità del teatro in quanto oggetto semiotico e il secondo, invece, legato alle possibili applicazioni della teoria dell'informazione; nello stesso anno, Ferruccio Marotti è autore di uno dei primi studi italiani di carattere applicativo, che ha come oggetto la gestualità nelle forme performative del teatro-danza balinese. Nel 1975, c'è uno dei primi saggi in materia di Marco De Marinis – altra figura poi protagonista della discussione e della riflessione semiotico-teatrali –, che cura nello stesso anno, insieme a Patrizia Magli, sulla rivista «Versus» (periodico specializzato, fondato nel '71 da Umberto Eco), un primo contributo di ricognizione bibliografica degli studi, che sarà poi ampliato e sviluppato due anni più tardi, nel 1977, in un volume scritto con Gianfranco Bettettini. Nel '76, Ruffini torna sul tema, nuovamente sulle pagine di «Biblioteca Teatrale», mentre il 1978 è un anno in cui la produzione e la discussione nel campo della semiotica teatrale si dimostrano particolarmente attive: Ruffini dà alle stampe il libro Semiotica del testo – dove trovano una sistemazione unitaria e ulteriore sviluppo le ricerche compiute dallo studioso fino a questo momento –, mentre le riviste «Biblioteca Teatrale» e «Versus» dedicano al tema ognuna un numero monografico (curati, rispettivamente, da Ruffini e De Marinis), che si propongono una ricognizione internazionale del campo di studio, coinvolgendo i protagonisti all'epoca del dibattito in una discussione unitaria, e contengono, fra l'altro, interventi decisivi e congiunturali sia di Franco Ruffini che di Marco De Marinis, entrambi impegnati nella revisione della nozione di “testo” e nel prospettare le sue possibilità applicative in campo semiotico-teatrale. L'anno dopo, in Calabria, si tiene un convegno internazionale che, similmente, riunisce insieme i maggiori protagonisti del settore, i cui atti, pubblicati nel 1981 a cura di Giulio Ferroni, rendono anch'essi uno spaccato della vivacità del coevo dibattito all'interno della semiologia teatrale, delle tensioni che lo andavano animando e delle opzioni di mutazione che andavano già profilandosi agli orizzonti del campo di studi.

Nel 1982, De Marinis pubblica Semiotica del teatro, libro che riprende e sviluppa i suoi studi precedenti, avanzando proposte teoriche piuttosto originali, che sono in qualche modo anticipate da un contributo sulla questione della mutazione pragmatica della semiotica comparso su «Versus» nel 1981 e accompagnate da un ulteriore studio, pubblicato sul medesimo periodico, nell''82, che sposta ancora più in là la riflessione epistemologica sulla semiotica teatrale; questi, si possono leggere, nell'insieme, come una serie di sintomi di una profonda trasformazione in opera negli orizzonti teorici della semiotica (anche del teatro), processo di ridefinizione che la rivista vorrà accompagnare con la pubblicazione, nel 1985, di un numero monografico dedicato al tema della ricezione teatrale (a cura di De Marinis).

Si precisa che questa ricostruzione delle vicende della semiotica teatrale italiana e la rassegna bibliografica che ne consegue non hanno alcuna pretesa di esaustività, ma si propongono allo scopo di ripercorrere le vicende di tale approccio teorico così come si è manifestato nel campo degli studi teatrologici del nostro Paese fra anni Settanta e Ottanta (proposito che si svilupperà nel corso dell'intero capitolo).

«Since the sixties and seventies, the structural analysis of the narrative has been applied to various literary and artistic fields – fairy tales, comic strips, film, the plastic arts, etc. Theatre, as text and performance, has not escaped such systematic analysis and the very first theories sought to test the hypothesis of a specific theatre sign (Kowzan, 1992). The semiology of literature and theatre takes the stage as a means of moving beyond the impressionism and relativism of so-called traditional criticism which is more interested in the text rather than performance. […] Theatre semiology established itself as the dominant academic discourse of the seventies because theatre (since Artaud) felt the need to be treated as a discipline in and for itself, as an autonomous language and not as a branch of literature».377

