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L A NUOVA TEATROLOGIA E LA “ TRADITION DE LA NAISSANCE ” L E CONSEGUENZE DEL PROCESSO DI RIFONDAZIONE E IL LORO FARSI EREDITÀ DISCIPLINARE

1. O RIGINI DELLA NUOVA TEATROLOGIA

1.4 DINAMICHE DEL PARADIGMA DISCIPLINARE.

1.4.3 L A NUOVA TEATROLOGIA E LA “ TRADITION DE LA NAISSANCE ” L E CONSEGUENZE DEL PROCESSO DI RIFONDAZIONE E IL LORO FARSI EREDITÀ DISCIPLINARE

La rifondazione degli studi teatrologici si tende a descrivere – non solo nel contesto italiano – come un processo di progressivo svincolamento dall'originario territorio delle letterature e, di conseguenza, come un tentativo di individuazione e definizione di uno specifico disciplinare capace di sancirne la differenza, che solitamente viene rinvenuto nell'assunzione del fatto spettacolare come oggetto e campo di studio. La sintesi implicata in questa descrizione, naturalmente, è legittima e verificabile all'interno della storia novecentesca degli studi teatrali occidentali; tuttavia, proprio per la schematicità che propone, nel seguirla, il rischio è quello di ridurre e semplificare il portato epistemologico del gesto teorico che, in una prima fase, segna le origini del processo di fondazione della teatrologia come disciplina autonoma.

Tale scarto, nelle diverse teatrologie occidentali, possiede innanzitutto delle conseguenze epistemologiche – determinanti anche per le generazioni a venire – che vanno ben al di là della semplice emarginazione del livello drammaturgico dal campo di studi e dell'assunzione dell'oggetto-spettacolo al centro della sua attenzione. Le ricadute del processo di svincolamento degli studi teatrali dalla precedente egemonia letteraria si possono inquadrare in aree di operatività legate alla dinamica oppositiva che si innesca fra le due polarità in gioco, quella dei tradizionali studi letterari e quella dei nuovi studi teatrali. I processi e le pratiche di perimetrazione dello specifico disciplinare – probabilmente proprio per la loro collocazione in coincidenza alla nascita e alla prima formalizzazione del campo di studio – non costituiscono un dato événementiel, cioè legato a una certa fase della storia disciplinare (quella della sua fondazione), ma vanno a rappresentare una condizione epistemologica di più lunga durata, che segnerà, negli anni, l'impostazione teorico-metodologica della nuova teatrologia (seppure secondo differenti declinazioni) in almeno due diversi sensi:

– il processo di autonomizzazione degli studi teatrali è segnato, alle sue origini, da particolari condizioni eversive e sovversive rispetto alle istituzioni (accademiche, scientifiche, culturali) vigenti, che lo mettono in relazione con il già citato processo di profonda trasformazione socio-culturale che conduce dai fermenti della

ricostruzione alle spinte della contestazione. Gli aspetti legati a questo originario spirito che si pone in termini di opposizione rispetto all'esistente – da cui si distingue per negazione e attraverso la proposta di possibilità alternative – restano come dati strutturali dell'intera storia disciplinare, sempre condotta (seppure in modalità diverse) a rivedere la propria cornice epistemologica;

– la ricerca dello specifico disciplinare, similmente, è una opzione sempre attiva all'interno della cornice epistemologica della nuova teatrologia: il problema di cosa sia il teatro e di cosa si possa considerare tale è un elemento che implica possibilità di apertura e di ampliamento, di messa in discussione interna, revisione e riassetto che si osservano come ricorrenti tanto nella prima stagione della disciplina (in parte se ne sono già incontrate le modalità), quanto, lo vedremo, nei suoi successivi riassetti.

Prima di procedere ad analizzare nel dettaglio queste due aree di definizione e sviluppo degli studi teatrologici, sarà bene soffermarsi qualche momento sulla natura stessa di quel gesto teorico che presiede la fondazione del nuovo campo di studio.

Innanzitutto, per sgombrare il campo da eventuali – quanto purtroppo a volte frequenti – malintesi, è opportuno rilevare come tale processo non rappresenti tanto un tentativo di rimozione o di emarginazione della dimensione legata al testo e alla letterarietà dagli orizzonti degli studi teatrali, quanto, piuttosto – se si osserva sempre il piano delle conseguenze epistemologiche – vada a configurarsi come fondamento per la definizione di una dinamica oppositiva (quella fra studi letterari e teatrali) e, dunque, di una dicotomia che, nel bene e nel male, segnerà a lungo gli orizzonti della neonata disciplina (quella fra testo e spettacolo). Così spiega il processo Erika Fischer-Lichte, raccontando la genesi della theaterwissenschaft mitteleuropea a inizio Novecento:

«Accordingly, theatre was regarded as the object of literary studies. Max Herrmann, founder of theatre studies in Berlin and a specialist in medieval and early modern German literature, turned to advocate the centrality of the performance itself. […] He considered the mere privileging of performance over text insufficient and proclaimed instead a fundamental polarity between the two that precluded a harmonious union […]. Since existing disciplines dealt exclusively with texts and ignored performances as objects of study, theatre required the establishment of a new discipline. Hence, theatre studies was founded in Germany as the discipline devoted to performance».245

Vedremo ora come le possibili conseguenze del processo di divaricazione fra studi letterari e teatrali – ben oltre i consueti orizzonti dello svincolamento o della rimozione – si riveleranno costitutive all'interno della cornice epistemologica della nuova teatrologia italiana ben oltre l'esclusivo piano tematico. Separare il testo dallo spettacolo, infatti, non è un'operazione che riguarda soltanto l'oggetto di studio delle discipline letterarie o teatrali; tale gesto teorico si concretizza in conseguenze teorico-metodologiche ulteriori, che sanciscono innanzitutto, all'interno della neonata

245 «In questo senso, il teatro era considerato come un oggetto degli studi letterari. Max Herrmann, fondatore degli studi

teatrali a Berlino e specialista di letteratura tedesca medievale e dell'inizio dell'età moderna [la periodizzazione che

fa capo al concetto di “early modern”, nella cultura anglosassone comprende una lunga scansione temporale dall'epoca rinascimentale all'Illuminismo, nda], operò una svolta, sostenendo la centralità dello spettacolo in sé. […]

Considerò insufficiente il mero predominio dello spettacolo sul testo e proclamò invece un'opposizione fondamentale fra i due che escluse la possibilità di un'unione armoniosa […]. Dal momento che le discipline esistenti avevano a che fare esclusivamente coi testi e ignoravano gli spettacoli come possibile oggetto di studio, il teatro richiedeva l'istituzione di una nuova disciplina. Così furono fondati gli studi teatrali in Germania, come la disciplina dedicata allo spettacolo».

disciplina, l'emarginazione – più che delle questioni drammaturgiche – degli aspetti estetici, la cui collocazione tematica e metodologica apparteneva tradizionalmente agli studi letterari. Nelle esperienze teatrologiche italiane, questo aspetto viene comunemente legato e spiegato in relazione alle modalità di frequentazione fra gli studiosi e un certo frangente dell'arte scenica che, all'epoca, si muoveva proprio su versanti simili; vedremo che, negli anni, questo nodo si farà sempre più importante, concettualizzato e anche problematizzato.246 Tuttavia, inquadrare la questione della

rimozione dell'estetica dallo sviluppo della teatrologia anche nel contesto dell'originaria distinzione dalla sua matrice letteraria permette di illuminare diversamente il dato, arricchendolo e complicandolo attraverso la collocazione in una linea genealogica di più lunga durata che, seppure ne rispetti la specificità, lo inserisce in un continuum storiografico che va tenuto in considerazione. Per approfondire questo aspetto, faremo nuovamente ricorso alla già citata panoramica della storia degli studi teatrali occidentali proposta da Ron Vince all'interno del volume metodologico curato da Thomas Postlewait e Bruce McConachie alla fine degli anni Ottanta. Giungendo a considerare il lavoro dei teatrologi nel primo Novecento, lo studioso rileva un dato ricorrente che attraversa i differenti approcci messi a punto:

«However they differ in scope or in their treatment of materials, these scholars were devoted to the conception of theatre history as a discipline separate from the aesthetic consideration of dramatic literature, undertaken with methodological rigor and dedicated to what they thought of as scientific accuracy».247

La prospettiva che osserva la dinamica oppositiva istituita fra testo e spettacolo in relazione ad una altrettanto pregnante dicotomia fra la dimensione estetica e quella storiografica si dimostra fondante anche per Erika Fischer-Lichte, che conclude un suo lavoro dedicato all'indagine delle relazioni fra teatro e società con un capitolo che, affrontando il problema dei rapporti fra storiografia teatrale e analisi spettacolare – è possibile solo una traduzione italiana approssimativa di “performance analysis” –, ripercorre le vicende della teatrologia novecentesca.248 In questo contesto, la studiosa

rileva come la disciplina, al momento della sua stessa fondazione, presenti due differenti approcci, apparentemente in conflitto fra loro, quello estetico e quello storico,249 che abbiamo visto si possono

far risalire rispettivamente ai domini dei tradizionali studi letterari e dei nuovi studi teatrali.