In questo contesto vengono portate a maturazione quelle sperimentazioni pionieristiche primonovecentesche, legate tutte per lo più alla definizione delle proprietà semiotiche specifiche dell'oggetto-teatro, in particolare, in questa fase, dell'oggetto-spettacolo e dei suoi apparati di significazione; l'impianto metodologico che lo permette è, spesso, una opzione operativa fondata sulla messa a punto di modelli che mirano a ricostruire il funzionamento interno del fatto spettacolare attraverso la sua segmentazione in più livelli (testo, spazio, attore, eccetera) e l'analisi delle loro possibili interazioni. Questo per quanto riguarda gli scenari internazionali di attivazione della semiologia teatrale, il cui capofila viene comunemente considerato Tadeusz Kowzan, studioso d'origine polacca e francese d'adozione;378 al suo lavoro, compiuto fra la fine degli anni Sessanta e i

Franco Ruffini, Semiotica del testo: ricognizione degli studi, «Biblioteca Teatrale», IV, 9, 1974, pp. 34-81; Id.,

Semiotica del teatro: la stabilizzazione del senso. Un approccio informazionale, «Biblioteca Teatrale», IV, 10-11,

1974, pp. 205-239; F. Marotti, Trance e dramma a Bali, cit.; Marco De Marinis, Problemi e aspetti di un approccio

semiotico al teatro, «Lingua e Stile», X, 2, 1975, pp. 343-357; M. De Marinis, Patrizia Magli, Materiali bibliografici per una semiotica del teatro, «Versus. Quaderni di studi semiotici», V, 11, maggio-agosto 1975, pp. 53-

128; F. Ruffini, Semiotica del teatro: per una epistemologia degli studi teatrali, «Biblioteca Teatrale», VI, 14, 1976, pp. 1-27; M. De Marinis, Gianfranco Bettettini, Teatro e comunicazione, Guaraldi, Rimini-Firenze 1977 (si veda in particolare M. De Marinis, Saggio bibliografico. Materiali per una semiotica del teatro, ivi, pp. 33-131); F. Ruffini,

Semiotica del testo. L'esempio del teatro, Bulzoni, Roma 1978; «Biblioteca Teatrale», VIII, 20, 1978

(Dramma/spettacolo. Studi sulla semiologia del teatro, a cura di F. Ruffini); F. Ruffini, Pseudosemiotica,

pseudoteatro: presentazione, ivi, pp. 1-13; «Versus. Quaderni di studi semiotici», VIII, 21, settembre-dicembre 1978

(Teatro e semiotica, a cura di M. De Marinis); M. De Marinis, Lo spettacolo come testo I, ivi, pp. 66-100; Id., Lo

spettacolo come testo II, «Versus. Quaderni di studi semiotici», IX, 22, gennaio-aprile 1979 (Teatro e comunicazione gestuale), pp. 3-28; Giulio Ferroni (a cura di), La semiotica e il doppio teatrale, Liguori, Napoli

1981 (atti del convegno Testo, comunicazione, spettacolo / Il doppio teatrale, Arcavacata di Rende (CS), 13-16 settembre 1979); M. De Marinis, Vers une pragmatique de la communication théatrale, «Versus. Quaderni di studi semiotici», XI, 30, settembre-dicembre 1981, pp. 71-86; M. De Marinis, Semiotica del teatro. L'analisi testuale

dello spettacolo, Bompiani, Milano 1982; M. De Marinis, Capire il teatro: per una semiotica storica..., cit.; «Versus.

Quaderni di studi semiotici», XV, 41, maggio-agosto 1985 (Semiotica della ricezione teatrale), a cura di M. De Marinis).