Il filo di questo ragionamento conduce a sgombrare il campo da un altro potenziale equivoco ricorrente, quello che legherebbe l'individuazione dello specifico disciplinare nell'evento-spettacolo a una parziale emarginazione della dimensione testuale. Oltre a valorizzare soprattutto i dati propri della discontinuità e della rottura, una simile prospettiva, fra l'altro, propone di osservare lo scarto

246 La questione sarà approfondita nel dettaglio nel prossimo capitolo, dedicato a una stagione successiva della nuova

teatrologia italiana che si distingue per l'individuazione e l'approfondimento di quella che è comunemente considerata la “sapienza interna” del teatro. Fra i copiosi ragionamenti sul problema, si sceglie per ora di raccontarlo con le parole di Mirella Schino, che parla di una «mancanza di giudizio pubblico e privato sugli spettacoli»: «Non erano infatti gli spettacoli la cosa più importante, per gli intellettuali, o non lo sembrarono: ma la vita dei gruppi. […] E gli stessi meccanismi di selezione interna dei gruppi sembravano mostrare come le persone venissero scelte soprattutto sulla base dell'esigenza di creare piccole cellule di vita indipendente e diversa». M. Schino, Il crocevia..., cit., p. 317.

247 «Nonostante essi differiscano nel proprio obiettivo o nel trattamento dei materiali, questi studiosi erano consacrati

ad una concezione della storia del teatro come una disciplina separata dall'analisi estetica della letteratura drammatica, concretizzata con rigore metodologico e dedicata a ciò che loro consideravano accuratezza scientifica». R. Vince, Theatre History..., cit., p. 7.

248 E. Fischer-Lichte, Theatre Historiography and Performance Analysis. Different fields, common approaches?, in Id.,

The Show and the Gaze of Theatre..., cit., pp. 338-352.

249 «From its very origins, theatre studies (Theaterwissenschaft) has embraced two apparently conflicting approaches:

theatre studies was founded as an aesthetic as well as a historical discipline».

(«Fin dalle loro origini, gli studi teatrali (Theaterwissenschaft) comprendono due approcci apparentemente conflittuali: gli studi teatrali sono stati fondati come una disciplina sia estetica che storica».) Ivi, p. 338.

di paradigma che dà origine alla nuova teatrologia dal punto di vista di una tradizione che riconosce un primato – storico e storicizzabile – al sapere letterario sugli altri domini culturali, ruolo effettivamente attivo all'interno della cultura occidentale, ma forse più operante a livello della riflessione teorica che nei fatti. Il problema dei rapporti con la letteratura drammatica è posto con forza da quel testo di grande spessore metodologico che Fabrizio Cruciani compose negli anni Ottanta e che ora va a introdurre il volume di orientamento bibliografico, curato con Nicola Savarese, per le Guide Garzanti. Lo studioso rileva certo il valore della rottura che porta gli studi teatrali a svincolare il proprio oggetto e il proprio metodo dai campi di studio letterari, ma allo stesso tempo ne rivede il modo e il grado, ponendo contestualmente il problema dell'effettività di quella che è comunemente considerata la tradizionale egemonia letteraria sulle cose teatrali e valorizzando, insieme ai dati di rottura, il livello delle persistenze e introducendo così una prospettiva più continuista sulla questione:

«Ma se guardiamo la storia della storiografia ci si rende conto come la lotta contro il testo drammatico per affermare l'autonomia del teatro (lotta radicale agli inizi del nostro secolo e da cui si origina la “novità” della storia del teatro) nasca da una ipostasi creata dalla stessa lotta. In effetti, invece, se guardiamo per esempio la storiografia italiana sei- settecentesca rileviamo come, pur in trattazioni di storia letteraria, il Quadrio o anche Muratori o Tiraboschi hanno attenzione ampia ai diversi aspetti dello spettacolo e non solo al testo drammatico […]; e il positivismo ottocentesco accumula informazioni su feste, cerimonie, intrattenimenti, quando parla di teatro, con ricerche che culminano nei lavori del Chambers o del D'Ancona.

Quella del testo è, nella storia del teatro, più una egemonia culturale che una prevalenza storiografica. Una egemonia che viene di fatto ribadita anche nella fondazione dell'autonomia dell'arte teatrale come spettacolo quale si definisce nella Theaterwissenschaft, nell'accezione che si fa risalire agli scritti di Max Herrmann».250

Accogliendo l'indicazione di Cruciani – quella di considerare il predominio letterario innanzitutto come un'egemonia culturale, con tutto quello che vedremo conseguirne –, è possibile dunque riassettare le ipotesi di svincolamento e rimozione, formulate spesso a proposito della fondazione degli studi teatrali rispetto alla loro origine letteraria: la via dell'autonomizzazione che dà origine alla nuova disciplina si può considerare, in questo senso, soprattutto nei termini di un tentativo di introdurre, all'interno del sapere storico e umanistico, oggetti in precedenza marginali o poco frequentati, rivendicandone una specificità altrimenti non conquistabile. Prova ne sia, oltre l'illuminante lettura di Cruciani, anche il ricorrere, all'interno del versante teorico-metodologico della prima teatrologia, di strumenti, metodi e nodi problematici esplicitamente afferenti – se pure non più subordinati – ai campi degli studi letterari: la scelta dei repertori delle fonti e dei documenti (anche letterari) e il ricorrere dei principi dell'analisi strutturale (di provenienza critico-letteraria)251

sono le premesse che, a questa altezza, possono ritessere il filo, a volte dimenticato – quando non reciso –, fra gli studi teatrali e la loro genesi in area letteraria; a ciò, si aggiungono indubbiamente altri dati, che emergono in stagioni successive degli studi, una volta conquistata e sancita la differente cultura del sapere teatrale: il cosiddetto ritorno del testo che si manifesta a fine Novecento – cui si darà profonda attenzione, naturalmente, nel capitolo specificamente dedicato – non si concretizza solo sul piano tematico (con operazioni che vanno originalmente a ricomprendere lo spazio letterario del teatro all'interno degli studi), ma svilupperà conseguenze teorico-

250 F. Cruciani, Problemi di storiografia..., cit., pp. 6-7.

251 Ad esempio, Ferruccio Marotti esplicita chiaramente i termini dell'afferenza degli strumenti e dei metodi dell'analisi

strutturale da lui utilizzati al campo degli studi letterari. Si legge in apertura del suo studio su Gordon Craig: «[...] rifacendomi al concetto di Strukturanalyse, di analisi strutturale – riportato, con le debite proporzioni, dall'ambito letterario a quello della scena […]». F. Marotti, Edward Gordon Craig, cit., p. 10.

metodologiche di grande interesse cui in parte si è già accennato (in termini di risonanza e di differenza, lo si vedrà, rispetto a quello che di simile stava accadendo nel più ampio campo della cultura e del sapere, in coincidenza dell'avvento del progetto post-strutturalista).

Di più, la prospettiva di Cruciani conduce ad osservare altri due dati ricorrenti nella cornice epistemologica della teatrologia italiana: come si diceva in apertura, la separazione originaria fra testo e spettacolo che presiede la fondazione degli studi teatrali – e che ora si intende considerare, con Cruciani, anche nei termini più di una egemonia culturale che di un dato storiografico – comporta una serie di conseguenze ulteriori, che sono sì fondanti per descrivere il gesto teorico che sancisce la nascita della nuova disciplina, ma – forse proprio per la coincidenza con questa fase generativa o anche con condizioni socio-culturali particolarmente risonanti – che entreranno a fare parte del côté teorico-metodologico dell'intera teatrologia italiana. Tali conseguenze, che hanno a che fare con le pratiche di perimetrazione del nuovo campo disciplinare, infatti, non consistono solo in un cambiamento dell'oggetto di indagine (l'arricchimento della tradizionale prospettiva drammaturgica con nuovi innesti di sempre maggiore ampiezza e complessità), ma vanno considerate almeno a due differenti livelli profondamente legati fra loro, che si possono così riassumere:

– il permanere di uno stato “di invenzione” della disciplina (anche una volta concluso tale processo), che la conduce spesso a rimettere in discussione il proprio oggetto di studio e le metodologie usate per affrontarlo;

– un radicare altrettanto in profondità di uno stato di “sovversione”, che conduce la nuova teatrologia a ripetere lo schema di strutturazione del proprio paradigma in opposizione a quello vigente, secondo le dinamiche che abbiamo osservato in opera nella vera e propria fase di fondazione disciplinare (ampliamento del campo di studio con l'introduzione di nuovi oggetti, sperimentazione di altre metodologie, ecc.).