376 M. De Marinis, Capire il teatro. Lineamenti..., cit., p. 42.

377 «A partire dagli anni Sessanta e Settanta, l'analisi strutturale è stata applicata a vari campi artistici e letterari – fiabe,

fumetti, film, arti plastiche, ecc. Il teatro, come testo e come spettacolo, non è sfuggito ad un'indagine così sistematica e alle prime teorie sorte per verificare l'ipotesi di un segno teatrale specifico (Kowzan, 1992). La semiologia della letteratura e del teatro entra in scena come mezzo per superare l'impressionismo e il relativismo della cosiddetta critica tradizionale, che era più interessata al testo che allo spettacolo. […] La semiologia teatrale si propone come il discorso accademico dominante degli anni Settanta perché il teatro (da Artaud) aveva la necessità di essere trattato come una disciplina in sé e per sé, come un linguaggio autonomo e non un settore della letteratura». Patrice Pavis, The State of Current Theatre Research , «AS/SA. Applied Semiotics/Sémiotique appliquée», I, 3, 1997, p. 208.

378 Scrive Marco De Marinis, ripercorrendo la vicenda della semiologia teatrale di Kowzan e descrivendone il ruolo:

«Pur ignorando i contributi dei Praghesi […], è alle loro ricerche che di fatto lo scritto di Kowzan si ricollega, sviluppandone l'analisi delle caratteristiche dei segni teatrali e delle loro modalità di funzionamento, all'interno di un approccio più sistematico pur se ancora di tipo empirico-induttivo, cioè classificatorio e descrittivo». M. De Marinis,

primi Settanta, segue in Europa un singolare diffondersi di attenzione per l'approccio semiologico al teatro e per le sue potenzialità, seppure tali tentativi si presentino come una serie di «ricerche condotte con metodo e scopi differenti, e diseguali nella consistenza scientifica» (ma accomunate dalla condivisione del proprio oggetto, lo spettacolo, di contro al precedente paradigma del testo).379

Queste, in gran parte, si inseriscono a pieno nel quadro della semiotica “generale” di quegli anni, che si manifesta innanzitutto nei termini di una derivazione della linguistica saussuriana: nonostante la prima semiologia teatrale, infatti, svolga il ruolo cruciale di sostenere il processo di autonomizzazione della nuova teatrologia, in questa fase, al suo interno, permangono strutturalmente impostazioni che rimandano anche piuttosto esplicitamente all'inquadramento linguistico.

In Italia, la situazione è sensibilmente differente, basti pensare che i primi contributi che si esprimono nel campo della discussione sulla possibilità e sulle potenzialità dei rapporti fra semiotica e teatro vanno a collocarsi, già nella seconda metà degli anni Settanta, all'avanguardia del dibattito internazionale e, in certi casi, anche ad anticiparne i successivi sviluppi (ad esempio contestando proprio l'egemonia della prospettiva linguistica).

In effetti, andando a scorrere i primi contributi italiani di semiologia teatrale, che vedono la luce nella seconda metà degli anni Settanta, si nota una minor afferenza al quadro della prospettiva linguistica: non solo per il deciso svincolamento del suo oggetto dai territori letterari, ma anche nella carenza della diffusione di strumenti e metodi (come quelli della classificazione e della segmentazione) altrove invece distintivi di questa prima stagione della semiologia, anche nella sua declinazione teatrale; di più, una delle maggiori preoccupazioni dei semiologi teatrali italiani, sembra consistere proprio in forme più o meno esplicite di contestazione della prospettiva linguistica, per quanto riguarda la sua vocazione colonizzatrice e, dunque, della possibilità di estensione dei suoi modelli agli altri domini della comunicazione e della significazione (anche artistici e, in particolare, teatrali).

I limiti imposti dall'adozione della prospettiva linguistica all'oggetto-teatro e, dunque, allo sviluppo di rapporti fruttuosi fra la teatrologia e l'approccio semiologico, è già al centro dei primi contributi teorici di Franco Ruffini. In un suo studio pubblicato nel 1974 su «Biblioteca Teatrale», che si presenta come una prima ricognizione degli studi in materia, lo studioso riconosce che «la linguistica ha perfezionato il suo corredo concettuale e le sue tecniche operative fino a diventare, per certi aspetti, una scienza pilota nell'ambito delle scienze umane», ma avverte già anche dei rischi legati a quei tentativi che propongono di estendere tale modello ad altre tipologie di oggetti di studio in cui, come in quello teatrale, la dimensione del linguaggio è soltanto uno dei numerosi livelli in opera nei processi di comunicazione e significazione. In particolare, «una trasposizione meccanica ed aprioristica dei metodi e delle nozioni della linguistica ad altri ambiti semiotici, può condurre l'analisi su un vicolo cieco […] e, in definitiva, alla ricerca di un pan-linguismo che possa ridurre ogni fenomeno di significazione ai termini della significazione linguistica».380 Si chiede

Franco Ruffini già a metà degli anni Settanta:

«Il problema non è solo se esista, secondo le indicazioni di Chomsky, una struttura profonda dalla quale siano derivabili le strutture superficiali, ma soprattutto se esista un codice elettivo delegato, in quella comunicazione multilinguistica che è lo spettacolo teatrale, a contenere le strutture profonde. E non solo, anche se la domanda può apparire pretestuosa: perché questo codice, supposta come dimostrata la sua unicità, dovrebbe essere quello linguistico?».381

379 Ibidem.

380 F. Ruffini, Semiotica del testo: ricognizione degli studi, cit., pp. 34-35. 381 Ivi, p. 62.

Urgenze simili si manifestano anche in uno dei primi contributi di semiotica del teatro di Marco De Marinis, nel 1975: nel suo saggio Problemi e aspetti di un approccio semiotico al teatro, i limiti della semiologia teatrale, anche qui, si legano già al predominio della prospettiva letteraria (che rischiava spesso di andare a emarginare il livello spettacolare);382 la proposta condivide, inoltre, con

la prospettiva di Franco Ruffini, l'insofferenza verso l'estensione del modello linguistico ad altre forme e fenomeni espressivi (come il teatro) e rivendica, già a quest'altezza – è un campo di discussione che sarà attivato più tardi sugli scenari internazionali della semiotica teatrale, sul crinale fra i due decenni –, la necessità di considerare l'oggetto-spettacolo nella sua specificità semiotica, come un sistema complesso di interazioni fra codici differenti (e dunque, costitutivamente irriducibili al funzionamento di un solo modello, quello linguistico).

Naturalmente, i semiologi del teatro italiani non sono impegnati soltanto nella individuazione e verifica dei limiti che tale approccio può comportare nel campo degli studi teatrali e procedono, infatti, alla proposta di soluzioni nell'ottica dello sviluppo di una semiotica teatrale propriamente detta: fra di esse, si ritrovano tentativi di rilevare la specificità del segno a teatro – per cui Ruffini recupera, fra l'altro, il lavoro pionieristico del Circolo di Praga – e le modalità in cui, di conseguenza, si possa sviluppare una semiotica adeguata alle esigenze pluricodiche e multilinguistiche che definiscono l'oggetto-spettacolo: Ruffini, ad esempio, tenta una dettagliata definizione della nozione di codice, anche avvalendosi del lavoro di Tadeusz Kowzan, mentre De Marinis, nel '75, rivendica la necessità di considerare l'oggetto di studio nei termini di una «complessa interrelazione spazio-temporale di modelli eterogenei difficilmente riducibili (o irriducibili) a super modelli omogenei» e tenta, contestando il diffuso predominio della prospettiva linguistica, alcune prime proposte capaci di rendere conto della multidimensionalità e della pluricodicità dell'oggetto-teatro, anche sulla scorta del lavoro di Julia Kristeva.383

Il modello linguistico, che presiede, in Europa, l'originarsi stesso della semiologia teatrale, sembra dunque non corrispondere alle necessità teorico-metodologiche degli storici italiani; le carenze che esso dimostra sul piano operativo, i suoi limiti teorici e le loro forzature implicite ed esplicite vanno a costituire, nelle prospettive critiche che abbiamo visto, una prima messa in discussione dell'utilità – quando non della possibilità stessa – di un approccio semiologico al teatro.