Così affronta la questione Ferdinando Taviani, in un testo composto all'inizio degli anni Duemila in occasione del numero di «Culture Teatrali» volto a fare il punto sullo stato dell'arte negli studi teatrali e dedicato alla figura di Fabrizio Cruciani:

«È vero che a voler fare seriamente storia del teatro ci si trova continuamente a sconfinare, ma non per la voglia di liberarsi da demarcazioni rigide ed eccessive. Al contrario: perché si cercano veri argini, una storiografia contrainte, e non si può non sperimentare il carattere vizzo ed improprio dei contorni già tracciati da una convenzione disciplinare nata da una branca degli studi letterari e poi divenuta indipendente – più per una serie di colpi di mano, per una federazione di eterogenee specialità, cresciute ciascuna all’ombra d’antiche tradizioni di studi, che non per una sintesi fondatrice.

La fatica di reinventare continuamente i contorni che orientino e scandiscano il proprio campo di indagine nel momento stesso in cui lo si indaga è una delle ricchezze degli studi teatrali. L’esatto opposto della facilità di cui in genere molto si approfitta, sfruttando il terreno vago che le convenzioni disciplinari mettono a disposizione per passeggiarvi a capocchia, senza impegno per la mente».252

È in questo senso che lo stesso Taviani e altri (come Mirella Schino)253 parlano di quelli teatrali

come di studi “difficili”: il dato di problematicità non fa riferimento a una generica complicazione

252 Ferdinando Taviani, Ovvietà per Cruciani, «Culture Teatrali», IV, 7/8, autunno 2002-primavera 2003 (Storia e

storiografia del teatro, oggi. Per Fabrizio Cruciani), p. 21.

teorica dovuta, magari, alla sostanziale assenza dell'oggetto di studio o ad altre simili contingenze storiografiche afferenti alla particolarità del campo di indagine; quelli teatrali sono studi “difficili” più in profondità, perché, implicando forme di insofferenza originarie per il sapere precostituito e le acquisizioni già date, richiedono allo studioso di tornare a interrogarle ogni volta. Come se si trattasse, appunto, sempre di un gesto di fondazione o, meglio, di rifondazione.

Su questo versante è necessario richiamare il concetto di “tradition de la naissance”.254 Così come

l'ha proposto Fabrizio Cruciani da Jacques Copeau, individua possibilità differenti per il piano dei rapporti fra le categorie di tradizione e rinnovamento che, comunemente, si vedrebbero avvicendarsi in una irrisolvibile lotta fra opposti. Ecco come viene inquadrata la questione dallo studioso, in un testo pubblicato su «Teatro e Storia» alla fine degli anni Ottanta:

«Il problema della storiografia teatrale è quello di circoscrivere il proprio oggetto: il che significa costruirne i confini, e cioè non darli per noti e acquisiti, ma appunto costruirli, determinare di volta in volta le zone di confine».255

L'idea di una disciplina ancora da farsi, della necessità di tornare a perimetrarne ed interrogarne nuovamente lo specifico, è un elemento quanto mai ricorrente, dunque fondante, per la nuova teatrologia italiana. Il processo di distinzione della nuova disciplina dai campi di studio esistenti, all'epoca della sua rifondazione, e l'apprendistato che gli studiosi hanno svolto sui frangenti della non riconoscibilità e della non categorizzazione del fatto teatrale, agli albori del loro percorso, continua anche in seguito a condurli a domandare cosa si possa considerare o meno teatro; e, di conseguenza, a mettere in discussione il proprio oggetto di studio, così come i confini della relativa cornice epistemologica.

Spostando per qualche momento il focus dalle vicende della teatrologia italiana al loro incardinamento in più ampi scenari internazionali, è possibile tentare un passaggio ulteriore, per cercare di comprendere più in profondità le ragioni del radicamento nella struttura della cornice disciplinare di questi dati innanzitutto generativi, che in seguito si sono rivelati, inaspettatamente, anche ereditari, congiungendo dunque le modalità proprie di un processo di rinnovamento a quelle, differenti, del consolidamento di una tradizione di studio.

La prospettiva si riorienta sui contesti legati alla genealogia e alla genesi di quella “anti-disciplina” che sono i performance studies statunitensi: nel loro affacciarsi all'orizzonte teatrologico negli anni Sessanta, si manifestano anch'essi nei termini di «a heroic story of disciplinary breaking and

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