L'opportunità, attraverso l'analisi dei contributi degli studiosi di teatro, è quella di rilevare una doppia dimensione di inadeguatezza di una semiotica (non solo teatrale) a base linguistica:

– dal punto di vista tematico, essa implicherebbe, ad un primo impatto, il rientro delle questioni legate alla dimensione testuale-drammaturgica – livello anche in opposizione al quale si era da poco sancita l'indipendenza delle discipline storico- teatrali;

– dal punto di vista metodologico, invece, ne autorizzerebbe una collocazione egemonica, proponendo l'estensione di tale modello a riferimento – sia in senso teorico che pratico – a qualsiasi fenomeno di comunicazione e significazione e l'utilizzo generalizzato di strumenti critici di matrice linguistica, nel contesto di quella che gli studiosi definiscono una semiotica “dei segni e dei codici”.

Intorno al crinale fra i due decenni, la semiotica teatrale sembra infatti mostrare una fase di messa in crisi, cui corrisponde un momento di particolare dibattito: la serie di contributi i materia che vengono diffusi alla fine degli anni Settanta, ad esempio, si possono leggere tutti nel quadro di questa prospettiva unitaria, essendo riflessioni che – ognuna a proprio modo –, da un lato, hanno il proposito di fare il punto sulla produzione semiotico-teatrale e, dall'altro, avanzano motivi critici piuttosto accesi rispetto al paradigma vigente della disciplina, proponendo, in qualche caso, anche

382 M. De Marinis, Problemi e aspetti di un approccio semiotico al teatro, cit. 383 Ivi, p. 355.

delle possibilità di soluzione che si muovono tutte nei termini di un profondo riassetto dei suoi orizzonti teorico-metodologici.

Nel suo saggio bibliografico del '77, passando in rassegna la produzione scientifica della semiologia teatrale, De Marinis rileva la quasi totale assenza di contributi in materia, nel senso di un persistere del predominio linguistico che presiede allo sviluppo di studi e ricerche soprattutto di ambito drammaturgico-letterario, di contro all'ormai consolidato paradigma degli studi teatrali, rispetto a cui, dichiara lo studioso «siamo tutti d'accordo nel ritenere che sia lo spettacolo l'“oggetto” in senso proprio».384 Contestualmente, De Marinis riserva una particolare attenzione, invece, a quei percorsi

che si impegnano nella sovversione di tale impostazione teorico-metodologica; più che soffermarsi sulle possibilità applicative di una semiotica a base non linguistica al fatto teatrale, lo studioso, in quello che egli stesso definisce il «nucleo» della propria ricognizione, si concentra invece su quegli approcci che «si pongono in modo più specifico degli altri […] i problemi teorici e di metodo che un approccio semiotico allo spettacolo comporta».385 È questo un tratto distintivo dei lavori di

semiotica teatrale più innovativi di quegli anni, che abbandonano – laddove c'erano stati dei tentativi in questo senso – il campo applicativo-sperimentale, quasi facendo un passo indietro, per occuparsi preliminarmente dell'impostazione teorica stessa alla base della disciplina, delle sue opzioni teorico-metodologiche e del suo livello epistemologico, interrogandone le possibilità stesse di esistenza e funzionamento. Fra questo tipo di studi, De Marinis opera una selezione quadripartita, all'interno di cui individua un gruppo di lavori – fra cui quelli di Ruffini, André Helbo ed Umberto Eco – «più specificamente semiotici» che condividono la volontà «di superare tanto le aporie del metodo linguistico quanto i limiti dell'approccio empirico, e formulano alcune ipotesi teoriche più adeguate per cominciare a “mettere in forma” la eterogenea e composita realtà della comunicazione teatrale».386

Il dibattito – in cui si esprimono parimenti il compimento della critica alla prospettiva linguistica, ma anche le nuove forme di insofferenza rispetto alla semiotica “dei codici” – è chiaramente evidente se si prende in esame il numero monografico dedicato da «Versus», alla fine del '78, ai rapporti fra semiotica e teatro, che riunisce in uno stesso contesto i contributi di alcuni dei maggiori esponenti della disciplina a livello internazionale, da Pavis a Helbo, da Steen Jansen a Kowzan, da Michael Kirby a Ruffini. Qui si possono osservare alcune delle modalità in cui si andava svolgendo, in quegli anni, la critica della nozione di segno di matrice linguistica, della semiotica cosiddetta “dei codici” e, più in generale, di una forma di sopravvalutazione dell'aspetto comunicativo della

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